Il k-pop è sempre meno “k”

Il mercato coreano del genere musicale di gruppi come BTS e Blackpink è in forte calo, per la sua progressiva «occidentalizzazione»

Alcune fan dei BTS prima di un concerto a New York, 15 maggio 2019 (Drew Angerer/Getty Images)
Alcune fan dei BTS prima di un concerto a New York, 15 maggio 2019 (Drew Angerer/Getty Images)

Da almeno una decina d’anni il k-pop, il genere musicale in cui vengono incasellate diverse band sudcoreane di ragazzi o ragazze, è uno dei principali strumenti con cui la Corea del Sud esporta la sua cultura nel mondo. L’affermazione internazionale del genere cominciò nel 2012 grazie all’enorme successo di “Gangnam Style” di Psy, la canzone che fece conoscere il k-pop al resto del mondo e aprì la strada al grande successo commerciale di band come le Blackpink, gli Exo e soprattutto i BTS, il gruppo più celebre e rappresentativo di questa musica.

Da qualche tempo, però, in Corea del Sud l’interesse verso queste proposte è diminuito: le nuove band di k-pop faticano a entrare nelle classifiche nazionali, e il rendimento delle azioni di YG, SM, JYP e HYBE, le principali agenzie del settore, è in forte calo, così come i ricavi derivanti dalla vendita dei dischi. Il giornalista Julian Ryall, che si occupa di economia e consumi culturali asiatici per Deutsche Welle, ha scritto che questi segnali dimostrano che «gli investitori sono nervosi, perché temono che la bolla [del k-pop] possa essere sul punto di scoppiare».

Secondo Ryall, ma è un parere abbastanza condiviso, in Corea del Sud il calo di entusiasmo nei confronti del k-pop è dovuto principalmente a un motivo: l’occidentalizzazione del genere.

Già dopo l’uscita di “Gangnam Style”, i produttori discografici coreani sfruttarono la cosiddetta Hallyu («onda coreana», un neologismo cinese creato negli anni Novanta per indicare il crescente interesse internazionale nei confronti dei prodotti culturali della Corea del Sud) per fare uscire il k-pop dai confini nazionali, trasformandolo in un fenomeno globale. Per riuscirci, tutti i gruppi più famosi hanno cominciato a scrivere canzoni in inglese e a privilegiare altri mercati, e in particolare gli Stati Uniti, come destinazioni per i loro concerti.

In questo modo però, ha notato Ryall, «hanno dato l’impressione di aver dimenticato le proprie radici, e corrono il rischio di alienare le stesse persone che hanno lanciato le loro carriere», ossia i fan sudcoreani. Secondo un’analisi condotta dal quotidiano Korea JoongAng Daily e basata sulle visualizzazioni di YouTube, la Corea del Sud è il sesto paese in cui i BTS sono più ascoltati, preceduta da Stati Uniti, Messico, Indonesia, India e Giappone, e per altre band gli ascolti in Corea sono ancora più bassi rispetto ad altri paesi.

Parlando della crescente disaffezione per il genere da parte del paese in cui è nata, la giornalista sudcoreana Abigail Kim ha scritto che «l’occidentalizzazione del k-pop» non si limita alla pubblicazione di canzoni in inglese, ma si estende anche ad altri aspetti, come i temi trattati nei testi e la costruzione delle melodie, che ricalca sempre più i costrutti del pop americano da classifica.

Secondo Kim, non è facile individuare un momento preciso in cui la musica k-pop è diventata «un’entità occidentale», ma i BTS hanno svolto un ruolo «critico» nell’accelerazione di questo processo con la pubblicazione dei singoli “Dynamite” (2020), “Butter” (2021) e “Permission to Dance” (2021), che hanno contribuito a definire la loro immagine da band di fama mondiale, senza far risaltare alcuna specificità sudcoreana.

