Negli Stati Uniti l’NBA è sempre meno seguita
Eppure fa accordi commerciali sempre più ricchi, mentre all'estero è tutta un'altra storia
Nella notte italiana tra sabato e domenica si giocheranno a Las Vegas le due semifinali dell’NBA Cup, un torneo (che esiste dall’anno scorso) nel quale le squadre si affrontano in partite valide sia per la vittoria di questa coppa, sia per la stagione regolare del principale campionato maschile di basket nordamericano. Alle 22:30 di sabato si gioca Atlanta Hawks-Milwaukee Bucks e alle 2:30 di domenica Oklahoma City Thunder-Houston Rockets; la finale sarà alle 2:30 della notte tra martedì e mercoledì prossimo.
Il torneo, che nella scorsa stagione si chiamava NBA In-Season Tournament e quest’anno invece per ragioni di sponsor si chiama Emirates NBA Cup, era nato con l’idea di rendere più avvincenti alcune partite di stagione regolare, che sono tantissime (ogni squadra ne gioca 82) e a volte non particolarmente combattute e intense. Per il momento tuttavia non sembra esserci riuscito, visto che gli ascolti televisivi sono molto negativi. È però una tendenza che riguarda in generale l’NBA, l’unica tra le grandi leghe statunitensi ad attraversare un periodo di netto calo di pubblico, nonostante abbia da poco stretto accordi miliardari con piattaforme streaming e canali televisivi.
Un recente articolo del sito di sport Outkick ha riportato alcuni dati piuttosto eloquenti: rispetto alla scorsa stagione, in cui ci fu la prima edizione del torneo, l’NBA Cup ha il 10 per cento di pubblico in meno. Per quanto riguarda le partite di NBA in generale, su ESPN (uno dei principali broadcaster statunitensi) c’è stato un calo del 28 per cento in un anno e in totale gli spettatori dell’NBA in televisione sono calati del 48 per cento tra il 2012 al 2024. Questo non vale solo per la regular season, ma anche per la seconda parte della stagione: le ultime quattro edizioni delle Finals sono tutte nella top 5 delle serie di finali meno viste degli ultimi trent’anni.
La perdita di interesse è in contrasto con la tendenza di altri sport, come detto: nel football americano l’NFL finora sta avendo il maggior numero di spettatori dal 2015; nel baseball le recenti World Series sono state le più viste dal 2017; le ultime finali di WNBA (il campionato femminile di basket) hanno battuto un nuovo record di ascolti su ESPN. I numeri negativi degli spettatori non hanno però impedito alla lega di continuare a crescere dal punto di vista commerciale ed economico. La scorsa estate l’NBA si è accordata con Disney (che controlla ABC e ESPN), Comcast e Amazon Prime per la trasmissione delle partite negli Stati Uniti per il periodo tra il 2025 e il 2036: in tutto riceverà circa 73 miliardi di euro.
Commentatori e appassionati hanno ipotizzato diverse ragioni per questo calo degli spettatori. Per alcuni è determinante la qualità generale del gioco, che sarebbe diventato più noioso e monotono, basato sulla ricerca ossessiva del tiro da 3: l’attuale miglior squadra, i Boston Celtics, tira più da 3 (cioè da fuori area) che da 2, e molte altre provano a imitarla, anche se non sempre con risultati convincenti. Per altri è il format del campionato che lo rende difficile da seguire: troppo lungo e diluito, con le partite che finiscono col perdere importanza sia per il pubblico sia per le squadre stesse e i giocatori più importanti che in certi momenti sono costretti a gestirsi e riposarsi per non rischiare di farsi male.
C’è poi chi ritiene che l’NBA sia in un momento di transizione nel quale le superstar che hanno guidato la lega negli ultimi dieci, quindici anni sono in fase calante (LeBron James, Stephen Curry, Kevin Durant), e i futuri campioni come Victor Wembanyama devono ancora affermarsi. Di conseguenza, mancherebbe quello che negli Stati Uniti chiamano starpower, cioè la presenza di personaggi che da soli attraggono pubblico e tifosi, lo stesso che ha consentito alle World Series di baseball di essere così seguite. L’assenza di giocatori generazionali nel pieno della carriera ha favorito un certo equilibrio nel campionato, visto che negli ultimi sei anni hanno vinto il titolo sei squadre diverse, ma è possibile che il pubblico statunitense sia più interessato a cicli e rivalità tra poche grandi squadre e campioni (i Chicago Bulls di Michael Jordan, i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal, i Golden State Warriors di Stephen Curry).
Nel frattempo, la concorrenza di altri sport ed eventi ha contribuito alla perdita di pubblico: lo stesso commissioner della NBA Adam Silver (una sorta di presidente della lega) ha detto che nella prima parte di questa stagione proprio le World Series di baseball, ma anche le elezioni americane, hanno influito sul calo degli ascolti.
Il calo degli spettatori riguarda comunque solo gli Stati Uniti: nel resto del mondo l’NBA non è mai stata così popolare. Sui social media oltre il 75 per cento dei follower viene dall’estero e i contenuti dell’NBA nella scorsa stagione hanno totalizzato oltre 26 miliardi di visualizzazioni, il 22 per cento in più di quella precedente. Da tempo l’NBA dà la possibilità di guardare le partite in quasi tutti i paesi del mondo, con accordi con broadcaster stranieri ma soprattutto con la sua piattaforma tramite l’NBA League Pass, con il quale un utente ha accesso a tutte le partite per 149 euro all’anno.
Negli ultimi anni inoltre in NBA i giocatori non statunitensi si stanno affermando sempre di più: oggi il giocatore probabilmente più forte della lega, vincitore del premio di MVP in tre delle ultime quattro stagioni, è il serbo Nikola Jokic, un altro dei migliori talenti è lo sloveno Luka Doncic e il francese Wembanyama viene considerato il principale campione dei prossimi anni.