I problemi dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti
È un sistema pieno di storture ed è abitudine delle compagnie assicurative negare i rimborsi e ritardare i pagamenti
L’omicidio di Brian Thompson a New York ha riaperto una discussione intorno alle storture del sistema sanitario statunitense, basato in grandissima parte su assicurazioni private criticate da tempo in quanto troppo costose e poco efficaci. Thompson era l’amministratore delegato di UnitedHealthcare, una delle più importanti aziende di assicurazioni sanitarie: è stato assassinato con tre colpi di arma da fuoco lo scorso 4 dicembre, fuori da un hotel nel centro di Manhattan.
Per l’omicidio è stato arrestato Luigi Mangione, un uomo statunitense di 26 anni di famiglia molto benestante e che secondo le prime ricostruzioni potrebbe avere avuto problemi di salute personali che lo avrebbero spinto a radicalizzarsi contro le società di assicurazioni mediche. Ma le sue presunte motivazioni hanno ispirato estese solidarietà: sui social network Mangione è stato festeggiato da moltissime persone statunitensi come una sorta di eroe popolare, contrapposto alla spietatezza di cui sono accusate società come UnitedHealthcare.
Spesso si parla dell’assistenza medica negli Stati Uniti con luoghi comuni eccessivamente semplicistici: «Se hai un infarto e non sei assicurato, ti lasciano per strada», oppure «prima di entrare in ospedale ti chiedono la carta di credito», per fare qualche esempio. Le cose sono più complicate. Le assicurazioni mediche hanno molti problemi, ma allo stesso tempo sono diventate il perno del sistema sanitario e sono quindi essenziali per milioni di persone americane.
Oggi per pagare una visita o un intervento medico negli Stati Uniti ci sono due possibilità: sottoscrivere un’assicurazione che in caso di necessità si farà carico della maggior parte dei costi, oppure pagare l’intera spesa “out of pocket”, ossia con i propri soldi. L’assicurazione è per molti l’unica opzione, dato che le cure mediche possono avere costi altissimi.
L’impianto di un pacemaker (un dispositivo che stimola elettricamente la contrazione del cuore) può costare più di 50mila dollari, un’operazione alla parte lombare della colonna vertebrale costa più di 70mila dollari e un trapianto di fegato più di 100mila dollari. Hanno costi molto elevati anche procedure più di routine: un parto costa in media 18.865 dollari, che diventano 26.280 in caso di cesareo, e un viaggio in ambulanza può costare più di mille dollari (per questo molte persone che non sono in condizione di assoluta emergenza preferiscono chiamare un taxi per andare in pronto soccorso). Sono cifre inaccessibili per la maggior parte della popolazione, ma i costi calano notevolmente per i pazienti assicurati.
Anche queste però vanno pagate. I premi delle polizze, ossia l’importo che bisogna pagare ogni mese per mantenere attiva la copertura, variano da circa 300 a più di mille dollari al mese in base all’età, al numero di persone coperte e alle loro condizioni di salute. Moltissime persone non pagano direttamente il costo dell’assicurazione ma usufruiscono di una polizza messa a disposizione dal proprio datore di lavoro, che generalmente copre anche i familiari (il partner e i figli fino a 26 anni). In questo caso i costi dei premi mensili sono sostenuti in gran parte dall’azienda, mentre i dipendenti contribuiscono con una piccola trattenuta dallo stipendio.
Nel 2024 il costo medio di un’assicurazione sanitaria per un uomo di 40 anni, comprata sul marketplace del governo, è di 497 euro al mese. La cifra varia molto da stato a stato: supera i 1.200 dollari in Vermont e scende a meno di 400 in Indiana. Lo scorso anno la polizza di un lavoratore dipendente è costata in media 8.951 dollari all’anno. Di questi il 16 per cento è stato pagato dal dipendente come trattenuta dalla busta paga (circa 1.400 dollari), e la parte restante dal datore di lavoro. Sono comunque cifre indicative, da prendere come tali.
