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  • Sabato 21 dicembre 2024

Parlare delle violenze subite, senza vergognarsene

Grazie al processo di Gisèle Pelicot molte persone in Francia hanno iniziato a farlo più spesso, tra loro e con le associazioni competenti

di Ginevra Falciani

Alcune attiviste con le bandiere dei CIDFF e del Planning Familial a una manifestazione femminista a Parigi a marzo 2024 (Anna Margueritat / HANS LUCAS)
Alcune attiviste con le bandiere dei CIDFF e del Planning Familial a una manifestazione femminista a Parigi a marzo 2024 (Anna Margueritat / HANS LUCAS)
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Al secondo piano di un palazzo in un quartiere periferico di Avignone c’è il Centro di informazione sui diritti delle donne e della famiglia (CIDFF) della regione di Vaucluse. Ci lavorano 11 persone (due uomini e nove donne) e da circa tre mesi il telefono squilla sempre più spesso: a chiamare sono donne che hanno subìto o stanno subendo violenza, quasi sempre domestica, e che vogliono informarsi su come uscire da quella situazione.

L’aumento delle telefonate al CIDFF è una conseguenza indiretta del processo sugli stupri subiti da Gisèle Pelicot, cominciato il 2 settembre al tribunale di Avignone e terminato giovedì 19 dicembre con condanne per tutti i 51 imputati, fra cui quella a vent’anni di carcere per il suo ex marito. La decisione di Gisèle Pelicot di avere un processo pubblico e le sue prese di posizione femministe sul tema dello stupro hanno riaperto in Francia un grande dibattito sulla cosiddetta “cultura dello stupro” e hanno dato a molte donne, ma anche ad alcuni uomini, il coraggio di parlare più apertamente della loro esperienza di violenza.

Era uno degli obiettivi di Gisèle Pelicot, che ha detto fin da subito di aver scelto un processo pubblico perché «forse una mattina una donna che si sveglia senza memoria penserà alla mia testimonianza» e perché «le donne dicano: “se ce l’ha fatta la signora Pelicot, posso farlo anche io”». In una delle sue testimonianze ha anche affermato che «non spetta a noi provare vergogna, ma a loro», riferendosi agli stupratori.

– Leggi anche: Perché il processo di Gisèle Pelicot è così seguito

Alcune persone hanno iniziato a parlare delle loro esperienze con amici e familiari, altre con i giornali: per esempio Chloè, una segretaria di uno studio medico di Nancy che è stata violentata quando aveva 18 anni, ha detto a Franceinfo che «vedere Gisèle così forte, vedere che non si sente in colpa, mi restituisce la fiducia in me stessa. Mi dico che non sono colpevole».

È un fenomeno che si verifica spesso in casi come questo. Nonostante sia ancora troppo presto per avere delle cifre ufficiali a livello nazionale, diverse attiviste francesi con cui ha parlato il Post hanno fatto un parallelo tra quello che sta succedendo in Francia e quello che è avvenuto in Italia dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, in seguito al quale le chiamate al 1522, il numero gratuito per le donne vittime di violenza e stalking, sono aumentate di oltre il 50 per cento.

A differenza dell’Italia, però, in Francia la mobilitazione è stata molto più concreta e la storia di Pelicot è stata raccontata dai media soprattutto da un punto di vista sociale e politico, mettendo in discussione innanzitutto la cultura dello stupro e partendo dal singolo caso per parlare di una violenza che è strutturale.

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Un cartello con la scritta “Grazie per il suo coraggio Gisèle Pelicot” davanti al tribunale di Avignone all’alba del 19 dicembre 2024, il giorno in cui è stata emessa la sentenza (Laurent Coust/ABACAPRESS.COM/ANSA)

Anche in Francia esiste un numero gratuito antiviolenza, il 3919. Dal 15 ottobre inoltre è stata istituita una linea nazionale di assistenza speciale per le vittime della cosiddetta “sottomissione chimica”, la pratica che Dominique Pelicot usava su sua moglie e che nonostante sia molto comune è diventata nota in Francia solo di recente proprio grazie al processo: consiste nel drogare una persona a sua insaputa per abusarne, senza che lei possa reagire e talvolta nemmeno rendersene conto.

In questi due mesi le chiamate non hanno fatto che aumentare e ora sono circa dieci al giorno: è un numero molto minore rispetto a quello delle chiamate che arrivano al 3919, che secondo i dati più recenti riceve una media di 255 telefonate al giorno, ma bisogna considerare che questa seconda linea esiste solo da poche settimane ed è stata pensata in modo specifico per le persone che hanno subìto o pensano di essere state vittime di sottomissione chimica.

