• Mondo
  • Domenica 22 dicembre 2024

Tutti i gruppi della nuova Siria

Hayat Tahrir al Sham è oggi il più importante, ma ci sono anche i curdi, i filo turchi e pure lo Stato Islamico

(AP Photo/Leo Correa)
(AP Photo/Leo Correa)
Caricamento player

La fine del regime di Bashar al Assad in Siria ha concentrato molte attenzioni su Hayat Tahrir al Sham (HTS), il principale tra i gruppi di insorti che hanno rovesciato la dittatura. Benché effettivamente HTS e il suo leader Ahmed al Sharaa (più noto con il suo nome di battaglia Abu Mohammed al Jolani) siano oggi la forza principale, i gruppi attivi in questo momento in Siria sono numerosi, e alcuni controllano territori molto ampi.

HTS e tutti gli altri
Hayat Tahrir al Sham era, fino a un mese fa, quello che rimaneva dell’ampia e variegata coalizione che nel 2011 si era sollevata contro la dittatura di Bashar al Assad. Nato come gruppo jihadista, dapprima come prestanome dello Stato Islamico, poi come gruppo affiliato ad al Qaida, nel 2017 HTS si era ridotto a controllare la provincia di Idlib, spesso assediato dall’esercito assadista. A Idlib però HTS aveva avviato un percorso di moderazione ideologica e istituzionale, e oggi Ahmed al Sharaa sta cercando di presentarsi come un leader affidabile e laico.

HTS è di gran lunga il principale gruppo degli insorti, ma non è l’unico: alla prima offensiva di queste settimane, quella che ha portato alla conquista di Aleppo, hanno partecipato assieme a HTS numerosi altri gruppi armati, più piccoli e meno influenti ma comunque capaci di radunare migliaia di miliziani. Tra questi ci sono il Fronte di liberazione nazionale, una coalizione di gruppi armati attiva a Idlib, il gruppo jihadista Ahrar al Sham e altre formazioni come Jaish al Izza e il movimento Nur Eddin Zinki, originario di Aleppo. Tutti questi gruppi sono alleati fra loro, sono costantemente in contatto e riconoscono almeno al momento la leadership di Ahmed al Sharaa.

I ribelli del sud
Un altro gruppo di insorti importante è il cosiddetto Fronte del sud, un’ampia coalizione costituita da più di una cinquantina di fazioni ribelli che operava nella provincia di Daraa, nella punta sud-ovest della Siria. Negli ultimi anni questi ribelli erano passati attraverso un processo di cosiddetta «riconciliazione» con il regime e avevano accettato di deporre le armi per sempre in cambio della libertà: di fatto controllavano in autonomia il 70 per cento della provincia, senza essere troppo disturbati dal regime.

Ma quando, a nord, è partita l’offensiva di Aleppo, anche il Fronte del sud ha cominciato a muoversi: vista la vicinanza geografica, sono stati i primi ribelli ad arrivare alla capitale Damasco, prima ancora di quelli di HTS.

I curdi
Nel nord-est del paese più del 30 per cento del territorio siriano è controllato dai curdi, che durante la guerra civile sono riusciti a ritagliarsi un proprio ampio spazio di autonomia nel “Rojava”, versione breve di “Rojava Kurdistan” (cioè “Kurdistan occidentale”), e anche in altre zone limitrofe. Di fatto si governano come un’entità autonoma, con proprie leggi e istituzioni.

Durante la guerra i curdi siriani costituirono un proprio esercito, le Forze democratiche siriane (SDF), che contiene al suo interno sia i principali gruppi armati curdi (come lo YPG, Unità di protezione popolare, la più famosa milizia curda) sia altre milizie locali e in molti casi formate da arabi. Le SDF sono anche sostenute dagli Stati Uniti, che usarono i curdi siriani e iracheni come forza sul terreno per attaccare lo Stato Islamico negli anni in cui c’era il Califfato tra Siria e Iraq.

In questo momento i curdi si trovano però in seria difficoltà, minacciati dalla Turchia (che li considera vicini al PKK, il gruppo indipendentista e terroristico dei curdi turchi) e dalle milizie che la Turchia controlla e sostiene. Non è nemmeno del tutto chiaro in che modo si svilupperanno i rapporti con HTS e il governo di Damasco.

