Al pandoro non è andata bene come al panettone

La produzione è rimasta prevalentemente industriale, e a farne di artigianali e gourmet sono in pochi: come mai?

La produzione di pandoro in uno stabilimento dell'azienda Melegatti, Verona, 19 dicembre 2017
(Susan Wright/The New York Times)
La produzione di pandoro in uno stabilimento dell'azienda Melegatti, Verona, 19 dicembre 2017 (Susan Wright/The New York Times)

Negli ultimi 15 anni il panettone artigianale è diventato una moda gastronomica tra le più evidenti, ma non è successo lo stesso al pandoro, l’altro dolce associato al Natale in tutta Italia. Dieci anni fa alcuni pasticcieri iniziarono a proporlo e, soprattutto dopo la pandemia, sembrava che avrebbe seguito la strada del panettone, ma oggi lo fanno ancora in pochi e non esistono fiere e concorsi paragonabili ai tanti dedicati al panettone. Se nella produzione artigianale tra i due dolci non c’è storia, per quanto riguarda quella industriale c’è poca differenza: secondo dati di Unione Italiana Food, nel 2023 sono state vendute 32.973 tonnellate di pandoro industriale, contro le 37.647 di panettone.

Una prima spiegazione è che il pandoro è un prodotto industriale da almeno 70 anni. Fu inventato dal pasticciere veronese Domenico Melegatti, che nel 1894 depositò il brevetto alla Camera di commercio di Verona: si ispirava a un dolce tipico, il levà, a cui aggiunse diversi lieviti, burro e uova e uno stampo a forma di stella realizzato dal pittore locale Angelo Dall’Oca Bianca, che ricordava la torre dei Lamberti della città. Ebbe subito molto successo e dagli anni Cinquanta Melegatti, diventata un’azienda, ne industrializzò la produzione, seguita dal marchio veronese Bauli e, negli anni Settanta, da Paluani di Dossobuono, sempre in provincia di Verona. Queste tre aziende hanno commercializzato il pandoro industriale in tutta Italia e la maggior parte delle persone è abituata a mangiarlo così.

La lavorazione del pandoro è complessa, persino più di quella del panettone: è più difficile da impastare perché ha più burro che, se si scalda troppo, si scioglie e sfalda l’impasto; in più il peso del burro e delle uova appesantiscono l’impasto rendendo più difficile da sviluppare così in alto. Richiede anche più tempo e più fatica: sia per il pandoro che per il panettone si fanno prima tre rinfreschi del lievito madre e poi un impasto serale ma, mentre il panettone viene impastato di nuovo al mattino e poi infornato, il pandoro richiede un altro rinfresco del lievito, due-tre impasti e viene infornato solo nel mattino dopo: ci vuole una giornata in più del panettone. In quel periodo, poi il laboratorio è occupato dagli stampi e non consente altre lavorazioni.

Servono anche macchinari costosi, che le industrie già possiedono ma che per un artigiano sono un investimento rischioso. Vale anche per il panettone, spiega Anna Prandoni, direttrice di Linkiesta Gastronomica, ma in quel caso arrangiarsi è più facile: per esempio servono «i forni rotor [quelli rotanti, ndr] ma si può usare il forno tradizionale, anche se si fa molta più fatica» e bastano i pirottini di carta, mentre per il pandoro servono gli stampi in alluminio a forma di stella, che vanno puliti dopo ogni utilizzo.

Inoltre il pandoro richiede ingredienti costosi: il burro pesa il 20 per cento del totale, ci sono molte uova e molta vaniglia, tutti ingredienti che negli ultimi anni costano di più (un buon burro supera gli 8/10 euro al chilo). Anche gli ingredienti del panettone artigianale non sono economici: c’è meno burro ma la spesa è compensata da uvetta e canditi che, se di qualità, costano 15 euro al chilo. Considerando le materie prime, il costo di produzione tra panettone e pandoro è di qualche euro, quello che fa aumentare i costi per il pubblico sono i tempi e la difficoltà della lavorazione: un pandoro artigianale può superare i 50 euro al chilo mentre un ottimo panettone artigianale si aggira sui 40. Per questo dovendo scegliere, «fai il panettone perché è più facile e perché sei sicuro di venderlo», riassume Prandoni.

Un’altra possibile risposta è che il pandoro artigianale è arrivato tardi sul mercato e, anziché sfruttare il successo del panettone artigianale, lo ha trovato saturo: il panettone era già lo status symbol del Natale per i pasticcieri che si sfidavano a preparare il migliore d’Italia e per le persone che lo compravano. Oggi, dice Prandoni, «su 100 artigiani che fanno il panettone ce ne saranno 4 che fanno il pandoro»: sono così pochi che non hanno bisogno di partecipare a concorsi per pubblicizzarsi.

Negli ultimi anni l’industria sta «ricalcando la storia del panettone», nota Prandoni, e proponendo molte varianti anche per il pandoro (il Panmoro al cioccolato, quello al rum, al caramello, con farciture varie e con zucchero a velo aromatizzato) e versioni di lusso, come l’azienda Motta che ha affidato la ricetta di un suo pandoro al noto chef Bruno Barbieri. Non è escluso che sarà proprio l’industria ad aprire la strada al pandoro artigianale: trasformandolo in un dolce ancora più goloso, più di massa e proponendolo in versioni di alta qualità.