Il velluto funziona sempre, ma nelle feste di più
È «la versione stilosa di un brutto maglione di Natale», e ormai è ufficialmente tornato di moda
«Qual è il modo più facile di abbracciare lo spirito delle feste? Ma con il velluto, ovviamente! È morbido, lussuoso e comodo», scriveva a novembre il sito di moda Vogue, riassumendo i motivi per cui è un tessuto che rispunta puntualmente nelle vetrine sul finire dell’anno. Se ultimamente siete entrati in qualche negozio di abbigliamento, avrete notato un proliferare di abiti e accessori in velluto, e non è un’impressione: cercando “velluto” sul sito della catena di fast fashion Zara vengono fuori circa 180 risultati, sul sito dell’altra nota catena H&M ne spuntano 188, e le più moderate Cos e & Other Stories ne hanno una ventina, tra cui un contenitore di gioielli e una maschera per far riposare gli occhi.
La premessa di questo successo, soprattutto durante le feste e per le cosiddette “grandi occasioni”, è la natura opulenta del velluto che, scrive il sito di moda Business of Fashion, vende perché sembra una cosa di lusso. In effetti lo è stata per secoli: era talmente complicato e costoso da produrre che fino all’Ottocento potevano permetterselo solo gli alti esponenti della Chiesa, le famiglie reali e i più ricchi.
Il velluto non è un materiale di per sé, ma un tipo di tessuto dal pelo fitto e ortogonale alla base; un tempo si faceva esclusivamente con la seta, con quattro fili invece che i soliti due. Arrivò dall’Oriente in Italia attorno al XIII secolo, in particolare a Venezia grazie ai mercanti che percorrevano la Via della Seta, e a Palermo per i contatti con il mondo arabo. Venezia e Palermo iniziarono a lavorarlo e nel Quattrocento la produzione si allargò anche ad altre città italiane, come Genova e Firenze, che lo esportarono in tutta Europa; fino al Seicento, l’Italia restò il principale produttore di velluto per i ricchi europei.
Le cose cambiarono con la Rivoluzione industriale, quando la produzione divenne più rapida ed economica e anche l’alta borghesia potè vestirsi di velluto. Si diffuse nel mondo bohémien, perché era comodo e diverso dai completi rigidi e soffocanti dell’epoca: lo indossavano spesso lo scrittore Oscar Wilde e l’attrice Sarah Bernhardt, che lo rese di moda tra le donne che la ammiravano. Nel Novecento il velluto costò sempre meno perché la seta fu sostituita da materiali meno pregiati, come il cotone e la lana; negli anni Sessanta e Settanta fu reso popolare da molti artisti e celebrità, e la richiesta continuò negli sfarzosi anni Ottanta.
L’apice del successo arrivò probabilmente negli anni Novanta quando, nel 1996, l’attrice Gwyneth Paltrow indossò ai Video Music Awards di MTV un completo giacca pantalone in velluto rosso, disegnato dallo stilista Tom Ford per il marchio Gucci: Paltrow mostrò un nuovo modo di essere eleganti e quell’abito in velluto divenne tra i più noti della storia della moda.
Oggi la maggior parte del velluto che si trova nelle grandi catene è in fibre sintetiche, come il poliestere o la viscosa: costa pochissimo e anche per questo è onnipresente. Nei negozi vintage potreste trovare ancora il velluto in cotone, che si riconosce dal pelo più corto e resistente, o in seta, brillante, delicato e usato soprattutto per gli abiti di haute couture, l’alta moda.
I negozi, però, non sono sempre stati pieni di abiti in velluto. Dopo la grande crisi economica del 2008, ricorda il New York Times, le aziende di moda proponevano uno stile sobrio e minimale, e il velluto era considerato un po’ vecchiotto e di cattivo gusto. Rispuntò in alcune sfilate dell’autunno 2014 e tornò in modo preponderante nel 2016. Quell’anno, scriveva sempre il New York Times, si trovava sia dai grandi marchi sia nelle catene economiche, mentre le vendite di Inditex, il gruppo che possiede Zara, aumentarono proprio grazie ai capi in velluto, alle minigonne e ai blazer.
Poi il velluto scomparve, e rispuntò alle sfilate per l’autunno/inverno 2020-21 e in quelle di haute couture per l’autunno 2022, quando quasi ogni collezione aveva del velluto nero. Lo scorso autunno la quantità di velluto in vendita e indossato sui social network era tale che le riviste di moda parlarono definitivamente di “velvet trend”; la tendenza è continuata anche quest’anno.
Una delle spiegazioni è che, scrive il sito Marie Claire, dopo la pandemia le persone ricercano i materiali tattili, dalla superficie corposa. C’è anche più voglia di incontri e feste, comprese quelle in ufficio, e il velluto è un’ottima soluzione per “elevare” un look da indossare al lavoro e poi per una serata: è morbido e comodo, non è difficile da portare (come le paillettes o le gonne di tartan) e, nota il Guardian, essendo indossato sia dalle bambine sia dalle donne non è seducente come il pizzo o il raso ma ha «una certa innocenza». È, riassume Slate, «la versione stilosa di un brutto maglione di Natale».
Il successo del velluto, comunque, coincide con i momenti di massimalismo della moda. Per questo vendeva nel 2016, quando il gusto era trascinato dallo stile sontuoso di Alessandro Michele, allora direttore creativo del marchio di moda Gucci, e per questo vende anche oggi, in cui il minimalismo piace un po’ meno ma resta forte la fascinazione per il lusso. Il velluto funziona anche nei momenti in cui la nostalgia è più intensa: verso il passato in generale – e in particolare gli anni Novanta, pieni di velluto – e verso i momenti di festa, quando da bambine ci si mettevano gonne e fiocchi di velluto rosso e lo si vedeva indossato dalle nonne e dalle mamme.
Ora il velluto si indossa anche nella vita di ogni giorno, perché i materiali sintetici lo rendono, oltre che meno caro, più leggero e facile da portare, e perché, spiega il New York Times, è più resistente «e si può usare in modi un tempo inesplorati», come nelle sneaker o nei piumini. Le aziende lo stanno proponendo, insomma, un po’ per tutto, anche in colori meno tradizionali: rosa Barbie, blu, giallo, arancio, e verde oliva, il colore dell’anno.
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