Parlare di maschilità, tra maschi
Diversi gruppi organizzano in Italia incontri a “cerchio” per stimolare riflessioni sugli stereotipi di genere e confrontarsi sui molti modi di essere uomini
di Antonio Russo
Il “cerchio”, come lo chiama per abitudine chi ne frequenta uno, è un gruppo di condivisione formato da una decina di uomini che si riuniscono una o due volte al mese. Ce ne sono diversi, come sono diverse le conversazioni e i racconti che ospitano. Qualche anno fa un uomo sulla cinquantina, sposato e con figli, condivise nel cerchio di Milano un suo disagio cominciato con la perdita del lavoro, dopo una ristrutturazione aziendale che lo aveva fatto finire tra i dipendenti in esubero. Aveva cominciato a frequentare vari corsi regionali per la ricollocazione, ma era consapevole che date la sua età e qualifica professionale rientrare nel mercato del lavoro per lui era quasi impossibile.
Mentre sua moglie lavorava per mantenere la famiglia, lui si era trovato suo malgrado a svolgere prevalentemente mansioni domestiche: pulire, fare la spesa, cucinare. E quella situazione gli stava creando delle difficoltà nella definizione della sua identità, raccontò nel cerchio. È un caso significativo perché può ricorrere in tante famiglie, tanto più in tempi difficili per chi cerca lavoro, dice Alessandro Battistutta, membro del cerchio di Milano.
Il gruppo di cui fa parte è formato da uomini che abitano anche fuori città o fuori regione (come nel suo caso), e che si incontrano in uno spazio preso in affitto a Milano per un paio d’ore. Come gli altri cerchi, attivi in Lombardia e in Piemonte, fa capo a un’associazione nata a Torino nel 2004, sostenuta dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte.
Da anni in Italia diverse decine di uomini di ogni età che si riconoscono nel genere maschile, eterosessuali e non, si incontrano spontaneamente una o due volte al mese, di persona oppure online, per parlare di sé e riflettere sull’influenza degli stereotipi di genere e dei modelli tradizionali di maschilità sulle loro vite personali. Lo fanno in gruppi di condivisione come il Cerchio degli uomini, perlopiù poco numerosi, composti da 10-20 individui e distribuiti in diverse regioni, da nord a sud, con obiettivi e attitudini diverse a seconda della storia di ciascun gruppo.
Anche se gestiti in completa autonomia, i gruppi fanno in gran parte riferimento a Maschile Plurale, un’associazione nazionale che dal 2007 in Italia contribuisce a promuovere un dibattito sull’identità di genere maschile. Per un progetto recente Maschile Plurale ha pubblicato un documento in cui descrive i risultati di un sondaggio condotto su 16 gruppi, impegnati in attività piuttosto eterogenee. Quelle dei gruppi più strutturati sono in parte finanziate da comuni, istituti ed enti nazionali ed europei, ma la maggior parte delle altre attività è il risultato di iniziative volontarie.
Tutti i gruppi, anche quelli fuori dalla rete di Maschile Plurale, sono pensati come uno spazio di intimità in cui gli uomini possano condividere il loro vissuto, senza paura di essere giudicati e senza competizione. Serve a farli stare meglio, e a stimolare riflessioni collettive sulle trasformazioni dei modelli tradizionali di maschilità. La condivisione dei diversi modi di essere uomini è considerata dalle associazioni e dai gruppi stessi un’opportunità di prendere coscienza dei tratti maschilisti del modello dominante, e di quanto le complesse gerarchie, strutture di potere e categorie sociali e culturali generate da quel modello siano alla base degli atteggiamenti di prevaricazione degli uomini sulle donne e su altri uomini.
Ogni gruppo ha una storia diversa, in qualche caso cominciata molti anni prima che il tema della violenza di genere emergesse nel dibattito pubblico. Alcuni sono nati negli anni Novanta, tra amici: uomini che già condividevano attività di meditazione, oppure altri influenzati dalle attività di autocoscienza largamente diffuse fin dagli anni Settanta nel movimento femminista. «Non abbiamo inventato niente di nuovo, ma si è visto che questa pratica del cerchio dava benessere e consentiva tra gli uomini una comunicazione mediamente più profonda ed empatica rispetto a quella maschile tradizionale, in cui la dimensione prestazionale e del “misurarselo” è ancora prevalente», dice Andrea Santoro, presidente dell’associazione Cerchio degli uomini.