Esistono anche delle polizze pubbliche, finanziate in parte dal governo e con prezzi molto più bassi, ma sono accessibili solo ad alcune categorie di persone: quelle con più di 65 anni (con il programma “Medicare”) o a basso reddito (con il “Medicaid”). Nel 2023 il 91,7 per cento della popolazione statunitense era assicurato: il 65,4 per cento con piani privati e il 36,3 per cento con piani pubblici. L’8,3 per cento della popolazione risultava non coperto.
La fascia d’età con il maggior numero di persone non assicurate è quella tra i 19 e i 25 anni: si tratta di persone giovani che stanno completando gli studi, o che magari hanno lavori precari che difficilmente offrono una copertura sanitaria completa. Si tratta anche di una fascia d’età in cui è più probabile godere di buona salute, e quindi è più facile pensare di non dover ricorrere troppo spesso alle cure ospedaliere. Tra le varie etnie, le persone ispaniche risultano le meno coperte: nel 2022 il 17,2 per cento non aveva una polizza, contro il 4,9 per cento delle persone bianche. Non è vero, in ogni caso, che gli ospedali si rifiutano di curare i pazienti non assicurati: le cure di emergenza sono garantite a tutti, ma dopo essersi sottoposti a un intervento sarà necessario pagare il conto.
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Negli ultimi anni però i costi a carico dei pazienti assicurati sono aumentati, e sempre più persone che non riescono a sostenere le spese finiscono per indebitarsi. Un’analisi condotta nel 2022 dalla radio NPR e dal sito di notizie indipendente KFF Health News stimò che 100 milioni di statunitensi avessero un debito legato alle cure mediche (su una popolazione di 333 milioni), e il 20 per cento riteneva che non sarebbe mai riuscita a ripagarlo del tutto.
È un problema che va al di là della sfera prettamente finanziaria: diverse ricerche hanno dimostrato che la prospettiva di ritrovarsi indebitati spinge molti statunitensi a evitare i controlli medici di routine, rischiando quindi di far aggravare dei problemi di salute che sarebbero facilmente risolvibili se curati per tempo. La conseguenza è che chi può permetterselo fa prevenzione, mentre gli altri la evitano. Tra l’altro molte polizze generaliste escludono i trattamenti dentistici o oculistici, per i quali è necessario pagare a parte oppure sottoscrivere un’altra assicurazione.
Quasi sempre poi le spese non si fermano al costo mensile della polizza, dato che anche le persone assicurate devono pagare cifre aggiuntive per usufruire di cure e interventi. Pagando di più diminuiscono i costi out of pocket, mentre un premio più basso permette di risparmiare quando si è in salute, ma fa salire i costi extra in caso di necessità.
Si entra così in una serie di meccanismi burocratici complicati anche per gli standard italiani. Innanzitutto per far partire la copertura assicurativa è necessario raggiungere la soglia del deductible, ossia una sorta di franchigia, una cifra fissa che deve essere pagata (di tasca propria) dal cliente prima che l’assicurazione intervenga. Per esempio: se si ha un deductible di mille dollari, bisogna pagare autonomamente tutte le spese mediche fino a mille dollari. Solo da lì in poi si attiva l’assicurazione ed è possibile chiedere rimborsi.
Dopo il raggiungimento del deductible bisogna fare attenzione ai copayments, delle cifre fisse che il paziente dovrà continuare a pagare per ogni visita anche dopo il raggiungimento del deductible. C’è poi la coinsurance, che indica la percentuale di ogni visita o intervento che resterà sempre a carico dell’assicurato.
Tutte queste procedure allungano i tempi necessari per ricevere i rimborsi e rendono il sistema complesso per tutti e incomprensibile per molti. Questo, unito agli alti costi delle coperture, fa in modo che molte persone negli Stati Uniti rinuncino a curarsi.
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Se si vuole sfruttare la propria polizza per pagare una visita o un intervento, è necessario presentare una richiesta di rimborso alla compagnia assicuratrice: possono farlo sia i pazienti che i medici o gli ospedali. È possibile però che questa richiesta venga rifiutata, e che quindi il o la paziente debba pagare autonomamente le spese, che come detto raggiungono facilmente le decine di migliaia di dollari.