Un altro elemento che Kim considera centrale sono le sempre più frequenti collaborazioni con musicisti americani. Esempi di questo tipo sono canzoni come “Boy With Luv” di BTS e Halsey, “Idol” di BTS e Nicki Minaj, “Hangover” di Psy e Snoop Dogg e “Left and Right” di Jungkook e Charlie Puth. Inoltre, ormai non è raro che band k-pop di larga fama siano interamente composte da membri non sudcoreani: un esempio tra i tanti è quello delle Blackswan, le cui componenti provengono da India, Stati Uniti e Senegal.

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Ryall ha evidenziato come il momento di contrazione che del k-pop in Corea del Sud è dovuto anche ad altri fattori. Uno di questi è l’inattività dei BTS, dovuta al servizio militare obbligatorio che stanno attualmente svolgendo. Il fatto che la band largamente più rappresentativa del genere abbia improvvisamente smesso di esibirsi e farsi vedere in pubblico ha danneggiato indirettamente l’intera industria, diminuendo le visibilità e le attenzioni mediatiche riservate al k-pop. La stampa di settore ne scrive di meno, e i nuovi gruppi messi sotto contratto da HYBE e dalle altre agenzie hanno più difficoltà a consacrarsi a livello internazionale rispetto a quelle che le hanno precedute, anche perché la loro musica e la loro estetica ha smesso di essere una novità già da una decina d’anni.

Peraltro, alcuni protagonisti della “prima ondata” del k-pop hanno cominciato ad allontanarsi dal genere. Un esempio tra i tanti è quello di Jungkook, uno dei membri del BTS, che dallo scorso anno ha iniziato la sua carriera da solista, avvicinandosi a suoni e atmosfere diverse: Golden, il suo album di debutto, molto apprezzato dalla critica inglese e americana, è un disco che di k-pop ha poco o nulla, e infatti è stato associato principalmente al contemporary R&B.

Più di recente la reputazione dell’industria del k-pop è stata intaccata anche da una serie di controversie legate al comportamento morboso e tossico di una parte del fandom, quella più fondamentalista e invasata. Per esempio, lo scorso febbraio Karina, membra del gruppo delle Aespa, aveva ricevuto diverse critiche sui social dopo aver rivelato la sua relazione con l’attore sudcoreano Lee Jae-wook, finita dopo poco più di un mese. Per rimediare, Karina dovette scusarsi pubblicamente.

Per quanto possa sembrare paradossale, situazioni di questo tipo sono abbastanza frequenti: capita spesso che le agenzie incoraggino i musicisti che hanno sotto contratto a non avere relazioni sentimentali, o quanto meno a non parlarne. Questo perché in Corea del Sud viene spesso dato per scontato che gli “idols” (gli “idoli”, come vengono chiamate le pop-star locali) debbano dedicare tutto il loro tempo e le loro attenzioni alla carriera e al rapporto con i fan. In questo contesto, anche avere una relazione è vista come una pericolosa distrazione, se non un tradimento, dai fan, alcuni dei quali nutrono un sentimento di adorazione nei confronti di celebrità che gli vengono presentate come vicine e accessibili; un sentimento che, in alcuni casi, sfocia in romanticismo vero e proprio.

Per questo motivo, la rivelazione di una relazione finisce spesso per assumere le proporzioni di una sorta di scandalo. «C’è un sottogruppo di fanatici che si presenta ai concerti sventolando cartelli con scritte come “mio marito” o “mia moglie”, e sapere che la persona a cui tengono di più è coinvolta in una vera relazione viene percepito come un tradimento che genera rabbia e insulti sui social», ha scritto Ryall.

Vicende come quella di Aespa, unitamente al fatto che le agenzie fanno di tutto per presentare i loro idols come persone potenzialmente disponibili per relazioni romantiche, hanno creato «sentimenti di angoscia» in molti consumatori, e secondo Ryall hanno contribuito a diminuire la popolarità del k-pop in Corea del Sud.

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