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  • Martedì 31 dicembre 2024

Le comunicazioni di Cecilia Sala con l’esterno, finora

Ci sono state tre telefonate alla famiglia e al compagno e una visita dell’ambasciatrice italiana in Iran nel carcere di Evin, dove Sala è detenuta da 13 giorni

La giornalista Cecilia Sala sul palco a un evento di Chora, nel febbraio 2024
La giornalista Cecilia Sala nel febbraio 2024 (Chora Media/via REUTERS)
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Aggiornamento: il ministero degli Esteri aveva fatto sapere che il 30 dicembre l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amedei, aveva consegnato un pacco a Cecilia Sala. In realtà la consegna non è mai avvenuta.

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La giornalista Cecilia Sala è stata arrestata il 19 dicembre in Iran e portata in una cella d’isolamento nel carcere di Evin, a Teheran. Non c’è un regolamento carcerario che spieghi in modo preciso quante telefonate possa fare un detenuto e quante visite possa ricevere. A decidere volta per volta è il governo dell’Iran e a volte anche questo aspetto della detenzione fa parte dei negoziati con i governi stranieri, che cercano di migliorare le condizioni dei propri cittadini detenuti nelle celle iraniane. Anche i diplomatici italiani sono al lavoro fin dall’inizio per ottenere un miglioramento veloce delle condizioni di detenzione di Sala, mentre trattano la sua liberazione.

Sala ha fatto due telefonate alla madre e al compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, venerdì 20 dicembre. Ha detto «sono stata arrestata, non ho ferite» e sembrava scandisse le parole lette da un foglio. Quando ha sentito la domanda: «In che prigione ti hanno portata?», ha parlato con qualcuno di fronte a lei e ha chiesto: «Can I tell him which prison I’m in?». Al telefono non si è sentita la risposta, come se la persona avesse fatto no con la testa. «Non posso», ha detto Sala. Alla domanda: «Di cosa ti accusano?» ha chiesto: «Can I tell him the charges against me?». Di nuovo, «non posso». Poi, dopo un breve scambio pieno di rassicurazioni sul fatto che in Italia l’unità di crisi della Farnesina e in generale il governo erano stati avvertiti del suo arresto, ha detto: «devo andare».

– Leggi anche: La prigione di Evin è un simbolo del regime iraniano

La terza telefonata è arrivata il 26 dicembre. Sembrava che dovesse arrivare prima il 24 dicembre e poi il 25, ma non è successo perché, come si diceva prima, le telefonate fanno parte delle concessioni decise dal governo dell’Iran. Sala ha avvertito all’inizio della chiamata che «se parliamo di cose normali possiamo parlare di più», perché c’era qualcuno che era con lei nella stessa stanza pronto a interrompere se avesse sentito argomenti specifici. Per questo motivo la conversazione ha evitato di toccare qualsiasi cosa potesse accorciare la chiamata, come i termini «Evin» e «Iran» o riferimenti ai negoziati in corso.

L’ingresso della prigione di Evin a Teheran, in Iran, nel 2022 (Majid Asgaripour/WANA/Reuters)

Quando le è stato detto che stava per arrivare una visita di diplomatici italiani ha detto di non saperne nulla, perché non sa che cosa succede fuori dalla sua cella.

Sala ha detto che il giorno prima, per Natale, aveva mangiato riso con il pollo e sei datteri, e anche di avere ricevuto un elastico per i capelli e la possibilità di fumare «due sigarette giganti». Il giorno successivo, venerdì 27 dicembre, l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, ha parlato con Sala dentro una stanza del carcere, per trenta minuti e in inglese. C’era anche una carceriera presente, che non le ha mai lasciate sole. La conversazione come al solito non poteva toccare argomenti specifici, ma al momento di congedarsi Amadei ha abbracciato Sala e le ha detto che il governo sta lavorando e sta facendo tutto il possibile per portarla a casa.

Amadei è una diplomatica esperta ed empatica, negozia con le controparti iraniane a Teheran ma è anche l’unica ad avere un rapporto diretto con Sala. Si è presentata al carcere di Evin con una squadra di tre persone, incluso un traduttore in lingua farsi per risolvere sul posto eventuali problemi. Amadei aveva preparato un pacco con alcune cose essenziali da consegnare alla detenuta italiana. Sala durante il colloquio ha chiesto un paio di occhiali scuri per bloccare la luce del faro sempre acceso nella cella e nel pacco c’era già una fascia per coprire gli occhi.

Gli iraniani non hanno permesso la consegna del pacco dell’ambasciatrice Amadei quel giorno, che è poi avvenuta lunedì 30 dicembre. Conteneva vestiti pesanti, un panettone, cioccolato, una fascia per gli occhi, un necessaire, pacchetti di sigarette e quattro libri da leggere.

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