Cosa ci dice il documento dell’intelligence siriana che parla dell’Italia

Riguarda una telefonata con il direttore dei servizi segreti esteri italiani che di per sé, in realtà, non è poi così scandalosa

di Valerio Valentini

Mercoledì 11 dicembre l’Independent Arabia, il servizio online per le notizie del mondo arabo del quotidiano britannico Independent, ha pubblicato un video di un suo reporter che entrava nella sede abbandonata dei servizi d’intelligence siriani a Damasco. Il video mostrava, tra l’altro, l’ufficio a soqquadro del capo dei servizi segreti di Bashar al Assad, Hassan Luqa, sulla cui scrivania c’erano vari documenti scritti in arabo tra cui uno che riguardava l’Italia: sabato scorso Suhail AlGhazi, un divulgatore siriano che si dedica spesso a questioni di intelligence, ha notato come in una parte di quel documento si facesse esplicito riferimento a una telefonata che Luqa aveva ricevuto da Giovanni Caravelli, il direttore dell’AISE, cioè dei servizi segreti esteri italiani.

Il documento, tradotto in maniera un po’ approssimativa sulla base di qualche fotogramma del video, contiene un «memorandum» del 5 dicembre con cui Luqa intendeva fornire informazioni ad Assad sull’evoluzione caotica degli scontri in corso nel nordovest della Siria. C’è una lunga parte iniziale in cui Luqa riferisce di un colloquio telefonico con il capo dei servizi segreti giordani, e poi ci sono un paio di righe finali che fanno riferimento proprio a Caravelli. La traduzione è grosso modo questa: «Ho ricevuto anche, su sua richiesta, una telefonata del generale Giovanni Caravelli, capo dell’intelligence italiana che ha ribadito il sostegno del suo paese alla Siria, e ha spiegato che il sostegno alla Siria da parte della Russia non poteva essere dimenticato», oppure «non poteva essere trascurato».

Il significato preciso di questo messaggio è rimasto poco chiaro, e particolarmente ambiguo è il riferimento alla Russia. Domenica, in maniera informale, i dirigenti dell’intelligence italiana hanno confermato che quella telefonata c’era stata, ma hanno negato che alla base di quel colloquio ci fosse una effettiva offerta di aiuto da parte dell’Italia al regime pericolante di Assad.

Lunedì si è capito qualcosa di più: Caravelli ha fatto quella telefonata d’intesa con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, responsabile politico dei servizi segreti, la cosiddetta autorità delegata. Anche Giorgia Meloni era a conoscenza della telefonata. L’obiettivo, riferiscono fonti dell’AISE, era ottenere rassicurazioni sull’incolumità degli italiani presenti in Siria e del personale diplomatico che operava nel paese.

Il direttore dell’AISE Giovanni Caravelli (a sinistra), insieme al presidente del Copasir Lorenzo Guerini durante una sua audizione davanti al Comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti il 29 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Inoltre, l’intelligence italiana voleva chiedere delle garanzie sulla comunità cristiana presente in Siria, specie dopo che, nel tentativo di difendere il regime di Assad, il primo dicembre l’esercito russo aveva colpito con un missile il terreno intorno al Collegio di Terra Santa dei frati francescani, ad Aleppo. Il riferimento ai russi, che erano stati il principale alleato di Assad soprattutto dopo la guerra civile del 2011 in Siria, andrebbe letto in questo senso.

Conoscere l’esatto contenuto del colloquio tra Caravelli e Luqa è di fatto impossibile, ma alcune cose si possono comunque dire sulla telefonata. È abbastanza normale che l’intelligence italiana, come del resto quelle di tutti i principali paesi del mondo, abbia contatti e scambi di informazioni con tutti, anche coi regimi più sanguinari. Anzi, in questo senso il lavoro dei servizi segreti è ancora più utile quando si ha a che fare con governi o dittature ostili, con cui i rapporti diplomatici e politici non possono essere espliciti e palesi.

Questo non implica che l’Italia stesse necessariamente aiutando Assad nella resistenza contro l’avanzata delle forze anti-assadiste che l’hanno rovesciato (quelli che venivano chiamati “ribelli” fino a poco tempo fa).

Quel riferimento che Caravelli avrebbe fatto durante la telefonata al sostegno italiano alla Siria va interpretato quindi con cautela. L’Italia ha in Siria un contingente piuttosto ristretto di agenti, non più di dieci, da quel che è possibile capire, e difficilmente avrebbe potuto offrire un sostegno diretto, logistico o militare. Ma non è escluso che, in un normale rapporto tra capi delle agenzie di sicurezza, Caravelli abbia usato semplicemente gli strumenti retorici tipici dell’intelligence: promettere, lusingare, insomma mantenere una certa ambiguità.

