Cosa si dice del film su Bob Dylan con Timothée Chalamet
Nonostante una certa preoccupazione preventiva dei fan, alla critica americana sta piacendo, sia per la regia sia per le interpretazioni
A Complete Unknown, il film diretto da James Mangold e dedicato ad alcuni anni della vita del cantautore statunitense Bob Dylan, è stato accolto molto positivamente dai critici che lo hanno visto in anteprima la scorsa settimana al Dolby Theatre di Los Angeles, in California. Quasi tutte le recensioni uscite finora lo hanno descritto come un film che si allontana dagli stereotipi dei biopic – cioè i film biografici – usciti negli ultimi anni, evidenziandone il taglio autoriale e la scrittura brillante.
Ha ricevuto molti apprezzamenti anche Timothée Chalamet, l’attore che interpreta Dylan, che secondo la critica ha saputo calarsi in un personaggio rilevante e venerato come pochi altri in un modo tutto suo, pur rispettandone la caratura e l’iconografia. Questo era – ed è ancora – uno degli aspetti che avevano animato la maggior parte delle discussioni precedenti al film sui social network. Tra i fan storici di Dylan, generalmente scettici sul progetto, la scelta di Chalamet era infatti stata criticata e oggetto di un certo sarcasmo, in quanto attore dalla carriera e dal fascino piuttosto convenzionali, e giudicato poco adatto per interpretare un personaggio sfaccettato e mitico come Dylan, nonostante la ragguardevole somiglianza fisica.
A Complete Unknown, che uscirà negli Stati Uniti il 25 dicembre e in Italia il 23 gennaio, ricevette estese attenzioni già dall’annuncio della sua uscita. Sia perché racconta uno dei musicisti statunitensi più importanti di sempre, con schiere di fan accaniti pronti a scaldarsi per il film, sia per alcune sue particolarità narrative. Una di queste è il fatto che Chalamet ha usato la sua voce per cantare tutte le canzoni, senza essere doppiato: una decisione che aveva suscitato allarmi e indignazione tra i dylaniani.
Per raggiungere un’impostazione vocale il più possibile simile a quella di Dylan, Chalamet ha preso lezioni da Eric Vetro, uno dei vocal coach (insegnanti di canto) più richiesti di Hollywood, che nel 2022 aveva seguito Austin Butler per Elvis e che sta attualmente lavorando con Jeremy Allen White, che interpreterà Bruce Springsteen in un film di prossima uscita.
Le informazioni che Mangold e lo sceneggiatore Jay Cocks hanno utilizzato per scrivere A Complete Unknown sono state riprese in larga parte da Dylan Goes Electric!, una celebrata biografia scritta nel 2015 dallo storico della musica americano Elijah Wald. Proprio come il libro, il film non racconta tutta la vita di Dylan, ma un momento specifico della sua carriera: quello che va dal 1961, quando lasciò Minneapolis per trasferirsi a New York, al 25 luglio del 1965, quando tenne uno dei concerti più ricordati e discussi della sua carriera a Newport, in Rhode Island.
È un concerto attorno al quale si è creata tutta una mitologia, e che i giornalisti musicali hanno descritto come l’inizio della “svolta elettrica” di Dylan, che era stata anticipata qualche mese prima da Bringing It All Back Home, il suo quinto disco. In quell’occasione Dylan ricevette infatti molte critiche da parte dei puristi della musica folk cantautorale americana, di cui fino a quel momento era stato il più celebre interprete, per la sua scelta di utilizzare strumenti elettrici, e quindi di prendere una direzione artistica diversa e più moderna, vicina al rock.
Il giornalista del Guardian Peter Bradshaw ha lodato l’interpretazione di Chalamet, che a suo dire ha saputo restituire bene la «comicità insolente» tipica di Dylan, dando vita a un personaggio «ipnotico» e dalla «spavalderia incredibile». Bradshaw ha scritto di essere rimasto sorpreso da alcune scelte di Mangold, che ha saputo discostarsi dalla struttura «ascesa, caduta, apprendimento, esperienza e ritorno» tipica di molti biopic usciti negli ultimi anni.
Scegliendo di mantenere fede alla struttura del libro di Wald, Mangold ha potuto infatti concentrarsi su un arco temporale ben preciso, raccontando una storia «tormentata e volutamente poco chiara», senza la pressione di dover recuperare ogni dettaglio della vita di Dylan e senza lasciarsi condizionare dal fan service, la pratica – malvista dal punto di vista creativo – di dare agli spettatori un contenuto che ne soddisfi la curiosità, senza grandi qualità narrative o meriti artistici. Su questo punto concorda anche il critico Brian Tallerico, secondo cui Mangold ha saputo evitare «l’approccio spesso superficiale del film biografico» per raccontare «un capitolo formativo nella musica, e un pezzo di storia del mondo».
A Complete Unknown è un film diverso dai soliti biopic anche secondo Kristy Puchko di Mashable: non parla della vita di Dylan con toni enfatici e celebrativi, ma preferisce soffermarsi su alcune peculiarità caratteriali del personaggio, e su alcuni suoi limiti emotivi. Un primo merito è che il Dylan interpretato da Chalamet, ha scritto Puchko, «è un uomo che è parte del popolo, ma che vuole rimanerne separato. Si rifiuta di conformarsi a norme sociali, obblighi romantici, convenzioni di genere o pressioni della comunità».
Tuttavia, sempre secondo Puchko, a rendere A Complete Unknown un ottimo film sono soprattutto i comprimari. Mangold ha infatti ideato un protagonista introverso e che «prende deliberatamente le distanze da tutti», e per renderlo credibile era necessario che gli attori secondari «esprimessero emozioni che Bob [Dylan] non avrebbe mai osato esprimere».
Per esempio Edward Norton, che nel film interpreta il cantautore Pete Seeger, incarna in modo convincente il ruolo della «figura paterna e affettuosa» di cui Dylan ha bisogno per adattarsi ai nuovi ritmi di New York, mentre Elle Fanning (Sylvie Russo, ispirata alla sua fidanzata del tempo Suze Rotolo) raffigura efficacemente l’archetipo della «ragazza dei sogni per un artista affamato appena arrivato in città». Mangold ha saputo rendere al meglio il rapporto travagliato tra la cantante americana Joan Baez (interpretata da Monica Barbaro) e Dylan, in cui «la gelosia che ferisce entrambe le parti e il dolore che condividono come artisti e amanti è mozzafiato, tagliente fino al midollo», ha scritto Puchko.
Una delle poche recensioni negative è stata invece quella pubblicata da Madison Bloom su Pitchfork, secondo cui l’interpretazione di Chalamet non riesce «a salvare il biopic poco elettrizzante di James Mangold dagli stereotipi tipici del genere». La principale criticità del film, a detta di Bloom, è il non riuscire a rendere interessante quello che dovrebbe essere il suo elemento centrale, ossia il passaggio di Dylan dal folk alla musica rock: «il tentativo del film di catturare questo conflitto artistico è artificioso nella migliore delle ipotesi, ridicolo nella peggiore», ha scritto.
Bloom ha comunque apprezzato l’economia nel racconto di Mangold, che ha avuto il merito di «selezionare un periodo specifico della carriera di Dylan, piuttosto che affrontare un’epopea che abbraccia la sua intera vita». Tuttavia, ha aggiunto, anche se la “svolta elettrica” di Dylan è una parte importante della storia del rock di quel decennio, a suo avviso «non è un concetto così profondo da reggere un film di 140 minuti».
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