Il giorno in cui giustiziarono Babbo Natale
«Il 24 dicembre 1951 il quotidiano “France Soir” diramò il comunicato dei giustizieri: “Lo hanno bruciato 250 bambini della parrocchia davanti alla cattedrale di Digione. Per noi cristiani la festa del Natale deve celebrare la nascita del Salvatore”. Il richiamo alle origini e allo spirito autentico della festa contro le degenerazioni pagane o consumistiche continua ancora oggi, ma il personaggio di Gesù bambino è ancora più posticcio e recente di quello che vuole sostituire. Il tema è stabilire chi sia l’usurpatore. Ma chi è davvero Babbo Natale? La sua vera natura continua a essere misteriosa. È un re, un mito, il personaggio leggendario oppure un dio?»
Babbo Natale fu impiccato alle inferriate del Duomo di Digione e arso vivo sulla pubblica piazza il 23 dicembre 1951 alle tre del pomeriggio. Il giorno successivo la notizia era su tutti i giornali di Francia. Il quotidiano più venduto di allora, France Soir, titolò: «Davanti ai bambini delle parrocchie Babbo Natale è stato giustiziato sul sagrato della cattedrale». L’esecuzione del fantoccio, spiegava l’articolo, era stata organizzata con il consenso del clero cattolico e con il tacito appoggio di quello protestante per punire «l’usurpatore ed eretico» della colpa di aver «paganizzato la festa di Natale dopo essersi insediato come un parassita» ovunque, soprattutto «in tutte le scuole pubbliche dalle quali, invece, è stato scrupolosamente bandito il presepe».
Al termine della cerimonia i giustizieri di Babbo Natale diramarono un comunicato: «In rappresentanza di tutte le famiglie cristiane della parrocchia desiderose di lottare contro la menzogna, 250 bambini, raggruppati davanti alla porta principale della cattedrale di Digione, hanno bruciato Babbo Natale. Non si è trattato di un evento spettacolare, ma di un atto simbolico. Babbo Natale è stato sacrificato in olocausto. La sua menzogna non risveglia nei bambini alcun sentimento religioso e non può considerarsi in nessun caso educativa. C’è chi dice che si sia voluto fare di Babbo Natale il contrappeso dell’Orco delle fiabe. Per noi cristiani la festa del Natale è e deve rimanere la ricorrenza che celebra la nascita del Salvatore».
Babbo Natale sarebbe risorto alle 18 della vigilia. Scrive France Soir: «Con un comunicato ufficiale, egli ha effettivamente convocato, come ogni anno, i bambini di Digione in place de la Libération, dove parlerà loro dal tetto del municipio alla luce dei riflettori.» Il quotidiano non racconta quello che disse, e non lo fa neppure l’antropologo Claude Lévi-Strauss, che riferisce questa storia in un lungo articolo intitolato «Le Père Noël supplicié» uscito su Les Temps Modernes nel 1952 (in Italia è pubblicato da Sellerio). È probabile però che la resurrezione aumentò il nervosismo dei nemici di Babbo Natale che quell’anno, oltre a usurpare a Gesù bambino la festa della Natività, rubò anche a Gesù adulto il miracolo della Pasqua. Non era la prima volta che il Natale veniva processato per motivi religiosi. Alla metà del Seicento, però, a essere messi sotto accusa erano stati i cattolici. Ai tempi di Oliver Cromwell, dal 1644 in poi, il parlamento inglese approvò una serie di leggi ispirate da protestanti e puritani per abolire il Natale, in quanto festa cattolica ormai degenerata a scusa per ubriacarsi e di cui nella Bibbia, peraltro, non si faceva menzione. I fan del Natale protestarono, ci furono scontri nel Kent. Nel 1652 uscì un pamphlet intitolato The Vindication of Christmas sul cui frontespizio apparve per la prima volta Babbo Natale e nel 1658 il suo nome apparve nel titolo di The Examination and Tryal of Old Father Christmas, un testo satirico con gli atti del processo.
