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  • Venerdì 13 dicembre 2024

L’Australia e la sua “diplomazia del rugby”

Si è vista in un accordo recente firmato con la Papua Nuova Guinea, ma esiste da tempo e assomiglia alla più nota "diplomazia dei panda" cinese

Il primo ministro australiano Anthony Albanese e quello della Papua Nuova Guinea James Marape con i giocatori delle due rispettive squadre, Brisbane, Australia, 25 settembre 2022 (Bradley Kanaris/Getty Images)
Il primo ministro australiano Anthony Albanese e quello della Papua Nuova Guinea James Marape con i giocatori delle due rispettive squadre, Brisbane, Australia, 25 settembre 2022 (Bradley Kanaris/Getty Images)
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Giovedì l’Australia e la Papua Nuova Guinea hanno annunciato un accordo a cui stavano lavorando da tempo e che fa parte di quella che viene definita “diplomazia del rugby” (o anche, in senso più ampio, “diplomazia dello sport”). Investire nelle squadre e nelle attività legate al rugby di un altro paese della regione del Pacifico, dove questo sport è molto popolare, è un modo usato dall’Australia per ottenere alleanze e amicizie. È un tipo di diplomazia simile ad altre a noi più note, come per esempio la cosiddetta “diplomazia dei panda” attuata dalla Cina, che sono forme del cosiddetto “soft power”, con cui gli stati condizionano il comportamento di altri paesi senza usare la forza.

L’accordo firmato da Australia e Papua Nuova Guinea prevede due cose. Da un lato che l’Australia investa l’equivalente di 365 milioni di euro in dieci anni nella creazione di una nuova squadra di rugby papuana, che entro il 2028 dovrebbe giocare nella capitale Port Moresby ed entrare a far parte della Lega nazionale del rugby (LNR), il campionato professionistico con 16 squadre australiane e una della Nuova Zelanda. Dall’altro lato che la Papua Nuova Guinea si impegni a rivolgersi solo all’Australia (e non ad altri: tradotto, non alla Cina) per ottenere consulenze, mezzi e sostegno in ambito di difesa e sicurezza.

In sostanza il patto serve ad assicurare all’Australia che la Papua Nuova Guinea non faccia accordi in questi settori con il governo cinese, che negli ultimi anni ha cercato a espandere la sua influenza nel sud-est asiatico e in Oceania.

Da anni l’Australia usa lo sport, e in particolare il rugby, come uno strumento di diplomazia. Aveva annunciato per la prima volta un programma di “diplomazia dello sport” nel 2015, e lo aveva rilanciato nel 2019. Prevedeva il finanziamento in vari paesi della regione di attività inerenti allo sport, per esempio per la creazione di squadre femminili o per l’inclusione delle persone con disabilità. Nel 2022 il governo australiano aveva stanziato dei soldi per aiutare le isole Fiji a far entrare le proprie squadre di rugby, maschili e femminili, in due tornei professionistici prestigiosi. Aveva poi investito 17 milioni di dollari australiani (circa 10 milioni di euro) per aiutare le isole Salomone a organizzare i Giochi del Pacifico del 2023.

Le attività australiane che fanno parte della diplomazia del rugby si sono intensificate da quando la Cina ha mostrato di avere interesse nella regione. Negli ultimi anni il presidente cinese Xi Jinping ha siglato accordi per la cooperazione sulla sicurezza con le isole Fiji, con l’arcipelago di Vanuatu, con le Isole Samoa, le Cook, le Salomone e con la stessa Papua Nuova Guinea: il tentativo di espansione della propria “sfera di influenza” aveva reso più tesi i rapporti con l’Australia (cosa significa nel concreto creare una “sfera di influenza” l’avevamo spiegato qui).

Il presidente cinese Xi Jinping durante gli incontri a Pechino per l’accordo con le Isole Salomone, 9 ottobre 2019 (KYODO NEWS/Parker Song).

Come detto, sono diversi i modi usati dagli stati nel corso degli anni per esercitare il proprio “soft power”. Alcuni sono diventati più noti di altri, o si sono dimostrati più efficaci di altri.

Ci fu per esempio la “diplomazia del ping-pong”, quando la Cina utilizzò lo sport come pretesto per fare un piccolo passo avanti nella distensione dei rapporti con gli Stati Uniti.

Erano gli anni Settanta, c’era la Guerra fredda e la Cina era un paese molto più isolato di oggi, che ai suoi cittadini descriveva gli Stati Uniti come una potenza colonialista e imperialista. Durante i Mondiali di ping-pong in Giappone, un giocatore di tennistavolo cinese si trovò seduto sul pulmino della nazionale statunitense, si avvicinò a uno suo collega americano e gli fece un regalo, che fu poi ricambiato. Fu un gesto notevole per l’epoca. Ovviamente la volontà politica di entrambe le parti era già quella di distendere i rapporti: quell’incontro probabilmente accelerò gli eventi, perché l’allora presidente cinese Mao Tse Tung invitò la squadra americana per una storica visita in Cina, e poco tempo dopo, nel 1978, i due paesi normalizzarono le loro relazioni bilaterali.

– Leggi anche: La diplomazia del ping pong

Tra Bangladesh e India è esistita la “diplomazia dell’hilsa”, un pesce molto amato da entrambi i popoli la cui esportazione verso l’India è stato uno dei modi con cui l’ex prima ministra bangladese Sheikh Hasina ha cercato di rafforzare i suoi legami con il suo omologo indiano, Narendra Modi. La Finlandia ha inventato la “diplomazia della sauna”, mentre la più nota, come detto, è la “diplomazia del panda”.