Come fanno i soccorritori a portare fuori dalla grotta la speleologa ferita
Tra la val Cavallina e il lago d’Iseo, in provincia di Bergamo, oltre 100 persone si stanno alternando in turni da 15 ore: i video
di Isaia Invernizzi
L’ingresso dell’abisso Bueno Fonteno è alto poco più di un metro e largo al massimo uno e mezzo. Bisogna chinarsi, superare una grata e iniziare a strisciare. Il cunicolo nella montagna viene illuminato solo con la luce frontale posizionata sul casco, metro dopo metro. Una volta entrati si perde il segnale, è molto complicato comunicare con l’esterno. A volte la galleria si apre, ci si può alzare in piedi e camminare. Alcuni tratti invece sono molto stretti, si oltrepassano a fatica, sempre strisciando.
Più si va avanti e più ci si imbatte in strapiombi che si superano calandosi, come in una parete rocciosa in montagna. La temperatura è tra i 7 e gli 8 gradi sempre, tutto l’anno, di giorno e di notte. L’umidità è al 100 per cento, quasi impregna i vestiti. In queste condizioni stanno lavorando 7 squadre del soccorso speleologico arrivate a Fonteno, tra la val Cavallina e il lago d’Iseo, in provincia di Bergamo: si stanno alternando in turni da 15 ore per recuperare Ottavia Piana, la speleologa bloccata dalle 18 di sabato in un tratto inesplorato di questo vasto complesso di grotte e gallerie sotterranee.
Piana, 32 anni, esperta speleologa del CAI (Club Alpino Italiano) di Lovere, stava risalendo una forra – una parete quasi verticale dove scorre dell’acqua – quando è caduta all’indietro per circa sei metri. Non si sa se abbia ceduto un chiodo utilizzato come appiglio oppure si sia frantumato un pezzo di roccia. È caduta di schiena, procurandosi fratture alle gambe e al torace. Si trovava a 585 metri di profondità in un tratto della grotta inesplorato. Era lì insieme ad altri nove speleologi del Progetto Sebino per mapparlo e dargli un nome. Già un anno fa aveva avuto un incidente, sempre nella stessa grotta: era stata recuperata dopo circa due giorni.
Stavolta l’intervento è più lungo e complicato perché servono almeno 6 ore per raggiungerla. La sezione lombarda del soccorso alpino e speleologico si è subito accorta che i primi soccorritori volontari avrebbero avuto bisogno di aiuto: tra sabato e domenica a Fonteno sono arrivate squadre da Piemonte, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Liguria.
Rino Bregani è stato il primo medico entrato nella grotta. Dice di essere «devastato» dopo aver passato 24 ore dentro la Bueno Fonteno. È arrivato qui sabato alle 23, è entrato nella montagna intorno alle 2 di notte ed è uscito alla stessa ora tra domenica e lunedì. «Si sta per ore nel fango, nel freddo e nel sudore. È tutto bagnato, ovunque. Non c’è tempo per riposare», dice. Ci ha messo 7 ore per raggiungere Ottavia Piana, accompagnato da uno speleologo che faceva parte della spedizione e insieme ad altri due infermieri. Sono tutti volontari: Bregani per esempio lavora nel reparto di Medicina interna del policlinico di Milano.
La prima cosa da fare in un caso come questo non è curare, ma evitare che la situazione sanitaria si complichi. Bisogna proteggere la persona ferita dal freddo, prevenire una possibile ipotermia o una disidratazione. Anche una frattura a una mano, spiega Bregani, può essere rischiosa. I medici si portano dietro il minimo indispensabile perché devono arrivare il prima possibile, senza pesi eccessivi addosso: servono una barella e alcune imbragature per bloccare la schiena e le gambe, e qualche farmaco per tenere a bada il dolore.
I parametri vitali di Piana sono tenuti sotto controllo da alcuni dispositivi che misurano la pressione e la saturazione. Dopo aver assistito la persona ferita per circa 8 ore si torna indietro. Ci vogliono almeno altre 4 ore per raggiungere l’uscita.
Le informazioni sulle condizioni di Piana vengono poi consegnate alla squadra di operatori sanitari che dà il cambio per rimanere almeno altre 15 ore nella grotta. Le comunicazioni vengono trasmesse attraverso un cavo, una sorta di doppino telefonico srotolato da alcuni tecnici chiamati telefonisti. Al filo viene collegata una grande cornetta rossa che funziona come un walkie talkie: si preme un pulsante per avviare la comunicazione. In casi eccezionali può essere portato anche un cavo per la connessione internet, per condividere con medici all’esterno i risultati di ecografie fatte al momento o i parametri vitali. A Fonteno non ce n’è stato bisogno.
Alan De Simone è stato tra i primi soccorritori a trasportare la barella per un tratto di grotta nel percorso verso l’uscita. È entrato domenica alle 11 di mattina ed è uscito lunedì mattina alle 6 insieme a un’altra decina di volontari. Dice che Piana era cosciente, dolorante e preoccupata per la distanza dall’esterno.
La complicazione maggiore di questo intervento consiste nel passaggio in punti molto stretti, dove la barella fatica a muoversi. Bisogna alzarsi e abbassarsi in continuazione, trovando il modo migliore per evitare ulteriori ferite o mettere a repentaglio la sicurezza di altri soccorritori. Rispetto a un soccorso in montagna, il tetto della galleria è molto utile quando bisogna sollevare la barella: un semplice chiodo ad anello piantato in alto può aiutare molto e rendere gli spostamenti meno suscettibili agli urti con le pareti intorno. Ma non sempre è possibile trovare il passaggio sgombro per via delle dimensioni ridotte delle gallerie verticali.
«Si torna indietro molto lentamente», dice De Simone. «Noi saremo riusciti a fare circa 700 metri prima del cambio». I tempi di intervento sono lunghi e allo stesso tempo programmati e rigorosi per evitare che i soccorritori si stanchino eccessivamente. Sia all’andata che al ritorno si trovano delle strisce plastificate di colore giallo acceso a indicare la direzione da prendere, soprattutto in prossimità dei bivi.
I soccorritori che sono entrati per primi hanno registrato una serie di informazioni passate alla cosiddetta “commissione disostruzione”, formata da tecnici che hanno licenze speciali per aprire varchi nelle gallerie, anche con l’aiuto di piccole cariche di esplosivo. Finora nel Bueno Fonteno sono intervenuti con trapani a mano e a batteria per rompere la roccia nei punti più stretti, dove una barella con una persona ferita non riuscirebbe a passare agilmente.
Nella notte tra domenica e lunedì è stato allargato un tratto di circa 100 metri. L’obiettivo è velocizzare il più possibile il recupero di Piana. «Qui il problema è il tempo», dice Alberto Gabutti che fa parte della direzione nazionale del soccorso alpino e speleologico. Se tutto andrà come previsto, i soccorritori dovranno lavorare fino a mercoledì per portarla fuori.