Il governo ha fatto ritirare la proposta di aumentare gli stipendi ai ministri
Un emendamento alla legge di bilancio prevedeva 7.200 euro in più al mese per i membri del governo non eletti in parlamento

La maggioranza non aumenterà lo stipendio di ministri e sottosegretari non eletti in parlamento: l’emendamento che nei giorni scorsi aveva quasi monopolizzato il dibattito sulla legge di bilancio è stato riscritto dopo che lunedì sera il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva chiesto di ritirarlo insieme ad altri ministri.
L’emendamento in questione era stato presentato dalla maggioranza per equiparare lo stipendio dei ministri eletti in parlamento a quello dei ministri nominati dalla presidente del Consiglio e non eletti. Un ministro (o un sottosegretario) eletto alla Camera o al Senato ha infatti lo stipendio da parlamentare, che si compone di più voci: c’è l’indennità parlamentare da circa 5mila euro netti al mese (sia per deputati che per senatori, con qualche piccola variazione); poi c’è la cosiddetta “diaria”, che è un rimborso delle spese di soggiorno a Roma, pari a circa 3.500 euro netti al mese; e infine c’è un “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato”, da usare per alcune attività con gli elettori o per pagare alcuni collaboratori, pari a 3.690 euro netti al mese (per i senatori può arrivare fino a circa 4mila euro).
Secondo la legge invece ministri e sottosegretari non eletti ricevono «un’indennità pari a quella spettante ai membri del parlamento», quindi i circa 5mila euro netti della prima voce che compone lo stipendio di un parlamentare. L’emendamento alla legge di bilancio voleva concedere ai ministri non eletti le altre due somme previste per i parlamentari, quindi circa 7.200 euro netti in più di quello che ricevono ora.
I membri del governo coinvolti in questo aumento di stipendio erano in tutto 18, di cui 8 ministri: Andrea Abodi (Sport), Marina Calderone (Lavoro), Guido Crosetto (Difesa), Alessandro Giuli (Cultura), Matteo Piantedosi (Interno), Giuseppe Valditara (Istruzione), Alessandra Locatelli (Disabilità) e Orazio Schillaci (Salute). Sui 18 membri del governo coinvolti fanno circa 130mila euro netti in più ogni mese, e quindi un esborso per lo Stato di circa 260mila euro. In tutto, per soddisfare le richieste economiche di questo emendamento, sarebbero serviti poco più di 3 milioni di euro all’anno, almeno con questa composizione del governo (non è una cifra particolarmente alta rispetto all’entità complessiva della finanziaria, che è di decine di miliardi di euro).
Il nuovo testo prevede che i ministri e i sottosegretari non eletti che non abitano a Roma abbiano diritto a un rimborso delle spese di trasferta: è stato previsto un fondo da 500mila euro all’anno per questo scopo.
Crosetto aveva scritto su X che trovava assurdo lasciare spazio alle polemiche sull’emendamento, anche se non considera giusto che il ministro dell’Interno o della Difesa abbiano un trattamento diverso rispetto a un loro sottosegretario eletto in parlamento, che è anche di grado inferiore: «Abbiamo chiesto ai relatori di ritirarlo [l’emendamento, ndr] ed evitare inutili polemiche. Quello che non sarebbe comprensibile per nessuna altra professione e cioè che due persone che fanno lo stesso lavoro, nella stessa organizzazione, abbiano trattamenti diversi, per chi fa politica deve essere messo in conto».
Solo pochi giorni prima, sempre su X, lo stesso Crosetto aveva difeso l’aumento di stipendio. «Chi rappresenta il popolo italiano è giusto che riceva anche un trattamento economico che tutela del suo ruolo e della sua libertà, da ogni possibile influenza», aveva scritto per poi proporre di aumentarlo solo ai ministri e ai sottosegretari non eletti dei governi futuri. Insomma, Crosetto inizialmente era convinto che l’emendamento fosse una buona idea, ma ha chiesto che venisse ritirato dopo un intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Nella lunga discussione nella commissione Bilancio, che va avanti da lunedì mattina, alcuni esponenti dell’opposizione avevano criticato il tentativo della maggioranza di aumentare lo stipendio ai ministri non eletti. Le accuse erano state generiche, anche perché in un primo momento nessuno tra i leader della maggioranza aveva rivendicato di aver voluto l’emendamento, che nasce in realtà da una iniziativa di Fratelli d’Italia favorita dal ministro Crosetto.