I cartelli messicani cercano nuovi modi per fare il fentanyl
Vogliono rendere la droga più potente e produrne degli ingredienti che oggi vengono importati: per farlo stanno reclutando giovani studenti di chimica
In Messico il cartello di Sinaloa, una delle più grandi organizzazioni al mondo per il traffico di droga, sta reclutando studenti e studentesse di chimica per migliorare la produzione di fentanyl, tra gli oppioidi più potenti in circolazione. Gli studenti sono scelti da selezionatori che girano le università del paese in cerca di persone intelligenti, sveglie e con un minimo di preparazione in chimica. Diversamente da quanto succede nei normali processi di assunzione, i recruiter indagano anche sulla vita privata dei ragazzi e delle ragazze, avvicinandosi per esempio a parenti o amici per cercare di capire se quella persona possa fare al caso loro.
Su indicazione dei cartelli, i recruiter attraggono gli studenti promettendo uno stipendio mensile, offrendosi di pagare le spese universitarie oppure promettendo macchine, case e altri regali. In cambio chiedono molta discrezione e aiuto per raggiungere due obiettivi: produrre una versione del fentanyl più potente di quella attualmente in circolazione, per guadagnare un vantaggio sulla concorrenza, e riuscire a creare internamente i cosiddetti precursori, ossia sostanze che servono per fare il fentanyl e che solitamente vengono importate dalla Cina.
Il New York Times ha intervistato studentesse e studenti di chimica reclutati dai cartelli, che sono rimasti anonimi. Uno di loro ha detto di aver accettato il lavoro in cambio di uno stipendio mensile da 800 dollari (circa 760 euro, più un anticipo immediato): è il doppio dello stipendio medio di un chimico messicano. Un altro studente ha detto di aver fatto questa scelta per pagare le cure mediche per il padre, a cui ha giustificato l’improvviso ingresso di denaro inventandosi che lavorava per una normale azienda.
Un’altra ancora ha spiegato come funziona: ha detto che il laboratorio in cui lavora si trova a circa un’ora di volo dalla capitale Sinaloa e che il cartello si occupa di trasportare i “cuochi” (ossia le persone che producono le droghe, in gergo) come lei sul posto di lavoro, spesso in laboratori nascosti tra gli alberi, sulle montagne. I cuochi non sanno esattamente dove sono, perché durante il viaggio vengono bendati. Quando arrivano sul posto viene data loro tutta la strumentazione necessaria e vengono assegnati i compiti, poi vengono riportati a casa a fine turno.
È un lavoro molto pericoloso: i ragazzi sono sottoposti a esalazioni tossiche, il rischio di esplosioni generate dalle reazioni chimiche è alto, ed è alto anche quello di irritare i loro datori di lavoro, membri di una delle organizzazioni criminali più violente al mondo. «Se non gli piace ciò che produci, ti fanno sparire» ha detto uno studente.
Il fentanyl venne sintetizzato come farmaco negli anni Sessanta e produce effetti simili a quelli della morfina, tra cui una forte diminuzione della percezione del dolore, ma è considerato tra le 50 e le 100 volte più potente. In anni recenti si è diffuso in modo incontrollato sul mercato nero: a partire dagli anni Duemila è diventato una valida alternativa per centinaia di migliaia di americani che avevano sviluppato una dipendenza da oppiacei dopo essersi curati con farmaci legali e regolarmente prescritti (nella cosiddetta “crisi degli oppioidi”).
Secondo la DEA, l’agenzia antidroga degli Stati Uniti, più del 40 per cento delle pillole vendute sul mercato nero contiene 2mg della sostanza, considerati già una dose potenzialmente letale (il resto della pastiglia è fatto da altre droghe, spesso eroina, cocaina o metanfetamine, o prodotti di taglio). Tra il 2023 e il 2024 il fentanyl ha causato 100mila morti per overdose solo negli Stati Uniti: un numero ancora altissimo sebbene sia diminuito del 14 per cento rispetto all’anno precedente.
La crisi degli oppiacei, e il conseguente aumento della domanda sul mercato statunitense, negli ultimi dieci anni ha spinto i cartelli a produrre il fentanyl in quantità sempre maggiori, abbassandone notevolmente la qualità. Per questo il cartello di Sinaloa ha l’esigenza di distinguersi dagli altri con un prodotto più forte e che crei una maggiore dipendenza: sta provando a farlo avvalendosi delle competenze degli studenti.
Il cartello sta anche cercando di sfruttare le loro conoscenze, più avanzate rispetto a quelle dei cuochi a cui si è affidato finora, per produrre internamente i precursori. Sono sostanze che vengono normalmente usate in processi industriali o farmaceutici, ma che servono anche a produrre molte droghe: sono però difficili da sintetizzare, e spesso le organizzazioni criminali le importano illegalmente dall’estero.
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Per anni ottenerli è stato facile: la maggior parte dei venditori si trova in Cina, paese da cui ogni giorno vengono spedite decine di milioni di pacchi in tutto il mondo. Considerata la mole del commercio globale, molti di questi entrano nei vari paesi attraverso un regime agevolato, chiamato regime del de minimis (che in latino vuol dire “di poco conto”, o “di poca importanza”).
Negli Stati Uniti per esempio i pacchi con un valore inferiore a 800 euro entrano senza pagare dazi o tasse e con minori controlli doganali. I cartelli ordinano i precursori dalla Cina, li fanno spedire negli Stati Uniti nascosti in pacchi etichettati come cosmetici o altri prodotti acquistati online, e poi li fanno portare in Messico da piccoli trasportatori.
Questo sistema ha funzionato a lungo, e in parte funziona ancora. Da qualche anno però le autorità dei tre paesi coinvolti (Cina, Stati Uniti e Messico) hanno iniziato a fare qualcosa per contrastarlo. Per esempio a settembre il presidente statunitense uscente Joe Biden aveva promesso nuovamente di ridurre il regime del de minimis, ma senza riuscirci (è una misura difficile da approvare perché aumenterebbe anche i costi dei prodotti per i consumatori finali).
Il presidente eletto Donald Trump, che entrerà in carica il prossimo 20 gennaio, ha promesso un approccio più duro rispetto a quello dell’attuale amministrazione, e ha detto di voler introdurre dazi del 10 per cento su tutti i prodotti provenienti dalla Cina e del 25 su quelli in arrivo dal Messico.
I cartelli stanno quindi cercando dei modi per smettere di dipendere dalle importazioni, ma non sanno come farlo. «Abbiamo davanti una pagina bianca: come facciamo a creare qualcosa che non abbiamo inventato?» ha detto al New York Times uno studente di chimica che lavora per il cartello di Sinaloa.