Il bando fu ignorato e il Natale trionfò, ma le proteste contro la degenerazione consumistica, la paganizzazione e la laicizzazione della festa continuarono. Nel 2019, per esempio, il vescovo di Rieti monsignor Domenico Pompili ha così commentato all’Adnkronos la lettera con cui papa Francesco invitava i credenti a riscoprire il presepe: «È un richiamo a tornare all’origine del senso del Natale che ha subito nel corso degli anni rivisitazioni di dubbia identità e qualità», su tutti «la reinvenzione del Natale a opera della Coca-Cola in America; è stato parte di questo processo che ha trasformato il Bambinello in Babbo Natale».
Quello che è quasi buffo notare è come questo ricorrente richiamo alle origini e allo spirito autentico della festa ignori il fatto che la festa cristiana si innestò su feste più antiche e che il personaggio del Gesù bambino che porta regali sia ancora più posticcio e recente di quello a cui si contrappone. Il tema è stabilire chi sia l’usurpatore. Il primo presepe fu messo in scena nel 1223 nel paese di Greccio da san Francesco d’Assisi appena tornato dalla Terra Santa, ma il personaggio di Gesù bambino natalizio è molto più recente ed esiste quasi soltanto in Italia. Deriva da Martin Lutero che, per combattere il culto cattolico di san Nicola, si inventò il personaggio di Christkind, uno spiritello bambino incaricato da Gesù, che è diffuso nel sud della Germania e in molti paesi dell’Europa orientale. Anche la data del 25 dicembre come compleanno di Cristo fu probabilmente scelta dalla Chiesa del IV secolo d.C. per occupare il posto del Dies Natalis Solis Invicti, l’antica festa romana legata alla «rinascita del Sole» dopo il solstizio d’inverno.
La lotta per intestarsi il Natale, insomma, dura da sempre e segue uno schema fisso: i culti più recenti, consumismo compreso, cercano di inglobare quelli più antichi (in una delle sue innumerevoli versioni, infatti, Babbo Natale è un demone pagano catturato da san Nicola e costretto a espiare le sue malefatte portando doni ai bambini). Ovvio che in questo gioco di scatole cinesi, l’autentico spirito del Natale si perda. La conclusione di Claude Lévi-Strauss è che nella festa sopravviva in clandestinità un rituale di morte che si attua attraverso «una transizione molto onerosa tra le due generazioni»: il Natale sarebbe cioè un rito simbolico per placare i morti (i bambini) grazie ai doni offerti dai vivi (gli adulti). Se così fosse, questo significato oggi pare completamente dimenticato. L’episodio di Digione, però, serve a mettere in fila una serie di domande e forse a tentare qualche risposta.
Chi è Babbo Natale? La sua vera natura continua a essere misteriosa. È un re, un mito, il personaggio leggendario oppure un dio? Per Lévi-Strauss è un dio, benché vestito di rosso come i re: «L’unica differenza tra Babbo Natale e una divinità autentica è che gli adulti non credono in lui, benché incoraggino i propri figli a prestarvi fede e ne alimentino la leggenda con un gran numero di mistificazioni.» Il paradosso di Babbo Natale, quindi, è di essere l’unico dio a cui gli iniziati non credono. In più sarebbe un dio molto giovane: le trasformazioni della festa e del suo personaggio – a inizio Ottocento il suo costume era verde, una reminiscenza del culto degli alberi, è diventato rosso nel 1931 grazie alla Coca-Cola – consentono di «esaminare lo sviluppo repentino di un rito, e anche di un culto», di osservare, cioè, quasi in diretta il modo in cui le società costruiscono quello in cui credono. È per questo che «non si tratta di spiegare il motivo per cui Babbo Natale piaccia tanto ai bambini, bensì quello che ha spinto gli adulti a inventarlo».
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La prima ragione, anche per Lévi-Strauss, è banalmente commerciale. Babbo Natale è il testimonial di un evento che consente di aumentare le vendite, il prototipo di San Valentino, Halloween e del Black friday. Per questo la sua ascesa è cominciata con la rivoluzione industriale, ma il personaggio si è affermato davvero dopo la Seconda guerra mondiale con l’avvento della società di massa e l’esplosione dei consumi. Perché il testimonial fosse credibile sono stati acrobaticamente impastati pezzi di personaggi diversi, san Nicola di Myra e Odino, il culto nordico degli alberi, i tredici Babbi Natali islandesi, santa Lucia e la Befana, i sacerdoti di Myra di Saturno, divoratore di bambini, il demone cornuto scandinavo Julebok, il Sol Invictus di Roma e la Coca-Cola di Atlanta. A partire dal nome Santa Klaus, che deriva appunto da san Nicola, Babbo Natale è una specie di Frankenstein.
