Sappiamo ancora poco sulle fosse comuni in Siria
Si pensa che contengano i corpi di decine di migliaia di oppositori di Assad, e stanno iniziando le operazioni per identificarli
In Siria attivisti e organizzazioni umanitarie stanno iniziando a perlustrare le fosse comuni dove negli anni sono stati gettati i corpi di decine di migliaia di persone uccise dal regime di Bashar al Assad, finito lo scorso 8 dicembre. Della presenza di questi siti si parlava da anni, ma finora era stata documentata solo tramite l’analisi di immagini satellitari e le testimonianze di persone che ci avevano lavorato oppure abitavano in quelle zone.
Una delle prime fosse è stata trovata a Qutayfah, circa 40 chilometri a nord della capitale Damasco. L’area è stata perlustrata dalla Syrian Emergency Task Force (SETF), una ong con sede negli Stati Uniti: secondo il direttore Mouaz Moustafa, potrebbe contenere almeno 100mila corpi. L’ong ha detto che la fossa è profonda 6 o 7 metri, larga circa 4 metri e lunga tra i 50 e i 150 metri. Dei becchini che lavoravano lì hanno detto a Moustafa che tra il 2012 e il 2018 arrivavano due volte a settimana quattro camion, ognuno con a bordo 150 corpi.
La fossa comune di Qutayfah è stata visitata anche dall’ex ambasciatore statunitense per i crimini di guerra, Stephen Rapp (in carica tra il 2009 e il 2015). «Non abbiamo più visto nulla di simile dal periodo nazista», ha detto, facendo riferimento all’enorme e durissimo sistema di repressione attuato in Siria durante la dittatura della famiglia Assad, iniziata nel 1971. «Stiamo parlando di un sistema di terrore di stato, che è diventato una macchina della morte».
Dall’inizio della guerra civile in Siria, nel 2011, centinaia di migliaia di persone sono state uccise dal regime. In molti casi erano oppositori politici che prima furono incarcerati senza un processo nelle prigioni siriane, note per la particolare crudeltà degli abusi e delle torture. Si stima che tra le 100mila e le 150mila persone siriane incarcerate siano scomparse, ossia non si è più saputo niente di loro: è probabile che molte siano state uccise e poi sepolte nelle fosse comuni.
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Non sappiamo quante fosse ci siano in Siria. I Caschi Bianchi, un’organizzazione di volontari che opera da anni nel paese, hanno detto di aver ricevuto notizia di almeno 13 siti (di cui otto nei dintorni di Damasco), ma il numero potrebbe essere molto più alto. Secondo la Commissione internazionale per le persone scomparse (ICMP), una ong con sede all’Aia, potrebbero essere 66.
Oltre a quella di Qutayfah, è stata accertata la presenza di un’altra fossa comune vicino a Najha, a sud di Damasco. Un uomo che abita nella zona ha detto a Reuters che durante il regime tutto funzionava in modo ben organizzato: «I camion arrivavano, scaricavano [i corpi] e se ne andavano. C’erano anche delle auto della sicurezza, e nessuno poteva avvicinarsi: chi lo faceva finiva giù con loro». Secondo l’ex ambasciatore Rapp è possibile che a Najha siano state sepolte decine di migliaia di persone.
In questi giorni altre decine di corpi sono state trovate nella zona di Daraa, nel sud del paese, mentre i Caschi Bianchi stanno controllando un altro sito vicino ad Adra, 10 chilometri a nord di Damasco.
Nel 2020, durante un processo in un tribunale tedesco, un testimone noto come “il becchino” disse di essere stato arruolato nel 2011 dal regime di Assad per lavorare nelle fosse comuni di Qutayfah e Najha. Faceva parte di un gruppo di circa 10 persone: secondo la sua testimonianza, quattro volte a settimana dei camion portavano lì tra i 300 e i 700 corpi, che venivano identificati con dei numeri impressi sul petto o sulla fronte e spesso mostravano gravi segni di tortura o mutilazioni. I corpi venivano depositati in fosse profonde 6 metri e lunghe 100 metri. L’uomo fece questo lavoro fino al 2017.
Le ricerche e gli studi per quantificare e identificare i corpi sepolti nelle fosse comuni siriane non sono ancora iniziati, quindi le cose che sappiamo con certezza sono ben poche. «Non possiamo ancora aprirle. È un lavoro enorme, bisogna documentare, prelevare dei campioni e dare dei codici ai corpi per identificarli», ha detto ad Associated Press al-Mustafa, il vicedirettore dei Caschi Bianchi. Anche l’ex ambasciatore Rapp ha detto che «deve essere avviata una procedura».
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