Cosa si dice della seconda stagione di “Squid Game”
È uscita ieri e le prime recensioni non sono entusiaste: è un po' ripetitiva e fa soprattutto venire voglia di vedere la terza
Giovedì è uscita su Netflix la seconda stagione della serie tv sudcoreana Squid Game, che nel 2021 aveva avuto un successo sorprendente diventando il contenuto in streaming più visto e discusso al mondo. Le prime recensioni sono state tiepide: la gran parte dei critici concorda sul fatto che avrà lo stesso successo della prima in termini di visualizzazioni, ma molti l’hanno trovata ripetitiva e non del tutto riuscita.
Con più di 265 milioni di visualizzazioni Squid Game è diventata una delle serie di Netflix più viste di sempre. In origine non era previsto un seguito, ma il grande successo commerciale e la crescente competizione delle piattaforme per mantenere il proprio pubblico hanno convinto il suo autore e regista, il sudcoreano Hwang Dong-hyuk, a scriverne una seconda stagione e anche una terza, che dovrebbe uscire nel 2025 ma non si sa di preciso quando.
Così come la prima stagione, anche la seconda si incentra sui giochi mortali organizzati da un misterioso gruppo di persone che recluta centinaia di partecipanti, tutti indebitati, disposti a rischiare la vita per vincere l’ingente premio finale. Ha sette episodi, due in meno della prima, e comincia da dove era finita: cioè dal protagonista Seong Gi-hun (Lee Jung-jae), che dopo aver vinto il gioco sta per andare a trovare la figlia negli Stati Uniti.
I primi episodi mostrano Gi-hun, che con un salto di due anni nel futuro cerca di rintracciare i responsabili del gioco, ma viene nuovamente risucchiato nei suoi meccanismi: nei successivi ricomincia il gioco stesso, con nuovi personaggi e una regola che richiede ai partecipanti di decidere dopo ciascuna sfida se proseguire o se dividere tra i sopravvissuti i soldi guadagnati fino a quel momento.
Un limite che hanno citato diversi critici è che la seconda stagione sembra una copia poco originale della prima. Il Korea Times l’ha definita «un déjà vu della prima stagione, ma con meno impatto». «Non è che Squid Game 2 sia una delusione totale», ha scritto Judy Berman su Time, ma la trama «sembra troppo un rimaneggiamento della prima stagione: gioco, morte, rabbia, e via di nuovo».
A detta di Therese Lacson, che ne ha scritto su Collider, ha il merito di mostrare i personaggi anche al di fuori del gioco e di cercare più livelli di complessità. Al contempo si ha l’impressione che tutto debba sempre essere spiegato, dice, con il risultato che si spreca molto tempo a ripetere le stesse cose e ci sono sequenze che sembrano trascinarsi troppo per le lunghe. «Prosegue una storia, ma fa ben poco per ampliarla […] Lascia intuire ambizioni su ampia scala, ma fa poco per coltivarle», ha sintetizzato lo stimato critico del New York Times James Poniewozik.
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A detta della critica di Salon Melanie McFarland non c’è motivo per dubitare che la seconda stagione di Squid Game otterrà attenzioni in tutto il mondo, come la prima. Resta una delle serie più particolari degli ultimi tempi a livello estetico, i giochi sono tanto surreali e perversi quanto quelli della prima stagione e ci sono momenti «indubbiamente più divertenti», ha scritto Laura Martin su BBC Culture. Però «la narrazione sembra affrettata, e questa fretta si traduce in personaggi meno sviluppati e meno opportunità di raccontarli in maniera sottile», ha scritto sul Korea Times Park Jin-hai.
Per Rebecca Nicholson del Guardian nei primi tre episodi la serie «fatica ad arrivare a un punto». Al contrario secondo Lacson all’inizio è promettente, ma poi «continua ad affidarsi troppo agli stessi archetipi che avevano reso la prima prevedibile». Ci sono elementi che sembrano messi lì per accontentare il pubblico, come la bambola gigante che si vede nell’episodio pilota, mentre la rivelazione che uno dei nuovi partecipanti del gioco non è un personaggio qualsiasi sembra subito ovvia. Alla terza votazione «l’ansia si trasforma in noia», scrive Berman: «Quando cominciano a succedere cose interessanti» la serie si conclude in maniera improvvisa e «si ha la sensazione di aver visto una specie di teaser prolungato della terza stagione».
In generale i critici hanno lodato l’interpretazione di Lee e del resto del cast, ma non altrettanto lo sviluppo dei personaggi. Per Lacson molti esistono proprio «come archetipi o estremizzazioni di un luogo comune, senza alcuna sfumatura o profondità». Anche quello dell’ex rapper Thanos, interpretato dal rapper sudcoreano noto come T.O.P, emerge come una caricatura. C’è sempre una ragazza nordcoreana che cerca di salvare la sua famiglia, ma questa parte della trama non viene molto sviluppata, nota Poniewozik, e c’è una donna trans, che però viene interpretata da un uomo cisgender.
Alla fine la serie «intrattiene abbastanza» ma lascia piuttosto insoddisfatti, ha scritto Nicholson: «La terza stagione dovrà fare di meglio».
Questi giudizi rispecchiano anche le prime valutazioni sul sito Rotten Tomatoes, che mette insieme le recensioni di decine di critici e i commenti di centinaia di spettatori e assegna a film e serie tv un punteggio in percentuale, che sotto al 60 per cento è considerato scarso e sopra il 75 molto buono. Per quanto riguarda la prima stagione la percentuale di gradimento dei critici era del 95 per cento e quella del pubblico dell’84. Per la seconda le recensioni sono ancora poche, ma le percentuali al momento sono rispettivamente 86 e 63.
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