La nuova vita in carne e ossa dei classici Disney

Riproporre le vecchie storie, modernizzate e in “live action”, è stata un'operazione di grande successo, e molti meriti sono di una persona sola

(Disney)
(Disney)

A partire dal 2010, quando uscì il remake di Alice nel paese delle meraviglie diretto da Tim Burton e intitolato Alice in Wonderland, la Disney ha cominciato a riportare al cinema molti dei suoi cartoni animati più noti nella forma di film dal vero, cioè con attori in carne e ossa. È stata una delle trovate produttive più fortunate degli ultimi decenni, che ha avuto un doppio risultato. Da un lato ha portato nuovi incassi, sfruttando e rinforzando personaggi, storie e marchi di proprietà dello studio; dall’altro li ha attualizzati, cioè ha raccontato nuovamente quelle storie o ha ricontestualizzato quei personaggi assecondando le nuove sensibilità del pubblico (o almeno di una sua parte).

Dal 2010 a oggi sono usciti 18 film dal vero sui personaggi di cartoni animati Disney, che diventeranno 19 questa settimana con l’uscita di Mufasa, il prequel di Il re leone (che aveva già avuto un remake nel 2019). Dietro a tutti questi film, fino al febbraio scorso, c’è stata una persona: il dirigente e produttore Sean Bailey.

Bailey fu assunto nel 2010, l’anno in cui uscì Alice in Wonderland. La Disney aveva già tentato in precedenza di fare film dal vero a partire dai suoi cartoni animati con Il libro della giungla nel 1994, e poi con due film di La carica dei 101 nel 1996 e nel 2000, ma facendo altri tipi di ragionamenti. Fu il successo del film di Burton a stimolare in Bailey l’idea di mettere a frutto più proprietà intellettuali Disney, e al tempo stesso di risolvere almeno in parte le questioni legate al fatto che molti vecchi film contenevano elementi sempre più criticati sulla base delle nuove sensibilità di parte del pubblico.

I film d’animazione dello studio contengono infatti bambini che fumano (Pinocchio), animali animati e doppiati secondo stereotipi razziali (i corvi di Dumbo), sessismo (Peter Pan) e un ritratto della società che in molti casi è antiquato da tanti punti di vista. Quasi mai le donne sono protagoniste e se lo sono non sono “attive” (Cenerentola nella sua storia non fa niente, Aurora in La bella addormentata dorme per la maggior parte del tempo).

Maleficent nel 2014 fu il primo film di questo nuovo ciclo. Da quel momento, e con crescente decisione, i remake dal vero dei film Disney si sono concentrati in particolare sul rivedere il ruolo dei personaggi femminili e di quelli appartenenti alle minoranze. In alcuni casi le storie sono state solo leggermente aggiustate (Cenerentola e La bella e la bestia), in altri sono state ribaltate sul punto di vista dei cattivi, quasi sempre descritti come outsider o ribelli (Maleficent e Crudelia).

In altri film la rappresentazione delle etnie è stata corretta (Mulan e Aladdin), oppure sono state realizzate versioni “fotorealistiche” con protagonisti animali (Lilli e il vagabondo e Il re leone, che ha anche tutti i doppiatori afrodiscendenti). Oppure ancora le storie sono state riscritte da capo, ma con gli stessi personaggi (Dumbo e Il libro della giungla). In tutti i casi, sono film che raccontano storie di integrazione o mancata integrazione, molto spesso di ragazze o donne di valore che la società non riconosce come tali, o di sistemi patriarcali da scardinare.

Non tutti i 18 film usciti dal 2010 a oggi sono stati dei successi commerciali, ma nei casi in cui sono andati bene lo hanno fatto davvero: Aladdin di Guy Ritchie ha incassato 1,1 miliardi di dollari in tutto il mondo, Il re leone 1,7 miliardi e La bella e la bestia 1,3 miliardi, tutti con budget tra i 200 e i 300 milioni. Questo filone è così fortunato che la Disney ha da tempo annunciato che tra i prossimi remake dal vero ci sarà quello di Oceania, il film che la Disney a un certo punto ha scoperto essere la sua proprietà di maggior valore e che tuttavia è del 2016. Non è quindi né un classico da rimettere in circolazione (è ora nei cinema Oceania 2), né un film la cui visione del mondo è datata e va aggiustata.