Mazloum Abdi, detto anche Mazloum Kobane, il comandante delle SDF

Mazloum Abdi, detto anche Mazloum Kobane, il comandante delle SDF (AP Photo/Baderkhan Ahmad)

I gruppi filo turchi
La Turchia teme la presenza di un’ampia area governata da curdi vicini al PKK a ridosso dei suoi confini, e per questo ha adottato due misure principali negli scorsi anni. Ha creato lungo il confine delle “zone cuscinetto”, la più importante delle quali fu ricavata nel 2019 con un’invasione del Rojava, e soprattutto ha finanziato, armato e sostenuto milizie siriane che le sono fedeli.

La più importante di queste è l’Esercito nazionale siriano (SNA nell’acronimo inglese), un gruppo armato che di fatto risponde agli ordini della Turchia (anche altri gruppi, compreso HTS, hanno rapporti di collaborazione con la Turchia, ma nessuno così stretto). Anche il SNA ha origini antiche: nacque come Esercito siriano libero (FSA) nel 2011 da un gruppo di ufficiali dell’esercito siriano che si ribellarono al regime di Assad. A lungo l’FSA fu la principale forza armata dell’opposizione siriana laica, ma con gli anni fu via via indebolito sia dall’esercito assadista sia dai gruppi islamisti e jihadisti. Nel 2016 quel che rimaneva dell’FSA fu precettato dalla Turchia, che in quel momento stava creando una nuova milizia fedele, che sarebbe poi diventata il SNA.

In queste settimane, dopo la caduta del regime di Assad, il SNA sta attaccando le postazioni curde lungo tutto il confine nord della Siria, con l’obiettivo di espandere la “zona cuscinetto” al confine con la Turchia.

Lo Stato Islamico
Lo Stato Islamico, che un tempo fu il più aggressivo gruppo terroristico al mondo, fu sconfitto dal punto di vista territoriale nel 2019, da una coalizione a guida statunitense che aveva come principale forza di terra i guerrieri curdi siriani e iracheni. Ma cellule e gruppi dello Stato Islamico sono ancora attivi nelle zone desertiche nell’oriente siriano, in particolare nelle province di Deir Ezzor e Raqqa. La loro attività sta aumentando: come ha scritto Le Monde, tra gennaio e giugno del 2024 le cellule dello Stato Islamico hanno rivendicato 153 attacchi armati tra Siria e Iraq, e se anche nella seconda metà dell’anno gli attacchi continueranno allo stesso ritmo potrebbero essere il doppio di quelli rivendicati nel 2023.

A contrastare lo Stato Islamico ci pensano soprattutto gli Stati Uniti, che hanno ancora circa 900 soldati in Siria, divisi tra la base militare di Al Tanf, a sud, e le zone curde, a nord. Il giorno della caduta del regime gli Stati Uniti annunciarono di aver fatto decine di bombardamenti contro postazioni dello Stato Islamico, per impedire che i terroristi si approfittassero del caos per prendere terreno.

Un guerriero delle SDF brucia una bandiera dello Stato Islamico nel 2017

Un guerriero delle SDF brucia una bandiera dello Stato Islamico nel 2017 (AP Photo/Hussein Malla, File)

Le minoranze
La Siria è un paese a maggioranza sunnita, ma nel paese esistono ampie minoranze, anche armate. Una delle più importanti è quella dei drusi, che costituisce meno del 5 per cento della popolazione ma hanno una forte base di potere attorno alla città di Sweida, a sud. Durante l’insurrezione di HTS anche i drusi di Sweida hanno attaccato le forze del regime assadista, scacciandole dalla città.

Un’altra grossa minoranza è quella degli alawiti, una setta nata dall’islam sciita che costituiscono circa il 10 per cento della popolazione siriana. Gli alawiti erano i siriani più vicini al regime, perché anche la famiglia Assad era alawita e aveva scelto tra gli alawiti i suoi collaboratori più fedeli. Alcuni gruppi minori di alawiti, però, hanno partecipato alle insurrezioni.