Cosa sta succedendo alla Beko in Italia

La multinazionale degli elettrodomestici è in crisi e dice che taglierà quasi 2mila posti di lavoro: il governo italiano sta cercando di impedirglielo

Il piazzale della Beko a Melano (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)
Lo stabilimento Beko di Fabriano, 12 dicembre (Angelo Mastrandrea/il Post)
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Allo stabilimento della Beko di Melano, a sei chilometri da Fabriano nelle Marche, quella appena passata è stata l’ultima settimana di lavoro del 2024. Da lunedì i 520 operai saranno in cassa integrazione fino all’Epifania. La fabbrica, che produce forni e piani cottura, ha ridotto la produzione al 40 per cento della sua capacità. Per questo da settembre due terzi degli operai rimangono a casa nell’ultima settimana del mese, mentre un terzo resta a casa nelle ultime due settimane.

«Io sono in cassa integrazione per una settimana e perdo 400 euro di stipendio», spiega Alessandro Belardinelli, 49 anni, impiegato alla catena di montaggio dei piani cottura in vetroceramica e a induzione. Chi è in cassa integrazione per due settimane ha invece il salario dimezzato più 500 euro di ammortizzatori sociali, che vengono anticipati dall’azienda e poi rimborsati dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS). Per tutti loro però i tagli non sono finiti, perché quando rientreranno, a gennaio, dovranno affrontare la richiesta dell’azienda di eliminare 66 posti di lavoro.

Gli esuberi dello stabilimento di Melano sono solo una piccola parte di quelli previsti dalla Beko, multinazionale turca che fa elettrodomestici. Il 20 novembre scorso ha presentato un piano industriale che prevede il taglio di 1.935 posti di lavoro su 5mila dipendenti, quindi quasi il 40 per cento dei suoi lavoratori in Italia. Prevede inoltre la chiusura degli stabilimenti di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, dove si producono lavatrici, di Siena, dove invece si assemblano congelatori, e un forte ridimensionamento di quello di Cassinetta, in provincia di Varese, dove si fanno frigoriferi e forni a incasso e a microonde. A Fabriano sono previsti 66 esuberi tra gli operai e sarà chiuso il settore ricerca e sviluppo, dove lavorano 300 designer e progettisti.

La Beko Europe è una società di proprietà al 75 per cento della multinazionale turca Arçelik e al 25 per cento dell’americana Whirlpool. Nella primavera del 2024 ha rilevato tutte le fabbriche di elettrodomestici della Whirlpool in Europa, e il piano italiano fa parte di un progetto di riorganizzazione della produzione di elettrodomestici che prevede un progressivo spostamento verso la Turchia, l’Egitto e la Romania, dove i costi sono più bassi. Nel giro di pochi mesi la Beko ha annunciato anche la chiusura di una fabbrica di asciugatrici nel Regno Unito e di due stabilimenti a Breslavia e a Lodz, in Polonia. Pierpaolo Pullini, il responsabile dell’area di Fabriano per il sindacato FIOM CGIL, calcola che la chiusura delle fabbriche polacche provocherà il licenziamento a Fabriano di 30 lavoratori, addetti alla produzione o alla progettazione di componenti.

Una manifestazione dei lavoratori della Beko a Siena, il 25 novembre (ANSA/CRISTIAN LAMORTE)

Una manifestazione dei lavoratori della Beko a Siena, 25 novembre (ANSA/CRISTIAN LAMORTE)

Dalla presentazione del piano ci sono stati diversi scioperi e proteste in tutte le fabbriche del gruppo. Una delegazione di lavoratori è stata ricevuta in Vaticano da papa Francesco e a Siena, davanti ai cancelli della fabbrica, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato il governo di farsi «calpestare la faccia dalla prima multinazionale che passa». A Fabriano per la prima volta hanno manifestato insieme gli operai e i cosiddetti “colletti bianchi”, cioè i lavoratori che non hanno mansioni  manuali. In generale, tutti dicono di essere «molto preoccupati» per le loro sorti e anche per quelle della città, perché sarà impoverita dalla chiusura di un centro di ricerca dove venivano a lavorare da tutta Italia.

«Molti tra i progettisti sono spaesati, non sono abituati a situazioni come questa e non sanno cosa fare, dicono che non avrebbero mai pensato che sarebbe potuto capitare a loro di essere licenziati», racconta la sindaca di Fabriano Daniela Ghergo, di centrosinistra, ex assistente di Romano Prodi quando era presidente del Consiglio.

