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  • Mercoledì 25 dicembre 2024

Oltre cento aziende aspettano un risarcimento dopo l’esplosione di Calenzano

Sono stati stimati danni per oltre 3 milioni di euro: nel frattempo le indagini proseguono

Il deposito dell'Eni a Calenzano, dove il 9 dicembre è avvenuta una grave esplosione
Il deposito dell'Eni a Calenzano, dove il 9 dicembre è avvenuta una grave esplosione (ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI)

Il comune di Calenzano, in provincia di Firenze, ha inoltrato all’azienda energetica Eni le prime richieste di risarcimento presentate dalle aziende che hanno subìto danni nell’esplosione del deposito avvenuta lo scorso 9 dicembre. Cinque persone erano morte a causa dell’esplosione e altre 26 erano rimaste ferite, di cui due in modo grave. L’onda d’urto che si era propagata dal deposito aveva colpito uffici, case e altre aziende: aveva distrutto finestre e vetrate, portoni, controsoffitti. Secondo le prime stime oltre cento aziende hanno subito danni per un totale di oltre 3 milioni di euro.

I rappresentanti delle associazioni di categoria industriali e del commercio hanno incontrato il sindaco di Calenzano Giuseppe Carovani, a cui è stato chiesto di sollecitare Eni a rimborsare i danni al più presto. Alcune aziende sono state costrette a sospendere le attività e non sanno ancora quando potranno riprendere a lavorare. Il comune ha anche iniziato una raccolta fondi per aiutare le famiglie delle persone morte nell’esplosione.

Nel frattempo la procura di Prato continua a indagare sulle possibili cause dell’esplosione. Sono stati sequestrati video, documenti e smartphone degli operai che erano nel deposito.

L’indagine è stata aperta per omicidio colposo plurimo, disastro e rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Per ora la procura indaga contro ignoti: significa che si sospetta che qualcuno possa aver commesso questi reati, ma che per ora non ci sono persone indagate. I primi due reati riguardano la morte delle cinque persone e i danni provocati nel deposito. Il terzo reato ipotizzato serve invece a verificare se non siano state fatte intenzionalmente scelte non corrette in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

L’esplosione è avvenuta alle 10:20 nell’area in cui alcune autocisterne stavano facendo rifornimento di carburante. Vicino alla pensilina del rifornimento c’erano sei operai di un’azienda esterna impegnati in lavori di manutenzione. Per quell’azienda – la Sergen srl – lavoravano due delle cinque persone morte a causa dell’esplosione: Franco Cirelli, 50 anni, e Gerardo Pepe, 45.

Già dall’analisi dei video nei giorni immediatamente successivi all’esplosione si è capito che il rifornimento delle autocisterne e i lavori di manutenzione erano svolti in contemporanea. Dai video è anche emerso che una delle tubazioni dell’impianto non aveva i bulloni di sicurezza, ritrovati poi a terra. Secondo gli investigatori sono stati svitati durante la manutenzione. Proprio da quella tubazione è uscita una grande quantità di combustibile, sprigionando vapori di carburante che avrebbero creato le condizioni per l’esplosione. Non è ancora chiaro, però, cosa possa averla innescata.

La procura ha commissionato una perizia ad esperti di esplosioni e ingegneri strutturali, che hanno già svolto alcuni sopralluoghi nell’area del deposito sotto sequestro. Se non saranno chieste proroghe, si attendono le prime risposte della perizia entro la fine di febbraio. Uno degli obiettivi delle indagini è capire perché la perdita non sia stata segnalata per tempo, e se siano state rispettate tutte le procedure di sicurezza previste.

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