Il vescovo dei cattolici in Siria ha fiducia in Abu Mohammed al Jolani
Lo ha raccontato in un incontro ad Aleppo, nel nord della Siria, ricostruendo gli inaspettati sviluppi avvenuti tra i due negli ultimi anni
di Daniele Raineri
Il vescovo Hanna Jallouf è l’autorità più alta della Chiesa cattolica in Siria e dice di essere ottimista dopo la fine del regime di Bashar al Assad e la conquista della Siria da parte degli insorti. Le parole del vescovo sono sorprendenti e in contraddizione con alcune analisi uscite in questi giorni che parlano della Siria come di un possibile nuovo «califfato», perché a vincere la guerra civile sono stati gruppi armati islamisti che negli anni passati erano legati allo Stato Islamico e ad al Qaida.
C’è il timore che gli islamisti al potere in Siria annunceranno presto misure dure e discriminatorie contro le minoranze religiose, che invece erano trattate alla pari quando c’era il regime del presidente Bashar al Assad. Il regime siriano rispettava le libertà religiose, ma commetteva crimini atroci contro i suoi oppositori politici.
Jallouf parla al Post in un ufficio accanto alla chiesa di San Francesco di Aleppo. Dice di essere ottimista perché è da due anni che conosce di persona il capo degli insorti, Abu Mohammed al Jolani (che ora si fa chiamare con il suo vero nome, Ahmad al Sharaa), e si fida di lui.
Un po’ di contesto. Prima di diventare vicario apostolico per la Siria, Jallouf era stato vescovo nella regione di Idlib, una delle più dure di tutto il paese per i cattolici, perché fin dall’inizio della guerra civile era finita sotto il controllo, in varie fasi, di tutti i gruppi islamisti, incluso lo Stato Islamico. «Noi cristiani eravamo perseguitati e trattati come cittadini di decima categoria, non di seconda», dice.
Jallouf racconta che una volta fu convocato dal tribunale islamico di Idlib alle dieci del mattino, ma fu lasciato fuori dalla porta ad aspettare per cinque ore «perché sono un infedele e davanti a me passavano tutti i musulmani». Era andato con l’abito da francescano: gli dissero che non poteva indossarlo perché nel concordato c’era scritto che i cristiani non potevano portare in pubblico simboli della loro fede per non essere accusati di proselitismo. Rispose che se era per aiutare i suoi fedeli allora poteva togliere l’abito.
Il concordato al quale si riferisce Jallouf sono le regole che i gruppi islamisti imponevano alle minoranze cristiane nei territori sotto il loro controllo. Tra gli obblighi c’era quello di vivere nascosti: non suonare le campane delle chiese, non mostrare in pubblico croci o Bibbie, non parlare di religione con i musulmani.
Un’altra volta Jallouf fu convocato perché gli islamisti volevano imporre nuove regole alle donne cristiane. Lui rispose che tanto valeva fare un editto per cacciare via tutti i cristiani: avrebbe obbedito e avrebbe portato via dalla regione di Idlib i suoi fedeli. A quel punto gli islamisti ritirarono le nuove imposizioni, perché la loro dottrina sostiene che la presenza dei cristiani debba essere mortificata, ma non eliminata del tutto. Era il 2015: il gruppo più forte nell’area di Idlib era Jabhat al Nusra, comandato da al Jolani, ma c’erano anche altri gruppi islamisti che aspiravano a diventare ancora più forti.
Nel 2018 quando Jolani prese il potere e divenne il più forte a Idlib, il suo gruppo Hayat Tahrir al Sham (Hts) volle aprire un canale di comunicazione con i cristiani della regione: così è stato fino al 2022. Nel 2022 Hts aveva l’ambizione di costruire un nuovo stato, «ma un nuovo stato non può essere soltanto uno stato rivoluzionario, devi cambiare anche le tue idee e i tuoi principi e così hanno fatto», dice Jallouf.
Il capo di Hts chiese di fare un incontro con i cristiani e con le altre minoranze religiose, e il vescovo rispose di sì.
«Ho preso quindici persone della mia gente e siamo andati a fare questo incontro, c’era la paura che ci bombardassero perché se qualcuno avesse saputo dove ci stavamo riunendo avrebbe potuto ammazzarci tutti. Non so dove siamo andati, perché ci hanno messo dentro macchine con i vetri oscurati. E appena lui è entrato, ha detto: “io non sono venuto qui per farvi una predica, ma sono venuto per ascoltarvi”. Bene, ho detto, noi siamo venuti per farti ascoltare. E così abbiamo parlato per un’ora e mezza. Abbiamo esposto tutti i nostri problemi, i misfatti che hanno fatto contro di noi. Alla fine al Jolani ha detto: “mi dispiace di tutto quello che è successo e mi scuso per tutto quello che è successo. Io vi assicuro questo, adesso è giugno e a giugno prossimo sarà tutto risolto tra noi”».
