Anche Human Rights Watch accusa Israele di «atti di genocidio»
Per avere deliberatamente privato dell'acqua la popolazione palestinese della Striscia di Gaza
Human Rights Watch (HRW), una delle più note ong internazionali, ha pubblicato un rapporto in cui accusa Israele di compiere «atti di genocidio» e di sterminio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza. Al contrario delle accuse generali fatte qualche settimana fa da Amnesty International, HRW si è concentrata su un aspetto specifico: la deliberata privazione di acqua a cui Israele ha sottoposto la popolazione di Gaza, che potrebbe aver provocato o contribuito alla morte di migliaia di persone.
«Per più di un anno il governo israeliano nega intenzionalmente ai palestinesi la quantità minima di acqua di cui hanno bisogno per sopravvivere», ha detto in un comunicato Tirana Hassan, la direttrice di HRW. Nel rapporto si legge che la privazione dell’acqua «ha deliberatamente creato condizioni di vita calcolate per provocare la distruzione fisica dei palestinesi a Gaza, parziale o totale»: questo è uno dei requisiti del crimine di genocidio, per come è codificato dal diritto internazionale.
Israele non ha risposto alle accuse di HRW, ma ha sempre negato di commettere crimini nella Striscia di Gaza, e ha spesso accusato di antisemitismo chi lo sosteneva.
Secondo il rapporto di HRW, prima della guerra i civili di Gaza avevano a disposizione 83 litri d’acqua per persona al giorno per rispondere a tutte le loro necessità (bere, lavarsi, cucinare). Non era una quantità molto grande – in Israele i litri d’acqua al giorno sono 247 – ma era comunque abbastanza vicina al minimo considerato necessario dall’Organizzazione mondiale della sanità, che è di 50-100. Con l’inizio della guerra, l’acqua a disposizione dei palestinesi è scesa a 2-9 litri al giorno. Per avere un termine di paragone: per lavarsi le mani per 30 secondi servono quasi 4 litri d’acqua.
Secondo HRW, questo drastico calo dell’acqua a disposizione è stato provocato intenzionalmente da Israele.
L’acqua nella Striscia di Gaza arrivava da tre fonti: gli impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, gli acquedotti che portano l’acqua da Israele, controllati dalle autorità israeliane, e una falda acquifera costiera da cui i palestinesi prelevavano acqua tramite un sistema di pozzi. L’acqua della falda costituiva l’80 per cento circa di tutta quella usata dai palestinesi, ma era giudicata inadatta al consumo umano, perché un po’ salata e contaminata.
Con la guerra, Israele ha tagliato i rifornimenti di carburante che servivano a tenere in funzione gli impianti di desalinizzazione; ha ridotto ai minimi l’acqua che arriva dagli acquedotti; e ha sistematicamente distrutto tutte le infrastrutture che servivano a portare l’acqua alla popolazione, rendendo difficile e a volte quasi impossibile il rifornimento.
HRW ha analizzato immagini satellitari che mostrano per esempio come i bulldozer dell’esercito israeliano abbiano distrutto i pannelli solari di un impianto di desalinizzazione, togliendogli l’energia (dopo che all’inizio della guerra si erano completamente fermati, ora gli impianti funzionano a regime ridotto). Le immagini mostrano anche come l’esercito abbia distrutto decine di riserve d’acqua e cisterne, in alcuni casi in maniera volontaria e non come risultato dei combattimenti: a Tal Sultan, vicino a Rafah, nel luglio del 2024 gli ingegneri militari israeliani fecero saltare in aria una grande riserva d’acqua.
A febbraio gli Emirati Arabi Uniti costruirono un acquedotto per portare l’acqua al sud della Striscia, tramite il confine con l’Egitto, ma poco dopo fu distrutto nell’assalto dell’esercito israeliano contro la città di Rafah.
Secondo HRW, la carenza d’acqua e il consumo di acqua contaminata hanno provocato enormi problemi alla popolazione e «probabilmente» ucciso migliaia di persone. La ong riconosce che non è possibile ottenere dati precisi sul numero di morti causato dalla disidratazione, ma ha fatto interviste e analisi che, sostiene, confermano questa ipotesi.
Dall’inizio della guerra ci sono stati 670 mila casi di diarrea acuta, 132 mila casi di ittero, una malattia del fegato che potrebbe essere provocata dall’epatite, e molte malattie normalmente curabili sono diventate più letali. Secondo il report, normalmente un bambino che contrae l’epatite A ha l’1 per cento di possibilità di morire, ma a Gaza questa percentuale è salita tra il 5 e il 10 per cento.
Secondo la Convenzione sul genocidio, un trattato internazionale approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1948, costituiscono genocidio azioni compiute «con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale». Un genocidio non è soltanto la distruzione fisica totale di un gruppo, ma può essere anche parziale, e può comportare anche lesioni «mentali» e l’imposizione di condizioni di vita insopportabili, tra le altre cose.
Per poter parlare di genocidio è necessario dimostrare che ci sia stata un’intenzione di provocare questo tipo di danni alla popolazione: HRW sostiene che le azioni deliberate di Israele e le dichiarazioni dei suoi leader siano una dimostrazione sufficiente.
Tra le altre, viene citata una frase diventata celebre pronunciata all’inizio della guerra dall’allora ministro della Difesa, Yoav Gallant, che disse «stiamo combattendo con animali umani, e agiamo di conseguenza». Gallant disse in quell’occasione: «Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza. Non ci saranno elettricità, cibo, carburante o acqua. È tutto chiuso». L’«assedio totale» di Israele durò alcune settimane, ma anche in seguito gli aiuti umanitari non sono mai tornati ai livelli necessari per garantire la sopravvivenza della popolazione.
Israele sta affrontando un’accusa per genocidio presso la Corte internazionale di giustizia dove i giudici, che pure non si sono ancora espressi con una sentenza, hanno definito le accuse «plausibili». Il primo ministro Benjamin Netanyahu e Gallant sono inoltre accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità presso la Corte penale internazionale, che ha emesso un mandato d’arresto internazionale contro di loro.