In Islanda si discute di nuovo se entrare nell’Unione Europea
Il nuovo governo ha promesso di indire un referendum entro il 2027, e secondo i sondaggi le persone favorevoli sono molto aumentate negli ultimi anni
Il nuovo governo islandese che si è insediato sabato ha inserito nel proprio programma l’organizzazione di un referendum sull’ingresso nell’Unione Europea entro il 2027. È una possibilità di cui in Islanda si riparla ciclicamente. Finora però non si era mai arrivati concretamente a un voto: il fatto che il governo abbia promesso un referendum ha ridato concretezza a un dibattito piuttosto sentito nel paese.
Il nuovo governo, di centrosinistra, non ha promesso soltanto un referendum ma anche l’istituzione di una commissione di esperti indipendenti per valutare i vantaggi e gli svantaggi relativi all’uso della corona islandese e le altre opzioni in termini di valuta (cioè: adottare l’euro). L’impegno delle forze europeiste per un referendum non è nuovo, ma ormai da mesi la proposta per indire un voto era fermo nell’Althing, il parlamento islandese.
Il nuovo governo si è insediato nel fine settimana ed è il risultato delle elezioni anticipate che si erano tenute a fine novembre in seguito a disaccordi che avevano portato alla caduta del governo precedente. È formato da un’alleanza di tre partiti: i Socialdemocratici, di centrosinistra, che alle elezioni avevano ottenuto il maggior numero di voti (20,8 per cento); i Riformisti (15,8), un partito liberale di centro, e il Partito del Popolo (13,8), di centro. Sarà guidato da Kristrún Frostadóttir, leader 36enne dei Socialdemocratici, che sabato è diventata la persona più giovane a capo di un governo nella storia del paese.
Il referendum sull’ingresso nell’Unione Europea era stata una proposta dei Riformisti, mentre durante la campagna elettorale i Socialdemocratici e Frostadóttir erano stati più cauti. In Islanda non c’è un consenso netto su questo tema: secondo gli ultimi sondaggi, realizzati a giugno di quest’anno, solo il 54 per cento degli islandesi oggi approverebbe l’ingresso nell’Unione. È comunque una percentuale maggiore rispetto al passato, dal momento che poco più di dieci anni fa era data attorno al 25 per cento. Inoltre, la grande maggioranza degli islandesi (il 74 per cento) dice di essere d’accordo con l’idea di porre la questione in un referendum, a prescindere da cosa voterebbe.
L’Islanda fece domanda per entrare nell’Unione Europea per la prima volta nel luglio del 2009, poco dopo la crisi finanziaria globale che nel paese causò il crollo della corona e una gravissima recessione. All’epoca il governo di centrosinistra riteneva che l’ingresso nell’Unione, e soprattutto l’adozione dell’euro, potesse essere un modo per facilitare la fine della crisi economica. Meno di un anno dopo cominciarono i negoziati formali, che nel maggio del 2013 portarono al raggiungimento di un accordo su circa un terzo delle questioni.
I negoziati vennero messi in pausa in seguito alle elezioni del 2013, che avevano portato all’insediamento di un nuovo governo formato da due partiti conservatori ed euroscettici (il Partito Progressista e il Partito dell’Indipendenza). A marzo del 2015 l’Islanda annunciò di aver formalmente ritirato la sua domanda, perdendo lo status di paese candidato. Nonostante non sia mai entrato nell’Unione, il paese è comunque già molto integrato con l’eurozona: fa parte dell’area Schengen, dell’Associazione europea di libero scambio e dell’accordo di Dublino sull’accoglienza delle richieste di asilo.
All’epoca dei primi negoziati una delle questioni più problematiche era la pesca: è uno dei settori più importanti dell’economia islandese, che il governo non intendeva sottoporre alla regolamentazione delle quote. Oggi un tema più divisivo potrebbe riguardare le conseguenze che l’ingresso nell’UE avrebbe sull’immigrazione. Per la prima volta durante l’ultima campagna elettorale se n’è parlato molto più che in passato, anche perché nell’ultimo periodo il numero di persone straniere nel paese è cresciuto molto. Uno dei partiti che avevano spinto di più su una retorica nazionalista era stato proprio il Partito del Popolo, che è entrato nella coalizione di governo.
Gli argomenti a favore dell’ingresso nell’Unione riguardano invece l’economia: a febbraio del 2023 l’inflazione in Islanda aveva superato il 10 per cento e, sebbene sia scesa, oggi è ancora di poco inferiore al 5 per cento. La riduzione del costo della vita è stata inserita dall’alleanza tra gli obiettivi principali di questo governo e secondo alcuni far parte dell’Unione Europea garantirebbe un vantaggio per il commercio islandese, mentre l’adozione dell’euro una minore volatilità del cambio.