Quando è ora di smettere di credere a Babbo Natale?

Non c’è un’età precisa, ma ai genitori conviene non esagerare nella costruzione del mito, secondo alcuni psicologi che si sono posti la domanda

Una scena in cui Cox, vestito da folletto, prende in braccio un bambino che piange portandolo via da Thornton, vestito da Babbo Natale
Gli attori Billy Bob Thornton e Tony Cox, con un bambino, in una scena del film del 2003 Babbo bastardo (mptvimages/contrasto)
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La storia di Babbo Natale è illogica. Un uomo con una lunga barba bianca e un costume rosso sorvola tutto il pianeta in una notte a bordo di una slitta volante per consegnare regali passando attraverso la canna fumaria dei camini di tutte le case, incluse quelle senza camino. A parte la barba e il costume, non torna praticamente niente. Eppure è una storia che regge, fino a una certa età, grazie a un sostegno culturale che per tenacia ed estensione dell’impegno collettivo ha pochi eguali al mondo.

Quale sia l’età precisa in cui i bambini smettono di credere a Babbo Natale non è certo, ma è una domanda da tempo oggetto di alcuni studi di psicologia e di varie riflessioni sullo sviluppo cognitivo e sull’evoluzione delle credenze in età scolare. La verità sul venerato benefattore stagionale tende a emergere intorno ai 7-8 anni, a volte un po’ prima, altre un po’ dopo: comunque più tardi rispetto alla fase dello sviluppo in cui i bambini mostrano di saper distinguere correttamente gli enti reali da quelli di fantasia.

Genitori, parenti e insegnanti a volte si chiedono quindi quale sia il modo migliore di interagire con i bambini a proposito di Babbo Natale: fino a quale età e con quanta convinzione sia il caso di sostenere la loro credenza, dato che per farlo è spesso necessario mentire. E mentire è comunque «un esercizio moralmente ambiguo», scrissero nel 2016 gli psicologi Christopher Boyle e Kathy McKay sulla rivista Lancet Psychiatry in un articolo di opinione intitolato «Una meravigliosa bugia», sugli effetti delle credenze infantili su Babbo Natale. L’ambiguità morale sta nel fatto che consideriamo inaccettabili le bugie dette per scopi egoistici, ma pensiamo sia giusto mentire ai bambini per proteggerli, per esempio, da eventi dolorosi come la morte di un animale domestico.

Nel caso di Babbo Natale le bugie hanno inoltre lo scopo di permettere ai bambini di crescere integrati in una comunità che condivide le stesse storie. Boyle e McKay si chiesero però se anche le bugie su Babbo Natale, oltre un certo limite, possano essere immorali e dannose. Potrebbero contribuire a indebolire, per esempio, la credibilità dei genitori su altre questioni: «perché non mettere in discussione un genitore che ti dice di fare attenzione ad attraversare la strada, se lo stesso genitore ti racconta di un allegro uomo apparentemente in grado di piegare il tempo e lo spazio per consegnare regali a ogni bambino nel mondo a Natale?».

Altre incoerenze nel racconto potrebbero portare i bambini a trarre conclusioni sbagliate ed esporli al rischio di profonde delusioni. Se Babbo Natale fosse reale, stando al modo in cui viene descritto, probabilmente sarebbe anche equo nei regali. Eppure i regali non sono tutti uguali, e Babbo Natale «evidentemente non è un socialista», osservarono Boyle e McKay. Questo potrebbe generare frustrazione nei bambini, ai quali manca il dato che il fattore ovvio della bontà di Babbo Natale è il reddito dei genitori.

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I risultati di uno studio pubblicato a gennaio su una rivista della American Psychological Association, la più grande associazione di psicologi negli Stati Uniti, possono servire per provare a rispondere in parte alla domanda posta da Boyle e McKay. Le autrici, le ricercatrici statunitensi Candice Mills e Thalia Goldstein, intervistarono un gruppo di 48 bambini (di età compresa tra 6 e 15 anni) e 383 adulti per sapere come ciascuno di loro avesse appreso la verità su Babbo Natale, e quali emozioni fossero associate al ricordo di quella scoperta.

Dalle interviste emerse che circa la metà dei bambini e degli adulti aveva provato emozioni negative, perlopiù tristezza e rabbia, al momento della scoperta della verità su Babbo Natale, ma nella maggior parte dei casi la delusione era comunque durata poco. Dopo la scoperta, soprattutto tra i bambini, l’attenzione si era rapidamente spostata su altri aspetti graditi del periodo delle feste, come lo scambio dei regali e le altre tradizioni familiari.

