Eddie Vedder resta sempre lo stesso

Suona nella stessa band da più di trent'anni, ed è considerato il principale custode del “sound di Seattle”: oggi compie sessant'anni

(Gareth Cattermole/Getty Images)
(Gareth Cattermole/Getty Images)
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Quando cominciò a suonare nei Pearl Jam e ad animare la scena della musica grunge che veniva suonata negli anni Novanta a Seattle, Eddie Vedder aveva 26 anni e si guadagnava da vivere con lavori saltuari. Oggi ne compie 60, e dopo 12 dischi in studio, una quantità spropositata di tour internazionali e qualche cambio di formazione interno al gruppo, il lavoro con i Pearl Jam continua a occupare la maggior parte del suo tempo. E lui è amato, rispettato e considerato una sorta di “protettore” di quell’eredità.

Anche l’approccio è rimasto più o meno lo stesso: continua a raccontare le stesse cose, a vestirsi nello stesso modo, e anche le movenze che ha sul palco sono pressoché identiche a quelle di 34 anni fa.

Oltre a essere considerato uno dei principali esponenti dei valori fondativi del grunge, negli anni Vedder ha saputo affermarsi come una delle personalità più stimate del rock anche per alcuni aspetti della sua personalità, come le divagazioni profonde che si concede spesso durante le interviste, le sue opinioni progressiste in tema di diritti civili, il suo modo gentile di relazionarsi col pubblico e l’entusiasmo genuino con cui approccia le sue passioni extramusicali, come il surf e il baseball.

Vedder nacque come Edward Louis Severson III il 23 dicembre 1964 a Evanston, una città dello stato americano dell’Illinois, da Karen Lee Vedder ed Edward Louis Severson Jr. I suoi genitori divorziarono quando aveva appena un anno, e per molto tempo crebbe credendo che il compagno di sua madre, Peter Mueller, fosse il suo padre biologico. Scoprì la verità soltanto durante l’adolescenza, quando decise di assumere il cognome da nubile di sua madre: “Alive”, una delle canzoni più famose dei Pearl Jam, racconta il trauma che visse dopo questa rivelazione.

Vedder cominciò a interessarsi alla musica quando si trasferì a San Diego, in California, insieme alla famiglia. Sviluppò una grande passione per gruppi come i Beatles, i Pink Floyd, i Clash e soprattutto gli Who, una band che ha citato spesso come un’influenza fondamentale. L’idea di combinare qualcosa con la musica cominciò a balenargli in testa dopo il Natale del 1976, quando sua madre gli regalò una chitarra elettrica.

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Scrisse canzoni durante tutto il periodo delle scuole superiori, e agli inizi degli anni Ottanta cominciò a suonare in diversi gruppi che gravitavano nell’area di San Diego, tra cui i Surf, i Destroy e gli Indian Style, la band in cui suonava Brad Wilk, che negli anni successivi sarebbe diventato il batterista dei Rage Against the Machine. In quel periodo alternò i concerti e le registrazioni di demo casalinghe a lavoretti improvvisati, tra cui quello di addetto alla sicurezza in un hotel di La Jolla, una famosa località turistica californiana.

Entrò a far parte dei Pearl Jam nel 1990, per una circostanza molto sfortunata: in quel periodo due musicisti molto rispettati della nascente scena del grunge di Seattle, il bassista Jeff Ament e il chitarrista Stone Gossard, stavano cercando qualcuno che sostituisse Andrew Wood, il cantante dei Mother Love Bone, la band in cui avevano suonato nel triennio precedente, morto per un’overdose di eroina pochi giorni prima della pubblicazione del disco d’esordio.

Insieme prepararono un nastro con la musica di alcune canzoni per cercare un cantante e un batterista: quel nastro arrivò proprio a San Diego, tra le mani di Vedder, che scrisse i testi, registrò la voce su tutte le canzoni, rimandò il nastro, e fu arruolato insieme al batterista Dave Krusen. La nuova band si diede prima il nome di Mookie Blaylock, e poi di Pearl Jam.

La voce di Vedder, intensa e baritonale, si rivelò perfetta per i riff di chitarra sporchi e aggressivi di Gossard, e anche per dare una maggiore forza espressiva alle cose che scriveva. Mentre i testi di gruppi come Soundgarden, Alice in Chains e Nirvana erano incentrati su una disperazione di fondo molto esasperata, quelli dei Pearl Jam trasmettevano messaggi positivi e di rivalsa.

Anche la struttura delle canzoni dei Pearl Jam era diversa da quella tipica della concorrenza: agli arpeggi malinconici che andavano di moda a Seattle preferivano i riff di chitarra tipici del rock degli anni Settanta, e tutti i ritornelli assomigliavano a cori da stadio, perfetti per essere cantati a squarciagola durante i concerti. Canzoni come “Better Man”, “Even Flow”, “Alive” e “Jeremy” sono esempi di questo approccio.

Il 27 agosto 1991 fu pubblicato il risultato di questa complicità artistica: Ten, il primo disco del gruppo, che contribuì in modo decisivo insieme a quelli dei Nirvana, degli Alice in Chains e dei Soundgarden a definire il “sound di Seattle”, termine che indicava un genere musicale e una sottocultura di successo mondiale, che si portò dietro tutto un repertorio di culture e mode.

Da allora i Pearl Jam hanno pubblicato altri 11 album, mantenendo in tutti i casi lo stesso approccio degli esordi: l’ultimo, Dark Matter, è stato pubblicato pochi mesi fa. Da una quindicina d’anni Vedder si dedica anche alla carriera da solista, anche se con più discontinuità: nel 2007 compose la colonna sonora del film Into The Wild, di grande successo, e quattro anni dopo un disco di cantautorato classico in cui si accompagnava soltanto con l’ukulele. Nel 2022 ha pubblicato Earthling, un album che per suoni e testi si avvicina molto di più alla proposta musicale tipica dei Pearl Jam. 

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