Donald Trump vuole sospendere la legge che vieterebbe TikTok negli Stati Uniti
Che era stata voluta dal governo di Biden: ha chiesto tempo alla Corte Suprema per trovare una «soluzione politica»
Venerdì il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto alla Corte Suprema di sospendere l’entrata in vigore della legge che obbligherebbe ByteDance, la società cinese proprietaria di TikTok, a vendere la sua divisione statunitense a un investitore non legato al governo cinese entro il 19 gennaio. Trump, eletto per un secondo mandato alle elezioni di novembre, si insedierà il 20 gennaio, il giorno dopo: per questo ha chiesto ai giudici di intervenire per dargli il tempo di trovare una «soluzione politica». Se l’entrata in vigore della legge non dovesse essere sospesa e se la società non dovesse riuscire a trovare un acquirente entro la scadenza prevista, TikTok dovrebbe chiudere negli Stati Uniti.
La richiesta di Trump alla Corte Suprema non prende una posizione in merito alla disputa legale in corso ormai da diversi mesi tra il governo e l’azienda cinese, ma chiede ai giudici di prendere in considerazione la sua «consolidata esperienza» diplomatica e permettergli di raggiungere un accordo che eviti la chiusura di TikTok pur tenendo in considerazione le preoccupazioni espresse dalla precedente amministrazione. Nella lettera di Trump alla Corte Suprema si fa riferimento anche al fatto che lui stesso ha uno dei profili più seguiti e influenti sulla piattaforma, con quasi 15 milioni di follower, e all’importanza che l’app ha ricoperto nella sua comunicazione politica.
La legge era stata approvata ad aprile in risposta ai timori di molti politici statunitensi sui rischi di interferenze del governo cinese nella politica e nella società americane attraverso TikTok, che ha 170 milioni di utenti negli Stati Uniti. In particolare molti ritengono che il governo cinese, che ha un rapporto molto stretto con le grandi società del paese inclusa ByteDance, possa utilizzare i dati raccolti dall’app per motivi di intelligence e che possa sfruttare il suo efficacissimo algoritmo per promuovere o censurare determinati contenuti politici, influenzando la popolazione degli Stati Uniti.
In passato lo stesso Trump aveva sostenuto che TikTok fosse una minaccia per gli Stati Uniti, e aveva approvato una serie di provvedimenti per vietare la piattaforma (che però si erano conclusi in un nulla di fatto). Recentemente il presidente eletto ha cambiato idea: lo scorso 16 dicembre aveva incontrato il CEO dell’applicazione Shou Chew nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida e poco prima aveva detto di avere «un debole» per l’applicazione.
Subito dopo l’approvazione della legge la società aveva iniziato una serie di iniziative legali per sospendere o rimandare la sua entrata in vigore, ma fino a questo momento non ha avuto successo: ha già perso un ricorso in un tribunale di appello, e la sua richiesta di sospendere la legge è stata respinta. Si era poi rivolta alla Corte Suprema, che lo scorso 18 dicembre ha deciso di prendere in considerazione il caso. I giudici hanno fissato l’udienza per le testimonianze il prossimo 10 gennaio, in tempi considerati eccezionalmente stretti. Il ricorso dell’azienda si basa sull’idea che la legge violi il primo emendamento, cioè quello che garantisce la libertà di espressione negli Stati Uniti. Nei suoi argomenti, consegnati venerdì alla Corte Suprema, la società ha sottolineato infatti come molti utenti usino TikTok per comunicare o informarsi sui temi più vari, oltre che, in alcuni casi, come piattaforma per il proprio business.