Sono alcune precise scelte politiche, più che ragioni di intelligence, che potrebbero aver suggerito a Caravelli di fare quella telefonata. Se insomma questo contatto tra Caravelli e Luqa riflette il tentativo dell’Italia di avere rapporti diplomatici meno ostili con Assad, allora Caravelli non ha fatto altro che dare seguito a un orientamento che il governo italiano aveva deciso di seguire già da mesi: e cioè porsi come capofila dei paesi occidentali che intendevano promuovere una completa normalizzazione di Assad, favorendo una riapertura del dialogo e una graduale riabilitazione di un regime sanguinario contro cui sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti nell’ultimo decennio avevano approvato sanzioni.

Non a caso, l’Italia era stato l’unico paese del G7 e l’unico grande paese europeo a riaprire a pieno regime l’ambasciata a Damasco, facendovi insediare stabilmente un proprio diplomatico, Stefano Ravagnan. Il quale, peraltro, si era stabilito a Damasco il 20 novembre scorso, anche grazie al lavoro preparatorio fatto dall’AISE coi servizi segreti siriani. Quindi, semmai, c’è da chiedersi se le informazioni che l’intelligence italiana aveva raccolto sull’evoluzione della situazione in Siria non fossero poco attendibili, visto che di fatto l’Italia ha riallacciato più o meno formalmente i rapporti diplomatici con il regime siriano un paio di settimane prima della fuga di Assad. È verosimile che i nostri servizi segreti siano stati colti di sorpresa, come quelli di altri paesi occidentali.

Ma questa distensione diplomatica da parte del governo di Meloni andava avanti da mesi, e non rispondeva a input dell’intelligence, ma a due obiettivi che aveva il governo, poi sfumati per via della caduta di Assad: da un lato promuovere un piano per il ritorno in Siria dei profughi siriani rifugiati perlopiù in Libano, dall’altro contendere un po’ dell’influenza della Francia in quella regione, storicamente forte.

Giorgia Meloni insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che ha delega sui servizi segreti (Roberto Monaldo/LaPresse)

Insomma, è vero che il governo di Meloni si è servito di informazioni che i servizi segreti raccoglievano sul territorio, ma le ha poi utilizzate per dare sostanza a una propria condotta diplomatica. E del resto sono anni che l’AISE raccoglie informazioni su quello che avviene in Siria, sia per contenere la minaccia terroristica, cercando di impedire che arrivino in Italia jihadisti intenzionati a compiere attentati, sia per le attività di mercenari siriani attivi anche nel Nord Africa e in particolare in Libia.

Nel corso del 2023 Assad intensificò i tentativi di riabilitarsi agli occhi dei paesi occidentali. A febbraio, in occasione del terremoto che colpì principalmente il sud della Turchia, con la scusa di fornire soccorso umanitario colse l’occasione per riaprire alcuni canali diplomatici interrotti da tempo sia con la Turchia stessa sia con gli altri paesi europei che avevano offerto aiuto, ripristinando tra l’altro i rapporti bilaterali con l’Arabia Saudita prima e con gli Emirati Arabi poi. Inoltre, l’intelligence siriana fornì informazioni utili a quelle italiane e statunitensi per prevenire o contenere attacchi e attentati ai contingenti americani impiegati nell’est del paese, lungo il confine con l’Iraq. All’Italia, che ha oltre mille militari impegnati in due missioni NATO in Iraq, alcune informazioni ricevute nel contesto di questi colloqui risultarono preziose.

Tutto ciò ha contributo a convincere il governo che fossero maturi i tempi per promuovere una distensione con Assad, anche nelle sedi istituzionali europee.

Bisogna anche considerare che la diplomazia italiana si muove da decenni in Medio Oriente seguendo un orientamento noto come «equivicinanza»: dialogare un po’ con tutti, sia con Israele sia con le istituzioni e le organizzazioni paramilitari o terroristiche palestinesi, e coi rispettivi alleati. Questo atteggiamento volubile e un po’ disinvolto, che ha spesso provocato insofferenza da parte degli Stati Uniti, ha consentito all’Italia di ritagliarsi talvolta un ruolo più o meno nobile di mediatrice in varie circostanze, e ha peraltro fatto in modo che nei decenni più turbolenti del terrorismo internazionale, specie negli anni Settanta, i gruppi armati filopalestinesi non organizzassero grossi attentati sul territorio italiano.

Questo atteggiamento fondamentalmente ambiguo si era manifestato anche sulla Siria, in anni recenti. Nel febbraio del 2018 per esempio aveva creato un piccolo scandalo internazionale il fatto che l’allora capo dell’AISE Alberto Manenti avesse ricevuto a Roma, in un incontro riservato organizzato d’intesa col ministro dell’Interno Marco Minniti, uno dei capi dell’intelligence siriana, Ali Mamlouk, sanzionato dall’Unione Europea. Durante il primo governo di Giuseppe Conte le posizioni poco severe della diplomazia italiana verso il regime di Assad erano state invece ricondotte all’orientamento filorusso dei partiti di maggioranza, Lega e Movimento 5 Stelle. La stessa Giorgia Meloni in quegli anni ribadì più volte un certo sostegno per Assad.