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Uno dei gruppi più longevi è Gnam (Gruppo nonviolento di autocoscienza maschile), formato da un gruppo di uomini di Milano e dintorni, che si riuniscono più o meno una volta al mese, e mangiano qualcosa insieme dopo ogni incontro. Al lavoro di autocoscienza alternano quello di promozione del dibattito in centri sociali, scuole, comitati di quartiere, biblioteche e altri luoghi pubblici.
Secondo Marco Forlani, che ha 59 anni ed è uno dei membri storici, la principale differenza tra i gruppi della rete sta nel tipo di attività svolte ma non nel modello in cui si riconoscono: un modello di «maschilità plurali, appunto, tutte equivalenti e tutte contrapposte a quella dominante». Nel 2022 Gnam ha pubblicato il libro Maschilità smascherata, in cui racconta l’esperienza del gruppo. Da allora le presentazioni del libro sono diventate un’occasione per parlare della maschilità e per ispirare e incontrare altri gruppi più giovani, tra cui PEM (Palestra Emotiva Maschile) a Prato.
Non tutti i gruppi sono gruppi di autocoscienza: alcuni sono più attivi nell’organizzazione di incontri, convegni e conferenze. Altri si occupano di un argomento specifico, come la paternità, la sessualità o la violenza di genere. E altri ancora, più strutturati, lavorano con i centri per uomini autori di violenza (CUAV) e i centri di ascolto per uomini maltrattanti (CAM), e prevedono «percorsi di rieducazione socio-culturale e relazionale» coordinati da psicologi e altri specialisti. Seguirli è una condizione necessaria per la richiesta di sospensione o riduzione della pena per chi è stato condannato per maltrattamenti, atti persecutori, stalking o violenza sessuale, in base alla legge contro la violenza sulle donne (n. 69/2019) soprannominata “codice rosso”.
La maggior parte dei gruppi non si occupa però di questi casi. Per loro gli incontri sono occasioni informali tra uomini non accusati formalmente di violenza per condividere esperienze personali e discutere di maschilità in un contesto privo di gerarchie. Sono situazioni in cui poter mostrare debolezze, desideri ed emozioni che solitamente si fa fatica a condividere per paura di apparire “poco uomini”.
Nel Cerchio degli uomini, come in altri gruppi, gli incontri sono di solito preceduti da qualche minuto di rilassamento. Dopodiché viene sorteggiato un facilitatore, incaricato di individuare un argomento nella conversazione, che emerge dal racconto delle cose successe nelle due settimane tra un incontro e l’altro. «Magari uno ha parlato della difficoltà del rapporto con i figli, o di quello con la compagna, o magari di problematiche di tipo sessuale», racconta Battistutta. Servono come spunto per discutere di un tema che in qualche modo «risuona» in tutti quanti, per esempio il rapporto con un genitore, e a turno si prende la parola e si condivide il proprio vissuto riguardo a quel tema, senza paura di essere giudicati.
«È una regola minima di base degli incontri, avere un atteggiamento non giudicante», spiega. Ciascuno ascolta i vari racconti e ha una propria reazione, ma nessuno dice cose come «hai sbagliato» o «non devi fare così». Un’altra regola è cercare di teorizzare e razionalizzare il meno possibile nel racconto delle proprie esperienze, lasciando spazio all’emotività. E un’ultima regola è la riservatezza, che permette agli uomini di raccontare anche fatti molto personali, di cui magari non hanno mai parlato con nessuno.
Non ci sono specialisti di salute mentale, nel cerchio. In momenti difficili delle loro vite alcuni membri hanno seguito un percorso di psicoterapia, ma in modo del tutto autonomo. È anche capitato che il gruppo suggerisse a persone problematiche di chiedere l’aiuto di uno specialista, senza impedire loro di continuare a frequentare il cerchio. Ma gli incontri non sono sedute di psicoterapia, e vale anche per altri gruppi, ricorda Forlani. Nel gruppo Gnam, per esempio, c’è un uomo che di lavoro fa lo psicologo, ma non frequenta gli incontri per lavoro: li frequenta come chiunque altro.
La testimonianza di un membro del Cerchio degli uomini
Chi invece non è di solito ammesso nei gruppi sono i maschi accusati di violenza, anche se a volte succede comunque che avvocati o parenti di uomini coinvolti in procedimenti giudiziari per atti violenti contattino i gruppi di condivisione. Frequentarli può fornire infatti delle attenuanti per l’imputato in fase di processo, ma né il cerchio né altri gruppi simili sono attrezzati per gestire questo tipo di richieste, che in genere dirottano verso servizi forniti da personale clinico qualificato. «Le persone che vengono devono farlo non su suggerimento dell’avvocato, ma perché sentono sinceramente la necessità di riflettere e l’efficacia degli incontri», dice Battistutta.