Leila Chaouachi, farmacista ed esperta di sottomissioni chimiche, ha detto a Franceinfo che a chiamare il numero sono anche diversi medici che cercano informazioni per paura di non accorgersi di avere in cura una paziente che è stata vittima di questa pratica. «Quando ci chiamano, ci dicono che hanno sentito parlare del processo Pelicot, che sono sbalorditi da un caso come questo», ha detto Chaouachi.

Attiviste che tengono in mano dei cartelli con i nomi delle 900 donne vittima di femminicidio in Francia dall’inizio della presidenza di Emmanuel Macron, nel 2017, in occasione della manifestazione per l’8 marzo 2024 a Parigi. Sul cartello c’è scritto: “In Francia nel 2024 un uomo ha ucciso una donna ogni 2,5 giorni” (EPA/TERESA SUAREZ/ANSA)

Moltissime vittime di violenza continuano comunque a rivolgersi o a essere indirizzate dal 3919 ai Centri di informazione sui diritti delle donne e della famiglia (CIDFF). In Francia ce ne sono 112, sono finanziati dallo Stato e si occupano di informare e aiutare le donne in molti ambiti della loro vita e di fare incontri di prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole e nelle aziende. Una parte consistente del loro lavoro riguarda anche l’ascolto e l’accompagnamento delle vittime di violenza: solo nel 2023 i CIDFF hanno aiutato 150mila donne, di cui 60mila avevano subìto violenze sessuali, informandole dei loro diritti e offrendo loro sostegno psicologico e consulenza legale. 

– Leggi anche: Ad Avignone i collettivi femministi si fanno sentire

La maggiore apertura al dialogo sui temi della violenza sessuale è stata notata in tutta la Francia, ma è particolarmente evidente proprio ad Avignone, dove ignorare il processo Pelicot è stato quasi impossibile. Specialmente nelle prime settimane «il processo era all’aperitivo, al bar, dal panettiere, dappertutto», dice Aurélie Crea, presidente del Centro LGBT+ della città, un punto di ritrovo per molte realtà locali impegnate nella lotta trasversale alle discriminazioni. Questo ha portato a una condivisione collettiva delle storie di violenza, che ha fatto sentire tutti e tutte un po’ meno sole.

Julia Jan, una delle dipendenti del CIDFF di Avignone, ha detto al Post che il processo Pelicot ha avuto un impatto sul carico di lavoro e viene menzionato spesso dalle persone che si mettono in contatto con loro. Fra metà settembre e metà ottobre il centro ha seguito 83 vittime di violenza, rispetto alle 51 del mese precedente. In più dell’85 per cento dei casi si tratta di donne vittime di violenza domestica; la maggior parte di loro ha fra i 35 e i 50 anni. Dall’inizio del processo sono anche aumentati i colloqui fissati dalle operatrici del centro che riguardano situazioni di violenza urgenti.

Il palazzo dove si trova il CIDFF della regione di Vaucluse, ad Avignone, il 18 dicembre 2024 (Ginevra Falciani/il Post)

Jan aggiunge che fra le donne seguite dal centro ci sono anche delle italiane: alcune si sono trasferite in Francia per lavoro, altre per scappare dalle violenze; una ha detto di non aver avuto il coraggio di cercare aiuto prima perché non si fidava del sistema giudiziario italiano. Anche Muriel Trichet, presidente del Collettivo per i diritti delle donne di Avignone, ha detto che negli ultimi tre mesi molte donne, anche anziane, si sono avvicinate all’associazione per parlare degli stupri, e in particolare degli stupri coniugali, che avevano subìto, a volte molti anni prima.

Alcune donne hanno deciso di parlare delle loro esperienze anche con gli sconosciuti e le sconosciute con cui attendevano l’apertura del tribunale di Avignone per assistere alle udienze del processo. Negli scorsi mesi migliaia di persone, soprattutto donne, sono arrivate ad Avignone da tutta la Francia (e alcune anche da altri paesi europei) per sostenere Gisèle Pelicot nella sua decisione di avere un processo pubblico. Alcune hanno raccontato di come vederla e ringraziarla, e stare insieme ad altre decine di persone che erano lì per lo stesso motivo, abbia avuto un effetto catartico e le abbia aiutate a affrontare i loro traumi.

Spesso erano persone che non avevano mai denunciato lo stupro subìto, anche perché, a differenza del caso di Gisèle Pelicot, non c’erano foto o video che potessero essere usati come prove in un’aula di tribunale. Durante il suo breve discorso a seguito della sentenza di giovedì, Gisèle Pelicot si è rivolta per questo anche alle «vittime non riconosciute, le cui storie rimangono spesso nell’ombra», dicendo: «Voglio che sappiate che condividiamo la stessa lotta».

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