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Fino al febbraio scorso Sean Bailey è stato la persona che ha gestito tutti i film dal vero della Disney, quindi non solo dei remake dei classici ma anche di qualsiasi altro film con attori che la Disney abbia prodotto. È molto raro che un produttore, anche uno a quel livello di responsabilità, rimanga alla Disney così tanto tempo, e racconta bene quanto sia stato fondamentale Bailey e la sua idea di revisione dell’archivio dello studio. Soprattutto perché, nel frattempo, la sua divisione non è riuscita in quello che avrebbe dovuto essere il suo secondo compito (dopo lo sfruttamento più efficace delle proprietà dello studio): creare nuovi franchise. Dei molti film pensati per questo scopo, come Lone Ranger, Tomorrowland o Nelle pieghe del tempo, nessuno ha avuto il successo necessario a creare una nuova saga.

Bailey è stato sostituito lo scorso febbraio in seguito a una profonda ristrutturazione, e il suo ruolo è passato a David Greenbaum, in precedenza capo della Searchlight, la divisione del gruppo che si occupa dei film indipendenti. Greenbaum in passato ha prodotto film come Il petroliere, Non è un paese per vecchi, La forma dell’acqua, Tre manifesti a Ebbing, Missouri e Tree of Life. La sua esperienza è soprattutto nel cinema adulto, e il suo ruolo sarà di supervisionare tutte le produzioni di uno studio che, rispetto al 2010, ora comprende anche il catalogo e le proprietà della ex 20th Century Fox.

Nonostante il loro indubbio successo, lo sforzo di Bailey per modernizzare le storie più famose della Disney non è stato unanimemente apprezzato. Anzi, questa reinterpretazione di personaggi così importanti per l’infanzia di molti ha creato una polarizzazione nel pubblico, che in una piccola parte ha addirittura boicottato i film revisionisti della Disney.

Queste critiche si rinnovano a ogni annuncio, come quello di un film su Biancaneve con i sette nani di etnie diverse e una Biancaneve latina (Rachel Zegler), o quello di Trilli interpretata da un’attrice afroamericana, Yara Shahidi, in Peter Pan & Wendy. Nel contestare queste scelte alcuni citano esplicitamente ragioni razziste e patriarcali, mentre altri accusano Disney di condurre questa operazione di revisione in modo opportunista e poco sincero.

Sono comunque proteste di cui la Disney sembra curarsi molto poco e che hanno scarso effetto, tranne in rari casi, come quello della nuova Sirenetta interpretata nel 2023 dall’attrice afroamericana Halle Bailey, una scelta che attirò moltissimi commenti negativi su internet. Allo stesso tempo, il film fu criticato per il fatto che, per interpretare il personaggio della strega del mare Ursula (il cui design nella versione animata era ispirato alla drag queen Divine), fu scelta Melissa McCarthy, un’attrice che non appartiene alla comunità LGBTQ+.

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La Sirenetta andò molto bene negli Stati Uniti ma male nel resto del mondo. Lo studio sostiene che questa differenza di prestazione fu dovuta al review bombing, cioè la pratica di inondare internet di recensioni negative poco prima dell’uscita del film con lo scopo di creare l’idea che sia molto brutto e dissuadere il maggior numero possibile di potenziali spettatori. Le previsioni Disney avevano calcolato un miliardo di dollari di incasso, che invece fu della metà: 569 milioni su un budget di 350, per ripagare il quale con i soli biglietti cinematografici sarebbero serviti 700 milioni.

Non è chiaro cosa cambierà, o se proprio cambierà qualcosa, con l’arrivo di David Greenbaum. Il primo effetto è stata la cancellazione di alcuni dei futuri progetti di remake in live action, come quello di Bambi e quello di La spada nella roccia, mentre altri, come quello già citato di Oceania e quello di Lilo e Stitch, rimangono in produzione. In una fase più embrionale ma comunque attiva sono quelli di Robin Hood, Hercules, Il gobbo di Notre Dame e Gli Aristogatti.