Periodicamente, tra le altre attività, Gnam apre gli incontri a chi è interessato a capire come funziona il gruppo: una sorta di laboratorio pensato per dare un’idea minima di cosa vuol dire fare autocoscienza. «Li chiamiamo assaggi Gnam», dice Forlani. Può finire lì, o può essere un’occasione per allargare il gruppo.
Altre volte arriva «qualcuno che non ha capito bene cosa vogliamo fare, e che magari prende in considerazione l’autocoscienza per rafforzare la maschilità tradizionale». Alcuni sono uomini vicini alle posizioni degli incel (dall’espressione involuntary celibates, “single non per scelta”), racconta Forlani. Dicono cose come «il femminismo ci ha fatto male, perché adesso le donne vogliono solo gli uomini ricchi, belli e di successo, e a noi non ci si piglia nessuno». Si discute e si parla anche con loro, «ma chiaramente, se uno ha quelle posizioni, viene una volta e poi non viene più».
L’esperienza del gruppo Gnam e di altri, secondo Forlani, suggerisce però che ci siano tanti uomini non soltanto sensibili al tema della violenza di genere, ma che in generale stanno già vivendo da tempo la maschilità in un modo diverso. E per sentirsi legittimati a farlo sentono il bisogno di condividere il loro vissuto con altri uomini. «Non condividono più la linea lavoro e basta, e cercano magari di avere riduzioni degli orari di lavoro per potersi occupare delle faccende di casa e dei figli».
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Per i gruppi più longevi gli incontri di persona sono fondamentali, e quelli online un’eccezione legata al periodo della pandemia. Altri gruppi, nati in anni recenti e composti da uomini mediamente più giovani, hanno invece utilizzato Internet e i social network come uno strumento per riunire persone di città diverse. Spesso sono persone che abitano in provincia, dove le riflessioni sull’identità di genere tendono a essere più isolate, e dove più manca lo spazio per l’espressione di maschilità diverse, racconta Giacomo Zani, ventottenne cofondatore di Mica Macho, un’associazione fondata nel 2020, durante la pandemia.
Mica Macho è una comunità online impegnata nell’organizzazione di festival tematici, seminari, laboratori nelle scuole e altri eventi e attività in presenza. Organizza anche incontri di autocoscienza su una piattaforma gratuita online, uno ogni due settimane, a cui partecipano i primi 20-25 uomini che si prenotano: gli altri entrano in una lista di attesa, che supera di solito le cento persone.
Gli incontri durano tre ore e hanno due moderatori: uno dei due è un antropologo ed educatore sessuale, Francesco Ferreri, incaricato di fornire un punto di vista accademico sui temi che emergono dagli interventi. L’età degli uomini che partecipano è tra 20 e 30 anni, di solito.
La differenza anagrafica tra i gruppi è piuttosto evidente. In parte è una conseguenza del fatto che alcuni esistono da oltre vent’anni e derivano da precedenti esperienze di attivismo e relazioni mantenute nel tempo. Sono oggi frequentati in molti casi da uomini in pensione, anche se includono qualche persona più giovane. In parte è anche una questione di canali comunicativi, secondo Battistutta, che ha 68 anni. È più probabile cioè che il bisogno di condivisione comune agli uomini di ogni età sia intercettato, nel caso dei più giovani, da gruppi molto presenti online e con una storia più recente.
Partecipare a incontri con uomini più grandi e ascoltare i loro racconti è comunque un’esperienza tutto sommato frequente, oltre che preziosissima, dice Santoro, presidente del Cerchio degli uomini, che ha una laurea in sociologia dei processi culturali. All’inizio può essere strano, anche un po’ imbarazzante, per un ragazzo abituato a interagire principalmente con i suoi coetanei, e che inevitabilmente esercita e subisce all’interno di quel gruppo una forza attrattiva e regolativa verso certi comportamenti.
«Mi sono trovato in questo cerchio con uomini di settant’anni, e mi sono chiesto “ma che ci faccio qua?”», dice Santoro, parlando della sua prima esperienza in gruppi maschili di autocoscienza. «Quando poi ho fatto pace con questa cosa è stata un’esperienza trasformativa. Perché io, che allora ero un trentenne non ancora diventato padre, ascoltavo racconti di uomini che condividevano come non ci fossero stati per i loro figli nei primi anni di vita, e li vedevo commossi, mentre constatavano che pur avendo recuperato il rapporto con i figli, certe cose erano perse per sempre. E non esistono corsi universitari che potessero sensibilizzarmi quanto quell’esperienza».