La probabilità probabilmente non esiste

Ma è utile far finta che esista, anche se non sappiamo nemmeno come definirla, racconta uno degli statistici più in vista del Regno Unito

(Samar Ahmad su Unsplash)
(Samar Ahmad su Unsplash)
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David Spiegelhalter estrae una moneta dalla tasca e prima di lanciarla in aria chiede la probabilità che il risultato sia “testa”, e le persone che lo stanno ad ascoltare rispondono praticamente in coro «50 per cento». Ottenuta la risposta, lancia la moneta, la raccoglie e sbircia velocemente il risultato prima di coprirla e chiedere: qual è adesso la vostra probabilità che sia “testa”? Seppure con qualche esitazione, rispondono tutti «50 per cento», ma la situazione è radicalmente cambiata: da un’incertezza aleatoria su ciò che non si può prevedere si è passati a un’incertezza epistemica, cioè su ciò che non si conosce.

Spiegelhalter mostra infine il risultato e, per dimostrare che la probabilità è spesso basata su ipotesi soggettive, svela che la sua è una moneta particolare con “testa” su entrambe le facce, a conferma che anche l’assunzione iniziale del pubblico era basata sulla fiducia nei suoi confronti, più che su valutazioni matematiche.

Da 50 anni, lo statistico inglese David Spiegelhalter (che di anni ne ha 71) studia la probabilità ed è convinto che il modo in cui viene definita sia spesso fallace, lontano dalla sua vera essenza, che ha molto di umano e meno di matematico. Nel corso della sua carriera universitaria, ha insegnato in alcune delle più importanti università del mondo come Cambridge e Berkeley, ma da qualche tempo si dedica con maggiore assiduità alla divulgazione. Ha scritto libri sulla statistica e la probabilità, ha tenuto centinaia di conferenze, ha partecipato a programmi televisivi e nel periodo della pandemia si era fatto notare nel Regno Unito per le sue spiegazioni chiare sulla diffusione del COVID-19 e l’analisi dei rischi legati alla malattia.

Nelle sue conferenze, Spiegelhalter racconta di avere cambiato il proprio modo di pensare alla probabilità quando lesse i lavori del matematico Frank Plumpton Ramsey e dello statistico italiano Bruno De Finetti. Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento avevano entrambi iniziato a sostenere, in maniera indipendente l’uno dall’altro, che in molti casi la probabilità dovesse essere intesa come una misura della fiducia che una persona attribuisce a un certo evento, sulla base delle informazioni di partenza che possiede.

Il loro lavoro derivava in parte da quello del matematico inglese Thomas Bayes, che già nel XVIII secolo aveva iniziato a interpretare la probabilità come qualcosa riferito a una certa aspettativa razionale o convinzione personale, e non a ciò che ci si può aspettare dalla frequenza con cui solitamente avviene un fenomeno. Ciò vale soprattutto per gli eventi aleatori, dove non c’è possibilità di sapere veramente come si svolgerà un determinato evento fino a quando questo non sarà terminato. In una gara di Formula 1, per esempio, la frequente vittoria sempre dello stesso pilota non permette comunque di determinare la sua probabilità di vittoria nel Gran Premio successivo, perché ogni Gran Premio è diverso.

De Finetti scriveva che la probabilità non esiste di per sé e che è una costruzione umana. «Ci ho rimuginato sopra per 50 anni e ho deciso che aveva ragione» dice spesso Spiegelhalter, che ha di recente scritto un libro su queste cose e un articolo pubblicato su Nature, una delle riviste scientifiche più famose al mondo.

L’articolo parte proprio dalle riviste scientifiche e nota come una grande quantità di studi abbia sempre da qualche parte valori P, cioè riferiti alla probabilità che si verifichi un determinato fenomeno: «Tuttavia, sostengo che qualsiasi probabilità numerica – che si tratti di una ricerca scientifica, di una previsione del meteo o di un evento sportivo, o ancora di un rischio legato alla salute – non è una proprietà oggettiva del mondo, ma una costruzione basata su valutazioni e ipotesi (spesso dubbiose) personali o collettive. Inoltre, in molte circostanze, non si sta nemmeno stimando una quantità “reale” sottostante. In effetti, solo raramente si può dire che la probabilità “esista” del tutto».

Spiegelhalter fa l’esempio del meteo, che di solito contiene previsioni sulla temperatura, sulla velocità del vento e sulla quantità di pioggia, ma spesso anche sulla probabilità che piova in un certo momento in un determinato luogo; il dato è espresso con una percentuale, per esempio: “70 per cento probabilità di pioggia”. Le previsioni su temperatura, vento e quantità di pioggia possono essere confrontate con i veri valori poi registrati, ma quella sulla probabilità di pioggia non può essere confrontata con una vera probabilità: o è piovuto o non è piovuto.

Nell’articolo Spiegelhalter torna spesso sul suo argomento preferito: per qualsiasi impiego nella pratica della probabilità ci sono di mezzo valutazioni soggettive.

Ciò non significa che io possa attribuire qualsiasi numero ai miei pensieri: sarei un pessimo valutatore di probabilità se affermassi con il 99,9 per cento di certezza di poter spiccare il volo dal tetto di casa mia, per esempio. Il mondo oggettivo entra in gioco quando le probabilità e i presupposti sottostanti vengono messi alla prova rispetto alla realtà, ma ciò non significa che le probabilità stesse siano oggettive.