Il tavolo tra governo, rappresentanti della Beko e sindacati al ministero delle Imprese e del Made in Italy, il 10 dicembre (Mauro Scrobogna/Lapresse)

Il tavolo tra governo, Beko e sindacati al ministero delle Imprese e del Made in Italy, 10 dicembre (Mauro Scrobogna/Lapresse)

Il pomeriggio del 10 dicembre il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, di Fratelli d’Italia, ha incontrato i rappresentanti della Beko e una delegazione di lavoratori. Ha chiesto all’azienda di ritirare il piano industriale, minacciando di esercitare il golden power, cioè lo strumento con cui il governo può condizionare o vietare operazioni di mercato alle imprese considerate di rilevanza strategica. Ha prospettato sanzioni e la possibilità di invalidare la cessione della Whirlpool alla Beko. I rappresentanti della multinazionale hanno risposto che il piano rispetta tutte le leggi italiane e per questo non intendono ritirarlo. Il responsabile relazioni esterne dell’azienda, Maurizio David Sberna, ha detto che il piano «nelle sue componenti e risultati economico finanziari non può cambiare».

Per motivare i tagli, i rappresentanti della Beko hanno spiegato che gli impianti italiani attualmente lavorano al 38 per cento della loro capacità produttiva. Hanno parlato di un calo delle vendite di elettrodomestici in Europa: sono diminuite di nove milioni all’anno tra il 2015 e il 2023, mentre quelli asiatici nello stesso periodo sono aumentati di una cifra analoga.

L’azienda ha appunto attribuito le ragioni del calo alla concorrenza asiatica, che sottrae sempre maggiori quote di mercato ai concorrenti europei, ma anche alla crescita molto modesta della domanda di elettrodomestici e all’aumento dei costi di produzione. Secondo il sindacalista Pullini la causa principale è il calo del 20 per cento delle esportazioni dovuto alla chiusura dei mercati russi dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha spinto Whirlpool ad abbandonare l’Europa e non è stato recuperato da Beko. A questo va aggiunto l’aumento del costo dell’energia e dei componenti, che sono prodotti in gran parte in Cina. A causa del conflitto in Medio Oriente, le navi portacontainer non passano più per il canale di Suez ma sono costrette a circumnavigare l’Africa, e questo ha fatto crescere i costi.

Lo stabilimento Beko di Fabriano, 12 dicembre (Angelo Mastrandrea/il Post)

Lo stabilimento Beko di Fabriano, 12 dicembre (Angelo Mastrandrea/il Post)

La fabbrica di Melano fu fondata nel 1975 come Merloni elettrodomestici. Negli anni Ottanta e Novanta arrivò a impiegare più di mille persone, nel 2005 passò alla Indesit e nel 2014 fu acquistata dalla Whirlpool. Valeria Tizzoni fu assunta nel 1992 e ha attraversato tutti i passaggi di proprietà. «Abbiamo cominciato producendo frigoriferi, poi siamo passati ai piani cottura e ora facciamo solo quelli», dice. L’azienda sostiene di voler creare qui un polo del «cooking», cioè della produzione di forni e piani cottura, investendo una parte dei 110 milioni di euro previsti nel piano industriale.

I dipendenti e i sindacati però sono scettici. Dicono che gli investimenti sono pochi, perché dovranno essere divisi con la fabbrica di Cassinetta, e inoltre il 20 per cento della cifra complessiva è destinato alla manutenzione degli impianti. Credono che la chiusura del centro di ricerca preluda a ulteriori tagli e non a un rilancio. Ritengono che la Beko voglia riposizionarsi su una fascia di mercato più bassa rispetto alla Whirlpool per fare concorrenza al mercato asiatico, e pensano che questa idea sia fallimentare.

La sede del centro di ricerche e sviluppo della Beko a Fabriano (Angelo Mastrandrea/Il Post)

La sede del centro di ricerche e sviluppo della Beko a Fabriano, 12 dicembre (Angelo Mastrandrea/il Post)

«Ci siamo messi a fare concorrenza ai piani cottura che arrivano dall’estremo oriente e costano meno, ma non riusciamo a competere sui costi e ne vendiamo di meno», dice Belardinelli. «In questa fabbrica non si fanno assunzioni da 10 anni, quando la Whirlpool subentrò alla vecchia Indesit, e l’età media è di 56 anni», dice Pullini. «Ora i licenziamenti si aggiungeranno alla cassa integrazione e non ci sarà la possibilità di ideare nuovi prodotti, nel giro di un paio d’anni questa fabbrica non avrà più ragione di esistere».