Ci si arrivò per gradi, naturalmente, per approssimazioni successive: prima letterarie, la poesia «A Visit from St. Nicholas» di Clement Clarke Moore del 1823 e A Christmas Carol di Charles Dickens del 1843, poi giornalistiche, la copertina di Harper’s Weekly illustrata da Thomas Nast nel 1863, e infine pubblicitarie, le pubblicità dell’acqua White rock sul San Francisco Examiner nel 1915 e su Life negli anni Venti, e soprattutto la campagna disegnata da Haddon Sundblom per Coca-Cola nel 1931. Scrive Lévi-Strauss: «Il Natale è una festa essenzialmente moderna, malgrado i suoi molteplici tratti arcaicizzanti, […] sarebbe troppo semplice spiegare lo sviluppo delle celebrazioni del Natale solo per effetto dell’influenza americana […] il suo rituale è fluttuante […] la forma americana è solo la più moderna di queste trasformazioni.»
Il Natale si basa su una forma precisa di possesso e piacere, diverso da quello che prova chi cattura, cioè chi va a caccia o fa shopping, ma più simile a quello di chi riceve, come il contadino che semina e attende il raccolto, ma anche un dio o un re che riceve le offerte dei suoi fedeli. Il minimo comun denominatore del Natale è l’esaudimento di un desiderio grazie a qualcuno che giunge da fuori. In questo senso la leggenda cristiana che più si avvicina al rito del Natale è quella dei re magi che, inseguendo una stella cometa fino a Betlemme, portarono in dono oro, incenso e mirra al piccolo Gesù (e infatti esiste un movimento cristiano tradizionalista spagnolo, il carlismo, che celebra Gaspare, Melchiorre e Baldassarre). Oggi il piacere di ricevere quello che si è desiderato lo prova anche chi compra online. In questo senso l’invenzione di Babbo Natale anticipa quella di Jeff Bezos, cioè Amazon e l’e-commerce in generale. E infatti il Natale non è stato affatto danneggiato dalla rivoluzione digitale, anzi.
Ogni festa implica un sistema etico e di valori comuni. Il Natale è anche l’evento che celebra insieme la bontà, il mercato e l’infanzia. Per questo stabilire chi consegna i doni è importante, significa intestarsi il merito di quello che, per noi, è il bene più prezioso: la ricchezza dei bambini e dei loro genitori, che oggi appaiono più importanti della loro bontà e serenità. Nel 1952 Lévi-Strauss scrive che la funzione pedagogica e politica di Babbo Natale è chiarissima: «Ricordare ai bambini che la sua generosità sarà proporzionata alla loro obbedienza.» Oggi le cose sono molto meno chiare. Il criterio della retribuzione morale di derivazione cristiana è progressivamente svanito fino a scomparire quasi del tutto. In meno di due secoli i bambini e le bambine cattivi sono passati dal carbone reale a quello di zucchero a nessun carbone. Il sottotesto implicito è che non esistano bambini cattivi, anzi, che basti essere bambini per meritare di ricevere in dono quello che desideriamo e partecipare al consumo. Ed è qui, forse, il vero mistero e il significato profondo del Natale per noi e la sua funzione politica e ideologica contemporanea. Il Natale celebra l’ingresso di ogni bambino nel mercato. Il personaggio di Babbo Natale non ha trionfato su quello di Gesù bambino per una questione di marketing, ma perché risponde a una esigenza che Gesù bambino non avrebbe mai potuto soddisfare: la santificazione dell’infanzia e la sua divinizzazione. Babbo Natale è il quarto re magio, colui che con le sue renne può trasformare ogni bambino normale – ogni bambino e forse ogni adulto occidentale, almeno – nel Gesù bambino o nella Gesù bambina della sua famiglia, rendendo sacra ogni infanzia e celebrando ogni nascita come una natività.
Questo testo è stato pubblicato nel numero intitolato A Natale tutti insieme di COSE Spiegate bene