Dopo due giorni al Jolani mandò quattro dei suoi collaboratori più stretti dal vescovo, e assieme stesero un piano per rimediare alle discriminazioni di Hts. La prima cosa che chiese il vescovo non fu la restituzione dei beni della Chiesa, ma il ripristino dei diritti delle vedove e degli orfani cristiani a ricevere le eredità e a una forma di mantenimento, che è una regola accettata in tutte le religioni, per musulmani, ebrei e cristiani. In due mesi i miliziani restituirono tutto alle vedove.
«Poi abbiamo ripreso le cose della Chiesa, terreni, chiese, conventi. Volevano dare tutto a me, anche le cose degli ortodossi, dei protestanti, eccetera. Ho detto aspettate, oh, io non ho la possibilità di tenere tutta questa roba. E non so cosa c’era prima. Se un giorno i proprietari vengono da me e dicono qui c’erano delle icone e voi le avete vendute e mancano, io passo per un ladro. No, mettete tutto per scritto quello che c’è dentro, chiudete a chiave e quando tornano i loro padroni consegnate a loro».
Quando Jolani seppe che Jallouf era stato fatto dal Papa vicario apostolico della Chiesa in Siria mandò tre dei suoi collaboratori per fare gli auguri alle otto del mattino. Quelli dissero: il nostro capo (Jolani) vuole dare un ricevimento per te, a Idlib, mercoledì. «Era domenica, chiesi quante persone porto con me: sei, otto? Mi dissero macché sei o otto, porta almeno quaranta persone. Mandiamo un autobus a prendervi, organizziamo tutto. Fu una cena favolosa, c’era ogni ben di Dio».
Mancava al Jolani, per ragioni di sicurezza. Il suo vice prese da parte il vescovo e gli disse: «Senti, il nostro sheikh voleva te e il tuo collaboratore a cena, ma da soli». Jallouf accettò, ma disse che era meglio fare in fretta perché il lunedì successivo sarebbe partito.
Così domenica sera andò a cena da al Jolani. Erano soltanto otto persone. Jallouf racconta: «Gli ho detto queste parole: tanto tempo fa San Francesco si è incontrato con il sultano in Egitto. Noi non sappiamo che cosa si sono detti, ma sappiamo i risultati: i frati francescani hanno avuto il permesso di far passare tutti i pellegrini nei luoghi santi. E poi hanno costruito i luoghi santi. Adesso io parto, ma ti affido tutti i miei fedeli». Jolani rispose “dai miei occhi”, che è un’espressione araba che vuol dire: sarà fatto, con piacere e al massimo delle mie possibilità.
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Quando due settimane fa si è accorto che gli insorti stavano per conquistare Aleppo, Jallouf ha lasciato Damasco ed è andato nella città del nord siriano. Dopo la vittoria, i capi degli insorti sono andati a fargli visita e lui ha fatto gli auguri a tutti. Al Jolani non c’era, ma loro hanno chiesto al vescovo se volesse parlare con lui, e glielo hanno passato al telefono. «Ricordati quello che ti ho detto», è stato il messaggio di Jallouf. In quei giorni cominciò a girare sui social la storia che al Jolani avrebbe proposto al vescovo l’incarico di governatore di Aleppo, ma lui ha smentito.
Il vicario apostolico della Siria dice di essere ottimista perché al Jolani «è un uomo leale, un uomo che mantiene la parola, un vero uomo. Ieri ha fatto una dichiarazione molto bella sulla tv siriana; ha detto: «ormai dobbiamo passare da una rivoluzione a uno stato». È una dichiarazione forte, vuol dire che devono togliersi l’abito da rivoluzionario per indossare l’abito da uomini di stato.
Jallouf sostiene che il capo degli insorti islamisti avrebbe detto che per i cristiani sarà tutto come prima (come quando c’era il regime di Assad) e che tutto sarà protetto: le chiese, i magazzini, gli uffici e le fabbriche. «E veramente abbiamo avuto qualche problema, ma lo abbiamo risolto subito. I miliziani volevano entrare in una fabbrica di alcol, allora il padrone è venuto da me a piangere: “ah monsignore, mi aiuti per favore”. Allora ho parlato con loro. Subito hanno mandato una squadra a vedere e mi hanno detto: se qualcuno ti viene a dire qualcosa noi siamo qui. È successo quattro giorni fa».