Quasi un quarto degli affitti brevi non è ancora in regola
Resta un solo giorno per chiedere il CIN, il codice identificativo introdotto dal governo per contrastare l’abusivismo
Il 77 per cento dei proprietari delle case proposte sul mercato degli affitti brevi ha chiesto il CIN, il “codice identificativo nazionale” introdotto dal governo per contrastare l’abusivismo: quasi un quarto ha ancora un solo giorno per mettersi in regola. La scadenza per dotarsi del CIN era inizialmente prevista per lo scorso 1 settembre, poi rimandata al primo gennaio del 2025 per dare più tempo ai proprietari.
Il CIN è un codice che identifica un immobile messo in affitto per periodi brevi, di solito attraverso piattaforme online come Airbnb o Booking. Deve essere esposto in ogni annuncio online e anche fuori dall’edificio, con un bollino visibile dalla strada. Il codice deve essere richiesto tramite l’iscrizione alla Banca dati nazionale delle strutture ricettive e degli immobili in locazione breve e per finalità turistica (BDSR), gestita dal ministero del Turismo. Questa banca dati raccoglie tutte le informazioni sull’immobile – dati catastali, certificazioni sugli impianti, la capacità ricettiva, la localizzazione – e i dati dei proprietari che propongono case o appartamenti in affitto. La banca dati è a disposizione dei clienti, che possono verificare l’autenticità del CIN di un locatore attraverso questa piattaforma.
Il governo ha previsto sanzioni da 800 a 8mila euro per chi mette una casa in affitto senza avere il CIN, mentre chi non espone il codice fuori dall’abitazione o negli annunci online potrà ricevere multe tra i 500 e i 5mila euro. Inizialmente il ministero aveva previsto un periodo di 60 giorni nel quale non dare multe, poi ha deciso per la proroga, oltre la quale quindi si passerà direttamente all’applicazione.
Secondo i dati diffusi dal ministero del Turismo, al 30 dicembre risultano registrati alla banca dati 568mila affitti brevi. Finora sono stati rilasciati 442mila codici identificativi, quindi quasi 130mila persone non l’hanno ancora chiesto per le loro case nonostante il rinvio di quattro mesi. Matera è la provincia turistica in cui sono stati chiesti più CIN, il 92,8 per cento del totale dei registrati nella banca dati del ministero. Tra le province in cui ci sono altre grandi città turistiche si notano l’88 per cento di Napoli, l’83,8 per cento di Bologna, l’83,2 per cento di Venezia, il 77,4 per cento di Milano, il 76,9 per cento di Roma, il 74 per cento di Firenze.
L’obiettivo principale del governo è far emergere le strutture abusive, cioè quelle che non sono registrate al ministero e non pagano le tasse. «Credo che il CIN farà emergere almeno il 20% di strutture che svolgono attività non essendo registrate», ha detto la ministra del Turismo Daniela Santanchè al Sole 24 Ore. Soprattutto in seguito alla diffusione di sistemi e applicazioni come Airbnb, che hanno semplificato molto la gestione degli affitti brevi, l’offerta di case in affitto in Italia è aumentata molto e molto velocemente, rendendo talvolta difficile la loro tracciabilità e favorendo indirettamente alcune forme di abusivismo.
Fino allo scorso anno per i proprietari era più facile non rispettare la legge e non pagare le tasse perché Airbnb non comunicava allo Stato i dati e i guadagni dei proprietari. In seguito a un accordo trovato nel dicembre del 2023, Airbnb si è impegnata a versare le tasse diventando “sostituto di imposta”: significa che dalla somma che gli affittuari pagano a Airbnb l’azienda trattiene quanto dovuto al fisco e lo paga per conto dei clienti che hanno messo a disposizione l’alloggio tramite la piattaforma, i quali infine ricevono la somma al netto dell’imposta.
Questo accordo ha risolto un contenzioso durato sei anni. Grazie ai dati trasmessi da Airbnb, per il fisco è più facile individuare gli alloggi e i proprietari a cui eventualmente chiedere conto delle tasse non pagate in passato, sia quelle relative ai guadagni che la tassa di soggiorno dovuta ai comuni.
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