Carlo Messina, la politica e il “risiko bancario”
Secondo l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo i governi dovrebbero restare fuori dalle operazioni societarie delle banche, come quelle che sta tentando Unicredit
In un’intervista al Financial Times Carlo Messina ha commentato gli ultimi avvenimenti del cosiddetto “risiko bancario”, quell’espressione usata dai giornali per riferirsi al grande e continuo movimento di acquisizioni e fusioni nel settore bancario italiano ed europeo. Messina è l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo – la prima banca italiana per capitalizzazione di mercato, cioè per il valore delle azioni in circolazione – e le sue dichiarazioni sono state piuttosto esplicite rispetto alle consuete interviste moderate dei banchieri.
Ha detto che «i governi non possono scegliere in base ai loro gusti» e che «dovrebbero intervenire solo nei casi in cui è in gioco la stabilità finanziaria». È un riferimento neanche troppo velato alle evidenti e controverse interferenze del governo tedesco e di quello italiano sulle operazioni di Unicredit, la seconda banca italiana per capitalizzazione. Per cercare di ingrandirsi sul mercato e superare Intesa, al momento Unicredit è impegnata in due acquisizioni corpose: da una parte vorrebbe comprare la grande banca tedesca Commerzbank, di cui è recentemente arrivata a detenere quasi il 30 per cento, e dall’altra Banco BPM, la quinta banca italiana per capitalizzazione.
Il governo tedesco non ha gradito fin dall’inizio che Unicredit acquisisse una partecipazione in Commerzbank, poiché non vede di buon occhio la possibilità che una delle più importanti banche tedesche venga comprata da una italiana. È una posizione del tutto politica, e peraltro in contrasto con l’obiettivo europeo di creare un vero mercato bancario comune.
Il governo tedesco è azionista di Commerzbank da quando l’ha salvata dal dissesto durante la crisi dei debiti sovrani del 2011/2012, ma da allora ha ridotto gradualmente la sua partecipazione. Lo scorso settembre Unicredit aveva iniziato la sua graduale operazione di acquisizione proprio comprando parte del primo pacchetto di azioni dal governo tedesco, che le aveva messe in vendita sul mercato e che reagì male quando scoprì chi le aveva comprate. Si creò un caso politico, in cui il governo fu accusato di non saper difendere le banche tedesche da tentativi ostili di acquisizione.
A settembre Unicredit comprò il 9 per cento di Commerzbank, e nel giro di qualche settimana arrivò al 21 per cento. L’ostilità del governo tedesco e la crisi politica interna, terminata poi con la sfiducia al cancelliere Olaf Scholz e l’indizione di elezioni anticipate, avevano fatto presumere che Unicredit avrebbe sospeso l’operazione. Così non è stato e nei giorni scorsi ha aumentato la sua partecipazione al 28,5, in aperta sfida al governo tedesco, che anzi le ha pubblicamente chiesto di vendere le sue azioni in Commerzbank e di non procedere con il tentativo di acquisizione. Secondo la legge tedesca il governo non può decidere di bloccare l’operazione, ma difficilmente Unicredit riuscirà a comprare la banca senza il consenso della politica.
«È chiaro che oggi siamo in una fase in cui il consenso politico si costruisce sulla difesa dei confini nazionali in alcuni settori, ma Unicredit possiede già una grande banca tedesca», ha detto Messina, riferendosi a HypoVereinsbank, con sede a Monaco e di proprietà di Unicredit, e motivo per cui l’operazione su Commerzbank sarebbe vantaggiosa per la banca italiana: riuscirebbe così a rafforzare ulteriormente la sua presenza in Germania.
Un caso politico simile, che si basa cioè su una certa componente di sovranismo, si è creato anche in Italia. A novembre Unicredit, nel bel mezzo dell’operazione Commerzbank, ha avviato le pratiche per un’Offerta Pubblica di Scambio su Banco BPM, con l’obiettivo di acquisirla del tutto. L’operazione fu criticata dal governo italiano. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti disse che avrebbe valutato di bloccarla col golden power e il ministro Matteo Salvini la definì una mossa predatoria verso il sistema bancario italiano: «Unicredit ormai di italiano ha poco e niente, è una banca straniera», disse.
In realtà c’erano motivazioni ben più concrete. La mossa di Unicredit fu vista dal governo italiano come un’interferenza nella vendita di MPS, banca ancora in gran parte di proprietà dello Stato e per cui da anni i governi che si sono succeduti cercano un acquirente, per ora senza successo. Banco BPM ne aveva comprato recentemente il 5 per cento, ma non c’erano elementi concreti che facessero presupporre un reale interesse. Un’eventuale acquisizione da parte di Unicredit avrebbe di fatto interrotto sul nascere l’operazione MPS, su cui il governo punta molto: vuole incassare complessivamente circa due miliardi di euro, che rientrano nell’ambito di un ambizioso piano di privatizzazioni con cui prevede di ottenere circa venti miliardi di euro entro il 2026.
Da allora il governo italiano ha tenuto un atteggiamento quantomeno ambiguo: ha contrastato pubblicamente l’operazione di Unicredit, ma qualche settimana dopo ha di fatto avallato l’aumento della quota in Banco BPM di Crédit Agricole, questa sì una banca straniera che da tempo sta cercando di conquistare il mercato italiano.
Messina si è mostrato dunque critico di fronte alle ingerenze dei due governi, italiano e tedesco, nelle attività di Unicredit: «Sono gli azionisti […] coloro che investono nelle aziende […] a determinarne il futuro», non i governi, ha detto. Intesa peraltro non ha al momento alcun ruolo nel “risiko bancario”: l’ultima operazione di rilievo risale al 2020, quando prese il controllo di Ubi Banca, per poi incorporarla del tutto l’anno seguente.
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