È un meccanismo descritto dallo slogan “deny, delay, defend”, usato spesso da chi critica gli assicuratori: allude al fatto che le compagnie negano i rimborsi (deny), ritardano i pagamenti (delay) e poi possono eventualmente difendersi in tribunale dalle denunce dei clienti (defend). Se ne è parlato anche in relazione all’omicidio di Thompson: fonti interne alla polizia hanno detto a varie testate che sui bossoli di proiettile trovati nel punto in cui Thompson è stato ucciso c’erano scritte proprio le parole “deny”, “delay”, e “depose” (che significa “deporre” in tribunale).
Non è chiaro quante richieste di rimborso vengano effettivamente rifiutate, perché spesso le aziende non diffondono i dati. Il sito ValuePenguin ha aggregato le informazioni disponibili: in base ai suoi dati UnitedHealthcare avrebbe un tasso di rifiuti del 32 per cento, il più alto tra le principali compagnie assicuratrici.
Dopo l’omicidio di Thompson molti utenti hanno condiviso sui social le loro esperienze negative legate ai rifiuti di UnitedHealthcare. Un’utente ha scritto su X che l’azienda aveva «rifiutato» la sua richiesta di rimborso per un’operazione chirurgica «due giorni prima» della data fissata per l’intervento. «Ero nell’ufficio amministrativo dell’ospedale in lacrime (mentre avrei dovuto essere in ospedale a prepararmi)». L’intervento non era estremamente urgente, ha scritto, e alla fine si è comunque svolto, ma solo dopo un lungo iter burocratico che secondo lei avrebbe potuto essere evitato.
Un altro utente ha pubblicato una foto della lettera con cui UnitedHealthcare ha rifiutato la richiesta di una carrozzine con alcune caratteristiche specifiche per il figlio, affetto da paralisi cerebrale: l’azienda sostiene che quella sedie a rotelle avanzata non fosse strettamente necessaria, ma sarebbe stata sufficiente una carrozzina più semplice.
Sono casi aneddotici, ma online se ne trovano molti altri e in ogni caso non sono una novità. United Healthcare è stata anche accusata di rifiutare le richieste di rimborso dei pazienti di Medicare Advantage, un programma integrativo al normale Medicare, sulla base di valutazioni poco accurate fatte da sistemi di intelligenza artificiale. Secondo un rapporto curato da una commissione del Senato, nel 2020 UnitedHealthcare rifiutò i rimborsi per terapie post-intervento nel 10,9 per cento dei casi, e la quota è salita al 22,7 per cento nel 2022. In quel periodo l’azienda iniziò a usare l’intelligenza artificiale per automatizzare le decisioni.
Da decenni la politica statunitense discute dell’opportunità di creare un sistema di copertura sanitaria disponibile per tutti gratuitamente o a costi molto bassi, ma il progetto è sempre rimasto alla fase di ipotesi o di proposta, senza mai davvero avvicinarsi a una possibile realizzazione.
Il funzionamento del sistema sanitario è stato riformato parecchie volte (l’ultima con il cosiddetto Obamacare, nel 2010) e tutti i presidenti hanno fatto modifiche più o meno sostanziali alle norme che regolano le assicurazioni o il costo dei farmaci. Non sono però mai state attuate modifiche strutturali, anche a causa dell’enorme potere e influenza esercitati dalle compagnie assicuratrici: UnitedHealthcare Group, la società madre di UnitedHealthcare, ha un valore di mercato di 519 miliardi di dollari (quasi il doppio di Coca-Cola) e dà copertura assicurativa a più di 50 milioni di americani.
Per chi ha abbastanza soldi da permettersi una buona assicurazione, però, questo sistema presenta dei vantaggi. Negli Stati Uniti i tempi di attesa al pronto soccorso o per le visite mediche sono generalmente brevi, e in generale il servizio sanitario è estremamente avanzato ed è considerato tra i migliori al mondo per quanto riguarda la qualità degli interventi e le attività di ricerca. A un sondaggio condotto nel 2023 dal sito KFF, l’81 per cento degli intervistati ha definito “eccellente” o “buona” la propria copertura assicurativa, anche se molti hanno detto di aver avuto problemi negli ultimi 12 mesi.