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  • Lunedì 23 dicembre 2024

Sono passati 40 anni dalla strage del Rapido 904

Il 23 dicembre del 1984 una bomba esplose sul treno che viaggiava tra Napoli e Milano, uccidendo 16 persone e ferendone centinaia

Il treno sventrato dall'esplosione nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, vicino a Bologna, 23 dicembre 1984 (ANSA)
Il treno sventrato dall'esplosione nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, vicino a Bologna, 23 dicembre 1984 (ANSA)
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Il 23 dicembre di 40 anni fa, alle 19:08, una bomba esplose sul treno Rapido 904 in un punto a metà tra le stazioni di Firenze e Bologna: 16 persone vennero uccise e più di 250 rimasero ferite. I media la soprannominarono “strage di Natale”, perché il treno era pieno di persone che rientravano a casa per le feste. Fu un evento che colpì molto l’opinione pubblica, sia per la sua drammaticità, sia perché avvenne 4 anni dopo l’ultima grande strage dell’epoca della tensione, quella alla stazione di Bologna. Quella del Rapido 904 venne considerata in seguito una sorta di ponte tra due momenti della storia italiana: pochi anni dopo, all’inizio degli anni Novanta, cominciarono infatti gli anni dello stragismo mafioso.

Per i fatti di quel 23 dicembre la magistratura riuscì a dimostrare, anni dopo, il coinvolgimento di uomini della mafia e della camorra, oltre a quello di esponenti dell’estrema destra italiana. Tuttavia non si arrivò mai a una condanna definitiva di tutti i mandanti della strage. A febbraio di quest’anno la procura distrettuale antimafia di Firenze ha quindi riaperto le indagini, nel tentativo di accertare definitivamente le responsabilità e i collegamenti tra lo stragismo mafioso, la politica e i servizi segreti.

Secondo gli investigatori, la bomba sul Rapido 904 era stata sistemata sopra una rete portabagagli nella carrozza 9, in seconda classe. Qualcuno era salito per posizionarla lì alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, l’ultima grande città che il treno attraversò prima dell’esplosione. Partito alle 13 da Napoli Centrale, il treno avrebbe dovuto raggiungere Milano alle 22. Intorno alle 19 entrò nella Grande galleria dell’Appennino, un tunnel lungo meno di 20 chilometri a metà tra Firenze e Bologna. Esplose quando si trovava più o meno a metà.

Le lamiere del Rapido 904, 23 dicembre 1984 (ANSA)

Lo scoppio, nello spazio chiuso della galleria, fu particolarmente potente. Tutti i finestrini e i vetri andarono in frantumi. La carrozza 9 fu sventrata, 15 persone morirono sul colpo e un’altra in seguito. Moltissimi dei passeggeri riportarono ferite. Qualcuno tirò il freno d’emergenza e il treno si trovò bloccato al centro della galleria, con la carrozza nove in fiamme che emetteva fumo soffocante. Tra il caos, il freddo, il fumo e il buio (le luci di emergenza della galleria erano deboli e si spensero in fretta), l’attentato avrebbe potuto avere conseguenze enormemente più gravi, ma la fortuna e l’abilità dei soccorritori fecero sì che tutti i passeggeri superstiti fossero portati in salvo.

Le indagini di magistrati e forze dell’ordine si diressero subito verso la pista della criminalità organizzata, soprattutto poiché prima della strage un collaboratore di polizia aveva anticipato che alcuni appartenenti alla camorra stavano preparando un attentato. Proseguirono in fretta. Nel corso del 1985 scoprirono in una casa di Rieti dell’esplosivo simile a quello usato nell’attentato, detonatori e congegni per innescare un’esplosione a distanza.

Nell’ottobre del 1985, meno di un anno dopo, la magistratura incriminò il boss di Cosa Nostra Pippo Calò come mandante della strage e insieme a lui altre 22 persone per averla eseguita materialmente e aver procurato gli esplosivi. In particolare, i camorristi del clan Misso (dal nome del suo capo, Giuseppe Misso) erano accusati di aver eseguito materialmente la strage, mentre alcuni neofascisti erano accusati di aver fornito ai mafiosi l’esplosivo e gli altri congegni necessari a costruire la bomba.

Un momento di uno dei processi per la strage del rapido 904 nell’aula bunker di Firenze, 13 gennaio 2015 (Maurizio Degl’Innocenti, ANSA)

Proprio in quei mesi, in Sicilia, stava cominciando il maxi processo contro Cosa Nostra istruito dal giudice Giovanni Falcone: secondo gli investigatori la strage del Rapido 904 era una risposta a quel processo. L’allora pm Piero Luigi Vigna scrisse che il mandante della strage era Calò e lo aveva fatto per conto di Cosa Nostra, che con la strage aveva «lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato».

Gran parte degli imputati fu condannata in primo grado e poi in appello. Arrivate in Cassazione, però, quasi tutte le condanne furono annullate dal giudice Corrado Carnevale, una controversa figura all’epoca soprannominata «l’ammazzasentenze». Carnevale ordinò di rifare il processo di appello, che però giunse alle stesse conclusioni.

La sentenza fu infine confermata dalla Cassazione nel 1992. Calò e il suo braccio destro Guido Cercola (poi morto suicida in carcere nel 2005) furono condannati all’ergastolo; Franco Di Agostino, esponente di Cosa Nostra, venne condannato per aver piazzato la bomba; il cittadino di nazionalità tedesca Friedrich Schaudinn, sfuggito alla giustizia italiana grazie a una fuga in Germania, fu ritenuto responsabile dei sistemi per far detonare la bomba. Vennero condannati anche alcuni camorristi e il deputato neofascista del Movimento Sociale Italiano Massimo Abbatangelo, per detenzione di esplosivo.

Negli anni successivi i giudici provarono a condannare come mandante della strage Totò Riina, che all’epoca stava diventando il capo assoluto di Cosa Nostra. La procura di Firenze aveva chiesto per lui il rinvio a giudizio nel 2013: due anni dopo il boss venne assolto in primo grado per mancanza di prove. Morì poco prima dell’inizio del processo di appello, nel 2017.

– Ascolta anche: Grande Galleria dell’Appennino, 23 dicembre 1984: la strage di Natale