La soggettività può quindi influire fortemente sul modo in cui si fa una valutazione della probabilità. Se posso esaminare una moneta prima di giocare a “testa o croce” per verificare che non sia truccata, e se posso osservare il lancio e la sua caduta su una superficie dura con i vari rimbalzi, sarò più propenso a fare una previsione sul 50 per cento di probabilità sull’esito tra testa e croce. Se invece il lancio viene effettuato da un tipo un po’ losco che non mi fa esaminare la moneta prima e la lancia in un modo strano, divento più diffidente e cambio il mio modo di vedere la probabilità. La stessa cosa avviene per fenomeni con maggiori livelli di complessità, per esempio legati alla valutazione del rischio durante una pandemia.

Per stessa ammissione di Spiegelhalter ci sono comunque ambiti dove la probabilità assume una connotazione diversa. È per esempio il caso della meccanica quantistica: a livello subatomico eventi senza una determinata causa possono avvenire con probabilità “fisse”, la via principale per poter indagare quei fenomeni. Nella vita di tutti i giorni possono comunque essere trascurati perché sono su un piano decisamente diverso.

Nel corso del tempo in molti hanno provato a spiegare come funziona la probabilità, confrontandosi con la difficoltà dell’impresa. L’approccio frequentista immagina che cosa accadrebbe ripetendo un esperimento identico infinite volte, ma non è una cosa che si possa fare nel mondo reale per esempio per valutare un test clinico. Il matematico inglese Ronald Fisher propose di pensare a un certo insieme di dati come appartenente a una popolazione ipotetica e infinita, un’altra astrazione lontana dalla concretezza di tutti i giorni. Un altro approccio ancora è quello della “propensione”, secondo cui certi eventi hanno una tendenza naturale a verificarsi in un determinato contesto, come avere un infarto nei prossimi dieci anni, un altro assunto difficile se non impossibile da verificare.

Spiegelhalter scrive che i casi in cui possiamo calcolare probabilità in modo chiaro e affidabile sono pochi e ben controllati, come i giochi d’azzardo: roulette, carte, dadi, monete lanciate o le palline della lotteria. Anche i computer, con i loro generatori di numeri pseudo-casuali, rientrano in questo ambito: usano algoritmi complessi che sembrano produrre numeri casuali, anche se in realtà seguono regole determinate.

In natura ci sono alcuni casi di probabilità pseudo-oggettiva (nel comportamento delle molecole dei gas e in alcuni ambiti della genetica), ma per il resto dove si utilizzano le probabilità le cose funzionano diversamente:

In ogni altra situazione in cui vengono utilizzate le probabilità tuttavia — da vaste aree della scienza allo sport, all’economia, al meteo, al clima, all’analisi del rischio, ai modelli di catastrofi e così via — non ha senso pensare ai nostri giudizi come stime di “vere” probabilità. Queste sono solo situazioni in cui possiamo tentare di esprimere la nostra incertezza personale o collettiva in termini di probabilità, sulla base della nostra conoscenza e del nostro giudizio.

Nel 1926, Frank Ramsey propose un approccio innovativo: le leggi della probabilità possono essere derivate dalle nostre preferenze nelle scommesse. Scegliamo in base all’utilità attesa, un calcolo che combina il valore che attribuiamo a un risultato (utilità) con la nostra personale stima della sua probabilità (credenza parziale). In pratica, le nostre scelte rivelano le nostre probabilità soggettive. De Finetti formalizzò il concetto attraverso il principio della coerenza: se una persona assegna probabilità incoerenti, può essere messa in una posizione in cui perderà sicuramente una scommessa, indipendentemente dall’esito.

Spiegelhalter ricorda che forse non ha nemmeno molto senso incaponirsi per decidere se le probabilità oggettive esistano davvero nel mondo (non quantistico) di tutti i giorni, e che si possa invece seguire un approccio pragmatico ispirandosi proprio ai lavori di Ramsey e De Finetti. Se l’ordine in cui osserviamo una serie di eventi non influenza la nostra valutazione sulla probabilità, allora possiamo comportarci come se questi eventi fossero indipendenti e governati da probabilità oggettive, anche se in realtà in questo modo esprimiamo la nostra incertezza soggettiva attraverso una distribuzione di probabilità. Detta in termini più semplici, partendo da convinzioni soggettive, possiamo giustificare l’impiego di strumenti che presuppongono l’esistenza di probabilità oggettive.

Orientarsi in questa visione della probabilità, che tiene insieme matematica e filosofia, non è semplice e può apparire spiazzante. Non c’è del resto un’unica definizione di probabilità che metta d’accordo tutti, nonostante nei secoli ne siano state proposte in grandi quantità da alcuni dei più importanti matematici e filosofi del loro tempo. Su questo Spiegelhalter mantiene un approccio se non indulgente per lo meno comprensivo: «Le persone trovano la probabilità difficile e poco intuitiva perché è difficile e poco intuitiva. Ed è poco intuitiva perché ce la siamo inventata». Ciò non significa che non sia utile e che non possa aiutarci, se non a comprendere meglio, per lo meno a farci domande sulla realtà: «Nel mondo di tutti i giorni, la probabilità probabilmente non esiste, ma spesso è utile far finta che esista».