Il curioso caso dei Liberali tedeschi
Che hanno affossato il governo di Olaf Scholz per cercare di recuperare consensi, ma finora è successo il contrario
Durante gli anni al governo insieme ai Socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz e ai Verdi, i Liberali tedeschi avevano perso parecchi consensi: nel tentativo di risollevarsi, lo scorso novembre si erano sfilati dalla coalizione di fatto segnando la fine del governo Scholz, che è stata formalizzata con l’approvazione della mozione di sfiducia lunedì 16 dicembre. La loro mossa però non sembra aver avuto effetti positivi, almeno per ora: nei sondaggi sono sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento e alle elezioni anticipate previste il 23 febbraio rischiano di restare fuori dal parlamento, oltre che dal governo.
In particolare i Liberali hanno pagato il fatto che i media tedeschi hanno scoperto documenti interni al partito in cui venivano dettagliate le tempistiche e le modalità di una crisi di governo: di fatto smentendo la versione pubblica del leader Christian Lindner che sosteneva che la fine della coalizione fosse il risultato di visioni inconciliabili tra gli alleati sulla legge di bilancio per il 2025. I documenti hanno contribuito a diffondere l’idea di un partito cinico e attaccato al potere, che i Liberali ora stanno faticando a scrollarsi di dosso.
A fine novembre Die Zeit e Süddeutsche Zeitung, due dei più importanti giornali tedeschi, avevano rivelato l’esistenza di un piano in quattro fasi dei Liberali per affossare la coalizione: col nome in codice “D-Day”, sarebbe stato discusso durante una riunione segreta a Postdam lo scorso settembre. Inizialmente i dirigenti del partito avevano negato che esistesse, poi lo hanno ammesso, rendendone anche pubblica una versione, ma insistendo sul fatto che il documento riguardasse scenari ipotetici, non ancora presi in considerazione né discussi. La tattica prefigurata lì – insistere su misure economiche irricevibili per SPD e Verdi – però è molto simile a quella effettivamente tenuta dai Liberali.
Si sono presi la colpa del documento due dei più importanti funzionari del partito: si sono dimessi il segretario Bijan Djir-Sarai e il direttore generale Carsten Reymann. Lo hanno fatto sbrigativamente, per cercare di chiudere il caso: Djir-Sarai con un video di scuse di nemmeno un minuto sui social. Più che per la figuraccia, per «aver fornito inconsapevolmente false informazioni» sul documento, negandone l’esistenza. In questi giorni il nuovo segretario generale, l’ex ministro della Giustizia Marco Buschmann, ha infine riconosciuto che anche il termine “D-Day” potrebbe essere stato utilizzato nelle riunioni, al contrario di quanto i Liberali avevano detto finora.
“D-Day”, il nome dello sbarco degli Alleati in Normandia durante la Seconda guerra mondiale, in Germania è considerato peraltro un termine sensibile, come altri che si riferiscono al periodo nazista. In questo caso, accostava implicitamente il governo democratico di Scholz a un regime totalitario.
Per ridimensionarne la portata, i Liberali hanno sostenuto che si trattava di documenti redatti periodicamente dallo staff del partito. Questa pratica sarebbe cominciata un anno fa, quando la Corte costituzionale tedesca – rispondendo a una causa portata avanti dall’opposizione di centrodestra – aveva dichiarato che la legge finanziaria per il 2023 e per il 2024 era illegale perché violava una legge che impedisce allo stato di indebitarsi oltre un certo limite.
Già lì il governo aveva rischiato di finire, per il rifiuto dei Liberali di alzare le tasse per mantenere alcuni investimenti voluti dai Verdi. Alla fine era stato trovato un accordo, ma erano rimaste tensioni fra i tre partiti della coalizione.
All’inizio di quest’anno, una consultazione tra i tesserati aveva visto passare con un margine molto stretto – il 52 per cento – la permanenza nel governo di Scholz. Nel corso del 2024, poi, si sono susseguiti risultati elettorali deludenti alle europee (il 5,2 per cento) e nelle elezioni statali in Sassonia, Turingia e Brandeburgo, in cui i Liberali sono rimasti fuori dai parlamenti locali. In sette Länder (su 16) il partito non ha più una rappresentanza parlamentare.
È vero che le relazioni con gli alleati erano deteriorate da tempo, ma per il partito è complicato difendere questa ricostruzione e, soprattutto, rispondere a chi lo accusa di aver fatto cadere il governo apposta. Il 40 per cento degli intervistati ritiene i Liberali i principali responsabili della cosa, secondo il sondaggio di novembre di Infratest dimap per la tv pubblica Ard, contro il 19 per cento di chi attribuisce la fine del governo alla SPD.
I Liberali hanno subìto alcune defezioni, piuttosto limitate. Per esempio il ministro dei Trasporti, Volker Wissing, si era rifiutato di lasciare il governo di Scholz, preferendo uscire dal partito, come l’ex tesoriere Harald Christ. Anche la presidente dell’ala giovanile, Franziska Brandmann, ha criticato la decisione di Lindner. Nel partito, però, al momento è prevalsa la disciplina. Per molte sezioni locali la fine del governo non è stata un trauma, anzi. Come detto, la base era diventata molto divisa sulla partecipazione alla coalizione. Nei giorni della crisi, il partito ha fatto 650 nuovi iscritti: nel 2023 ne aveva persi più di 4mila.
Lindner ha affidato a Buschmann (l’ex ministro) la missione di risollevare il partito. Buschmann è un suo fedelissimo, fin dall’inizio della loro carriera politica nella Renania Settentrionale-Vestfalia. È ritenuto anche uno degli artefici del ritorno nel Bundestag, il parlamento federale, dei Liberali nel 2017.
La strategia di Lindner è provare a intercettare gli elettori «che non sono radicalizzati» dell’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD), ha detto in una recente intervista. Punterà inoltre sui temi di rigore fiscale che sono un classico dei Liberali, visto che nei sondaggi la situazione economica è tornata la principale preoccupazione degli elettori, e quasi metà di loro (il 43 per cento) la considera negativa: i livelli più alti dai tempi della crisi finanziaria del 2007-2008.
Se riusciranno a restare in parlamento, i Liberali sarebbero gli alleati più naturali per l’Unione Cristiano-Democratica (CDU), il partito di centrodestra che fu di Angela Merkel ed è stabilmente primo nelle intenzioni di voto. Il sistema politico tedesco è stato a lungo bipolare e nella loro storia i Liberali hanno governato sia con la SPD (meno spesso) che con la CDU (di più). Lunedì, nel dibattito parlamentare sulla sfiducia a Scholz, il cancelliere ha accusato i Liberali di aver «sabotato il governo» e detto che manca loro «maturità morale». Il leader della CDU, Friedrich Merz, invece li ha difesi, criticando soprattutto i Verdi.
I Liberali hanno a loro volta preso le distanze dagli ex alleati. Hanno messo nel programma la proposta di rinviare di 5 anni l’anno obiettivo della neutralità climatica, per esempio. Merz e Lindner hanno buoni rapporti personali: il primo pilotò un piccolo aereo privato per andare al matrimonio del secondo, due anni fa a Sylt (un posto esclusivo delle Isole Frisone, nel mare del Nord), e dovette risponderne. Merz ha ribadito di non essere disposto ad allearsi con AfD: nonostante l’acrimonia dei suoi attacchi contro Verdi e SPD, quindi si troverà probabilmente a dover trattare con almeno uno di questi partiti, o entrambi.
I Liberali, invece, vogliono evitare che si ripeta lo scenario del 2013: quando, dopo aver governato insieme a Merkel, non riuscirono a tornare in parlamento.
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