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  • Sabato 14 dicembre 2024

A chi piace François Bayrou?

È una questione cruciale per capire se il primo ministro francese nominato da Emmanuel Macron potrà reggere al governo, o se finirà come chi l'ha preceduto

Emmanuel Macron e François Bayrou (Ludovic Marin/Pool photo via AP)
Emmanuel Macron e François Bayrou (Ludovic Marin/Pool photo via AP)
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François Bayrou, appena nominato primo ministro francese, ha 73 anni, di cui 40 passati in politica: per tutta la carriera è stato un uomo di centro, prima nel partito di centrodestra Unione per la democrazia francese (UDF) e poi nel MoDem, da lui fondato. Il presidente francese Emmanuel Macron lo ha incaricato venerdì di formare un nuovo governo, con il dichiarato e prioritario compito di evitare mozioni di sfiducia e di durare il più possibile, magari fino a fine legislatura (2027). Non è un compito facile, come ha dimostrato il predecessore Michel Barnier, durato in carica meno di tre mesi e dimessosi dopo una mozione di sfiducia provocata da un acceso dibattito sulla prossima legge di bilancio.

Anche Bayrou come Barnier dovrà formare con ogni probabilità un governo di minoranza, che dovrebbe essere sostenuto dalle stesse forze che avevano sostenuto quello precedente: quelle centriste che fanno riferimento alla coalizione Ensemble di Macron, e quelle di destra più moderata, principalmente i Repubblicani. Dovrà però trovare i voti per approvare leggi e manovre di bilancio anche altrove. Sarà complicato, perché la Francia è in una situazione di stallo da mesi, cioè da quando alle elezioni legislative di luglio era emerso un parlamento sostanzialmente diviso in tre gruppi, nessuno dei quali ha la maggioranza e che non hanno intenzione di collaborare fra loro: oltre al gruppo centrista c’è il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Rassemblement National di destra.

I governi in Francia per entrare in funzione non hanno bisogno di superare un voto di fiducia, ma solo di non cadere per un voto di sfiducia: questo potrebbe essere un vantaggio per Bayrou, che sembra avere la qualità di non dispiacere troppo a molti.

Il primo ministro alla cerimonia all’Hotel Matignon (Bertrand Guay/ Pool via AP)

Più volte candidato in prima persona alla presidenza, Bayrou dal 2017 è diventato il principale alleato di Macron. In quest’ultima crisi di governo è però riuscito a distanziarsene, grazie al modo in cui ha ottenuto la nomina. I giornali francesi hanno raccontato che Bayrou nei giorni scorsi era stato convocato da Macron, che gli aveva comunicato che non lo avrebbe scelto come primo ministro: a quel punto il leader dei MoDem avrebbe minacciato di togliere il suo sostegno al governo, forzando la mano al presidente. L’incarico che ha infine ottenuto è stata una vittoria politica che sembra indicare una certa indipendenza, ben vista anche dagli avversari di Macron.

Al momento l’unico partito che ha dichiarato di voler presentare una mozione di sfiducia immediata a Bayrou è la La France Insoumise, di sinistra radicale, guidata da Jean-Luc Mélenchon: è il più grande di quelli che fanno parte del gruppo di sinistra (il Nuovo Fronte Popolare), ma da solo non ha i voti per far cadere il prossimo governo. Socialisti, Verdi e Comunisti – cioè gli altri partiti di sinistra o centrosinistra – hanno annunciato che, pur non avendo intenzione di partecipare al nuovo governo e collocandosi all’opposizione, non lo sfiduceranno a prescindere, ma valuteranno le singole scelte, ponendo come unica condizione che non si faccia ricorso al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione, che consente di approvare un testo di legge in materia finanziaria senza passare da una votazione parlamentare. L’articolo 49.3 è stato utilizzato più volte dagli ultimi governi: lo ha fatto anche Barnier, incorrendo poi in una mozione di sfiducia.

Soprattutto dai Socialisti Bayrou potrebbe ottenere qualche apertura in più, grazie a relazioni che in passato erano state se non amichevoli, almeno costruttive: Bayrou appoggiò le candidature presidenziali socialiste di Ségolène Royal nel 2007 e di François Hollande nel 2012.

Anche con il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen i rapporti non sono particolarmente tesi. Bayrou in più di un’occasione ha difeso la legittimità della candidatura della leader del RN. Due anni fa, quando Le Pen aveva difficoltà a raccogliere le firme di 500 amministratori locali necessarie per presentare la candidatura presidenziale, Bayrou firmò (è anche sindaco di Pau, città sui Pirenei). Più recentemente ha difeso la posizione di Le Pen, accusata di appropriazione indebita di fondi europei, in una vicenda legale simile a quella vissuta da Bayrou stesso nel 2017.

Il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella ha detto che il suo partito concederà una possibilità a Bayrou, ribadendo però le condizioni che avevano portato alla rottura con Barnier, ossia la contrarietà a ogni taglio delle pensioni e dei rimborsi per le spese mediche.

Se Bayrou sembra in grado almeno inizialmente di evitare mozioni di sfiducia (dipenderà anche dalle scelte che farà relativamente ai ministri del suo governo), sarà più complesso trovare i voti per approvare le leggi in parlamento, e soprattutto quelle in materia di bilancio: la Francia è alle prese con un significativo debito pubblico e secondo le previsioni il deficit alla fine del 2024 sarà pari al 6,1 per cento del PIL. Per ridurlo è necessario tagliare le spese e aumentare le tasse, misure fortemente impopolari che le opposizioni difficilmente vorranno sostenere.