Le cause legali tra Blake Lively e Justin Baldoni, spiegate
Secondo il New York Times l'attrice di “It Ends With Us” sarebbe stata vittima di una campagna di diffamazione da parte del coprotagonista e regista del film
Martedì Justin Baldoni, regista, produttore e protagonista maschile del film It Ends With Us, ha fatto causa al New York Times per un’inchiesta su una presunta campagna di diffamazione che avrebbe messo in atto contro l’attrice Blake Lively, a sua volta produttrice e protagonista del film. Delle controversie tra i due attori si era cominciato a parlare ad agosto, durante la promozione del film negli Stati Uniti, perché i due non erano mai comparsi insieme. Sui giornali di gossip erano circolate voci sul fatto che Baldoni avesse avuto comportamenti poco appropriati sul set e poco dopo l’attore aveva assunto Melissa Nathan, nota esperta nella gestione di crisi reputazionali e pubbliche relazioni.
Dopo mesi di silenzio sulla questione da entrambe le parti, il 21 dicembre Lively ha presentato un reclamo formale – che da martedì è diventata una causa legale – contro Baldoni, in cui lo accusa di molestie sessuali e di aver organizzato una campagna con altre persone per rovinare la sua reputazione. L’articolo del New York Times è uscito lo stesso giorno, perché tre giornalisti hanno avuto accesso alle migliaia di messaggi e mail raccolte da Lively che sosterrebbero la sua versione. La storia è stata molto ripresa in questi giorni sui media internazionali, oltre che per la fama dei suoi protagonisti anche perché racconta molto bene come possano essere usati i social network per manipolare l’attenzione dell’opinione pubblica.
It Ends With Us di Colleen Hoover è stato uno dei romanzi rosa di maggior successo degli ultimi anni, e da quando è uscito nel 2016 ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Racconta l’innamoramento tra Lily (Lively), una giovane fioraia, e Ryle (Baldoni), un uomo più grande con una brillante carriera, che prende una piega drammatica quando emerge il tema della violenza domestica. Baldoni aveva acquisito i diritti per fare il film nel 2019 – quindi prima dell’enorme successo del libro, iniziato nel 2020 – con la sua società di produzione Wayfarer Studios. Nel 2023 era stato annunciato che il film avrebbe avuto come attrice protagonista Blake Lively, famosa (molto più di lui) tra le altre cose per essere stata la protagonista della serie Gossip Girl. Anche il film come il libro è stato un grosso successo commerciale, con 350 milioni di dollari di incassi.
La denuncia di Lively coinvolge, oltre a Baldoni, anche la Wayfarer e il suo altro fondatore, il miliardario Steve Sarowitz, il coproduttore del film Jamey Heath, Melissa Nathan, e altri due esperti di pubbliche relazioni: Jed Wallace e Jennifer Abel.
Secondo la ricostruzione del New York Times Lively formalizzò per la prima volta le proprie lamentele – le stesse contenute nella sua causa legale – a Baldoni e Heath in una lettera a novembre del 2023, quando le riprese del film ricominciarono dopo una pausa dovuta agli scioperi di Hollywood, e poi in una riunione a gennaio. Tra le varie cose criticò il fatto che Baldoni l’avesse baciata in modo improvvisato durante le riprese, che le avesse parlato della propria vita sessuale, che Heath le avesse mostrato una foto della moglie nuda e che entrambi fossero entrati senza permesso nella roulotte dove si stava preparando mentre era svestita e mentre allattava. Dopo quella riunione le furono garantite maggiori tutele, e fu assunto un intimacy coordinator, ossia un professionista che dovrebbe garantire che gli attori siano a loro agio mentre girano scene di sesso. In primavera Lively aveva detto che i comportamenti di Baldoni e Heath erano migliorati.