Le emozioni negative erano riferite prevalentemente da bambini e adulti che al momento della scoperta erano più grandi rispetto alla media, e che lo avevano scoperto all’improvviso e da un’altra persona, anziché scoprirlo da sé. Erano inoltre bambini o ex bambini i cui genitori si erano impegnati molto nella costruzione del mito di Babbo Natale, e che avevano quindi avuto probabilmente poche possibilità di controllo sui tempi e sulla modalità della scoperta.

L’autonomia e la gradualità nell’apprendere che Babbo Natale non esiste erano associate a emozioni meno negative, in molti casi persino positive. Alcuni bambini e adulti dissero di essersi sentiti fieri e sollevati dal fatto di aver finalmente risolto da soli un mistero. Erano arrivati a capire la verità ragionando sull’assurdità della missione sul piano logico e ingegneristico, per esempio, oppure scoprendo e riconoscendo la carta da regalo dei regali di Babbo Natale nell’armadio dei loro genitori.

Dichiarandosi agnostiche sulla scelta se includere oppure no la credenza di Babbo Natale nelle tradizioni natalizie, Mills e Goldstein condivisero in un articolo sul New York Times qualche consiglio su come fare in modo che il momento della verità sia un’esperienza non per forza angosciante. Il primo e più importante è «rispettare la crescente indipendenza mentale» dei bambini, evitando quindi di insistere troppo in discorsi su Babbo Natale. Un altro consiglio è limitare le bugie, senza dar per scontato che qualsiasi domanda sul tema implichi necessariamente una scelta tra mentire e farla finita con la storiella. Si può sempre girare intorno alla risposta, per esempio, o riconoscere che la domanda posta è una domanda intelligente.

Indipendentemente dalle scelte degli adulti su come gestire le interazioni natalizie con i bambini, l’evoluzione della credenza dei bambini su Babbo Natale è utile a capire diversi processi del loro sviluppo cognitivo.

Nel 2014 lo scienziato e divulgatore Richard Dawkins disse al Guardian che le favole sono uno strumento utile per stimolare la creatività nei bambini e predisporli a rifiutare, anziché accettare, le spiegazioni soprannaturali. La storiella di Babbo Natale è preziosa proprio perché permette ai bambini di imparare che alcune cose che vengono dette loro non sono vere. «Sfortunatamente in alcuni casi non sembra avere l’effetto desiderato, perché dopo che i bambini hanno imparato che Babbo Natale non esiste, misteriosamente, continuano a credere che esista un Dio», aggiunse Dawkins.

Inoltre, secondo uno studio di Jacqueline Woolley e Maliki Ghossainy, psicologhe dell’università del Texas a Austin, l’idea che i bambini siano più ingenui degli adulti e più inclini a credere a qualsiasi cosa è sbagliata. Al contrario, nell’attribuire lo status di realtà a ciò di cui fanno esperienza, i bambini sono considerevolmente più diffidenti di quanto ci si potrebbe aspettare. E in generale, quando si sbagliano sulla realtà degli eventi, sbagliano – come gli adulti – in due modi possibili: o per eccesso di scetticismo, o per eccesso di credulità.

Sia nelle conversazioni comuni che in parte della letteratura scientifica l’esempio dell’evoluzione della credenza su Babbo Natale è spesso fuorviante, secondo Woolley e Ghossainy, perché è usato come prova di un modello della conoscenza umana che presuppone un passaggio progressivo da una posizione iniziale di piena credulità a una di scetticismo. Ma lo sviluppo cognitivo dei bambini mostra in molti casi che il processo avviene esattamente nel senso opposto: è probabile che bambini di quattro anni siano più scettici di bambini di sei. Il modello di conoscenza umana più realistico è in generale molto dinamico e malleabile, e presuppone la continua ricerca di un equilibrio tra accettazione e dubbio.

Credere a Babbo Natale, in altre parole, non dipende da una condizione intrinseca di maggiore credulità dei bambini, ma piuttosto da un limite di informazioni, conoscenze ed esperienze su cui possono fare affidamento. Secondo Woolley e Ghossainy lo scetticismo ingenuo dei bambini e i loro pregiudizi iniziali verso ciò che si presenta come reale vengono meno man mano che aumentano intorno a loro le prove dell’esistenza di quella cosa: soprattutto le testimonianze degli adulti, data la comprovata tendenza generale dei bambini a presumere che gli adulti parlino soltanto di cose reali.

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