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  • Martedì 17 dicembre 2024

100 chilometri di abissi

La grotta dove è caduta la speleologa Ottavia Piana fa parte di un vasto e complesso sistema carsico, che è importante esplorare e che attraversa il versante occidentale del lago d’Iseo

Uno speleologo dentro una cavità della grotta Bueno Fonteno
Uno speleologo dentro una cavità della grotta Bueno Fonteno (Vittorio Crobu/Progetto Sebino)
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Nel maggio del 2006 alcuni speleologi del CAI (Club Alpino Italiano) di Lovere, sul lago d’Iseo, in provincia di Bergamo, raggiunsero Fonteno dopo aver ricevuto alcune segnalazioni di abitanti della zona. In un punto preciso di una valle laterale vicino al paese si sentiva un soffio d’aria molto freddo. Era il chiaro segnale che lì, da qualche parte, c’era una grotta.

Gli speleologi individuarono un buco di pochi centimetri di diametro da cui usciva l’aria fredda. Lavorarono un’ora per aprirsi un varco e trovarono un cunicolo. Entrarono strisciando. Dopo alcuni metri il passaggio si allargò, diventò un meandro e infine una galleria. Quel giorno gli speleologi esplorarono circa 700 metri di grotta, quasi increduli. All’uscita Devis Magri era eccitato come tutti gli altri: per l’emozione non faceva altro che esclamare «bueno, bueno», pensando già alle future esplorazioni. Da quel giorno quella grotta si chiama Bueno Fonteno.

Negli ultimi 18 anni sono state organizzate centinaia di spedizioni. Sono state scoperte gallerie e meandri lunghi chilometri, pareti alte diversi metri, bivi, cunicoli e pozze sotterranee mappate con attenzione. A tutto è stato dato un nome. Sul ramo principale della grotta ci sono le caverne chiamate Fonteno Beach, Mastodon e Ciclopico. Nel ramo noto come Hydrospeed si trovano “le fate”, “terra di mezzo”, “laguna blu”, “salsa rosa” e “smeraldo”. C’è poi un altro ramo chiamato Fangul.

In totale sono stati esplorati circa 36 chilometri di grotta, tra cui un collegamento con un altro sistema di gallerie sotterranee chiamato Nueva Vida. Più andavano avanti e più gli speleologi si rendevano conto di essere in una piccola porzione di un vasto bacino idrogeologico e carsico che attraversa buona parte del versante occidentale del lago d’Iseo.

Ottavia Piana è una speleologa esperta, ha partecipato a molte di queste spedizioni insieme ai compagni del CAI di Lovere. Sabato, quando è caduta, stava esplorando un ramo non ancora mappato a quasi 600 metri di profondità in un punto distante sei ore dal punto di accesso.

Queste esplorazioni hanno tre obiettivi principali: indagare il reticolo idrogeologico del sistema carsico per descrivere i corsi d’acqua sotterranei; individuare i flussi d’aria in ingresso e in uscita dalle grotte; studiare la fauna che vive dentro la montagna. Gli speleologi non lo fanno di professione, sono volontari, ma il loro è un lavoro molto importante, portato avanti con un approccio scientifico e che può restituire informazioni sullo stato di conservazione della montagna e soprattutto sulla gestione dell’acqua.

Per fare tutto questo gli speleologi di Lovere si sono uniti ad altri gruppi locali e hanno costituito il Progetto Sebino, che negli anni ha partecipato a diversi bandi di finanziamento delle ricerche. Uno dei progetti più lunghi e ambiziosi si chiama “100 km di abissi”, sostenuto da Uniacque, l’azienda pubblica che gestisce l’acqua in provincia di Bergamo.

Grazie a questo progetto di ricerca, gli speleologi hanno scoperto che la Bueno Fonteno è collegata con due sorgenti poste ai due versanti del massiccio montuoso che separa il lago d’Iseo dalla val Cavallina, dove c’è il lago di Endine. In un punto del sistema carsico che non è ancora stata trovato, l’acqua prende due diverse vie che portano una verso una sorgente a Tavernola, sul versante del lago di Iseo, e l’altra verso la sorgente Acquasparsa nel comune di Grone, sul lato occidentale del massiccio del Sebino. L’intero sistema carsico si sviluppa per quasi 100 chilometri quadrati, nel territorio di 19 comuni bergamaschi.

In questo render tridimensionale si può osservare la struttura delle grotte esplorate finora nella zona di Fonteno.

Durante le spedizioni portate a termine fino al 2008 furono individuati molti sifoni, cioè passaggi colmi d’acqua. La prima immersione fu organizzata nel 2009. Lo speleosub Marcello Moi, sardo, si immerse nel sifone chiamato “smeraldo”, un lago sotterraneo che raccoglie molta acqua del sistema carsico. Nel luglio del 2012 altri due speleosub, Luca Pedrali e Nadia Bocchi, riuscirono ad avanzare lungo “smeraldo” per 500 metri confermando l’esistenza di un proseguimento della galleria.

Negli ultimi anni gli speleologi del Progetto Sebino sono stati impegnati sia nella mappatura di nuove zone della grotta sia nell’attività di tracciamento delle acque, che consiste nel verificare dove passa l’acqua e dove arriva. Il tracciamento viene fatto versando un composto chimico fluorescente nei corsi d’acqua. Le acque tracciate nelle diverse campagne organizzate dagli speleologi sono emerse nella sorgente Milesi di Tavernola, a circa 6 chilometri dal punto di immissione e sull’altro versante, nel territorio di Grone.

Le ricerche hanno permesso di conoscere meglio i corsi d’acqua sotterranei: il regime delle acque sotterranee, cioè il livello, è sempre costante anche in periodi di siccità, e in alcuni periodi dell’anno particolarmente piovosi la portata può arrivare fino a 130 litri al secondo.

La mappa che mostra il possibile passaggio dell'acqua da una versante all'altro del massiccio del Sebino

La mappa che mostra il possibile passaggio dell’acqua da un versante all’altro del massiccio del Sebino (Progetto Sebino)

Lunedì Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana (SSI), ha difeso il lavoro di Ottavia Piana e dei suoi colleghi con un video in cui ha ribadito l’importanza della speleologia; è intervenuto anche in risposta alle critiche nei confronti della speleologa, soccorsa in due occasioni nella stessa grotta. Orsini ha detto che Piana è un’ottima speleologa e che le ricerche in grotta sono «una fonte inesauribile di informazioni che aiutano la nostra società per la ricerca, la mappatura e le analisi dell’acqua che beviamo. Al di là dell’evento sportivo è la ricerca di queste informazioni che spinge gli speleologi ad approfondire le loro esplorazioni».