Sempre secondo la ricostruzione del New York Times, a maggio Baldoni si accorse che Reynolds, il marito di Lively e attore famosissimo per il personaggio di Deadpool nei film della Marvel, aveva smesso di seguirlo su Instagram. Intanto Lively aveva chiesto alla Wayfarer e alla Sony, la società di distribuzione del film, di non comparire in nessuna occasione accanto a Baldoni, e lo stesso aveva fatto l’autrice dei libri, Coleen Hoover, i cui rapporti con lui e con Heath erano peggiorati quando era venuta a sapere delle lamentele di Lively.
Temendo che tutte queste cose potessero diventare pubbliche, in agosto Baldoni aveva assunto Nathan, che aveva già assistito tra gli altri Johnny Depp durante il processo contro la ex moglie Amber Heard, la cui reputazione uscì fortemente compromessa. Tra i messaggi citati nella causa di Lively c’è uno scambio in cui un collaboratore di Baldoni parla di «seppellire» Lively (riferendosi alla sua reputazione) e Nathan gli risponde: «sai che possiamo seppellire chiunque». Baldoni, Abel e Nathan si scambiarono allora diversi messaggi in cui parlarono esplicitamente di mettere in atto il loro piano per creare un’immagine negativa di Lively. Fu assunto Jed Wallace, definito dal New York Times una figura «enigmatica» e proprietario di una società di pubbliche relazioni e «opachi servizi di crisis management», che si sarebbe occupato soprattutto dei social network.
Ad agosto in effetti il racconto mediatico delle controversie tra Lively e Baldoni si spostò molto in fretta dalle presunte molestie di lui (di cui aveva scritto Page Six citando fonti anonime ma che non furono molto riprese dai giornali) alle uscite inappropriate di lei. Fu per esempio molto criticata per il fatto di non essersi espressa sul tema della violenza domestica e per aver usato una propria linea di prodotti come sponsor del film, due cose che il New York Times dice erano state previste e concordate dalla società di distribuzione. Si parlò anche negativamente del fatto che Lively avesse detto di aver coinvolto il marito nella scrittura di alcune scene del film, aggirando di fatto lo sciopero degli sceneggiatori, e online cominciarono a girare spezzoni di sue interviste e dichiarazioni che la misero in cattiva luce.
Il New York Times ha scritto che «è impossibile sapere quanto di questa cattiva pubblicità fu seminato da Nathan, da Wallace e dai loro collaboratori e quanto sia solo stato intercettato e amplificato». Dai messaggi citati dal New York Times comunque loro se ne attribuiscono la responsabilità: in alcuni Baldoni appare più spudorato, in altri sembra farsi qualche scrupolo. Il 16 agosto il Daily Mail pubblicò un articolo intitolato “Blake Lively verrà cancellata?” e Nathan lo commentò così: «è questo il motivo per cui mi avete assunta no? Sono la migliore». Dopo l’uscita dell’articolo del New York Times Lively ha ricevuto dichiarazioni di sostegno e vicinanza da molte celebrità di Hollywood, tra cui Coleen Hoover e Amber Heard.
L’immagine di Baldoni è invece rimasta per mesi piuttosto immacolata, almeno fino alla pubblicazione dell’articolo del New York Times. Recentemente ha vinto un premio dedicato agli uomini che «sostengono le donne, combattono la violenza di genere e promuovono al parità di genere in tutto il mondo». Insieme a Heath, Baldoni ha da anni un podcast, Man Enough, in cui parla con vari ospiti dei danni della mascolinità tossica e della promozione di modelli maschili positivi, argomento su cui ha scritto libri e tenuto conferenze, e su cui ha insistito molto nella fase di promozione del film. Sia Baldoni che Heath, insieme a Sarowitz, sono di religione baha’i, che è nata in Iran nel diciannovesimo secolo e si basa tra le altre cose anche sulla parità di genere.
La casa di produzione Wayfarer ha detto al New York Times di non aver fatto «niente di proattivo o ritorsivo» contro Lively. La sua versione dei fatti è che l’attrice abbia inventato tutto per infamare Baldoni e Heath, e che è stato per questo che loro hanno deciso di assumere una professionista di pubbliche relazioni.