Le grandi aziende tecnologiche americane si stanno avvicinando a Trump
Dopo anni di tensioni Meta, Amazon e altre stanno assumendo toni più concilianti in vista dei prossimi quattro anni di presidenza
Giovedì sia Amazon che Meta, l’azienda che gestisce Instagram, Facebook e WhatsApp, hanno annunciato che doneranno un milione di dollari al fondo per l’evento di inaugurazione della presidenza di Donald Trump, che si terrà a Washington il 20 gennaio. Negli Stati Uniti è del tutto normale che aziende e individui che vogliono in qualche modo ingraziarsi i favori del nuovo presidente donino molti soldi al comitato inaugurale: quello che è inusuale è che lo facciano personaggi come Jeff Bezos e Mark Zuckerberg, i proprietari di Amazon e Meta, che hanno da anni un rapporto ambiguo e a tratti apertamente conflittuale con Trump.
Fin dalla sua prima campagna elettorale, nel 2016, Trump ha infatti criticato spesso e aspramente le politiche delle grandi aziende tecnologiche americane, in particolare quelle che gestiscono i social network, per le loro decisioni in materia di moderazione dei contenuti, considerate da Trump e molti altri commentatori di destra ingiuste e censorie nei confronti degli utenti con posizioni conservatrici. Al contrario, negli ultimi quattro anni l’amministrazione di Joe Biden si è preoccupata di più di temi come le tendenze monopolistiche e le pratiche commerciali sleali di varie aziende del settore, oltre alla volontà di introdurre maggiori protezioni per gli utenti minorenni.
Le donazioni di Bezos e Zuckerberg si inseriscono però in una tendenza più ampia, cominciata mesi fa: i leader delle grandi aziende tecnologiche si stanno avvicinando a Trump. Da una parte con l’intento piuttosto chiaro di ottenere vantaggi dalle sue potenziali politiche di deregolamentazione di vari settori, e dall’altra di limitare le ricadute negative di altre politiche, per esempio relative ai dazi o alla concorrenza.
I due imprenditori del settore che più si sono avvicinati a Trump sono senza dubbio Elon Musk (che acquistò Twitter nel 2022, cambiandone poi nome in X, ed è anche CEO di Tesla e SpaceX) e Marc Andreessen, miliardario fondatore di uno dei primi browser, Mosaic, e della potente società di venture capital Andreessen Horowitz. Entrambi criticano da anni le politiche di moderazione dei contenuti sui social network da una prospettiva molto vicina a quella di Trump, e Andreessen ha recentemente dato la colpa al Partito Democratico statunitense per aver esercitato troppa pressione sulle piattaforme in materia.
Musk, poi, nei mesi precedenti all’elezione presidenziale di novembre ha speso decine di milioni di dollari per finanziare la campagna elettorale di Trump e dei candidati Repubblicani al Congresso, partecipando anche a un comizio del prossimo presidente. È stato premiato con un ruolo nel futuro governo Trump: sarà a capo di un nuovo ente con compiti di consulenza riguardo al taglio delle spese delle agenzie federali.
La posizione di tanti altri imprenditori, però, era stata finora più criptica. Meta non aveva effettuato nessuna donazione al comitato inaugurale di Trump nel 2017 né di Biden nel 2021; Microsoft aveva donato un milione di dollari per la seconda inaugurazione di Barack Obama e poi 500mila a Trump nel 2017 e a Biden nel 2021; Google aveva donato 285mila dollari sia per l’inaugurazione di Trump che per quella di Biden; Amazon aveva donato 58mila dollari al comitato inaugurale di Trump nel 2017, molti meno del milione che gli ha promesso ora, e aveva trasmesso in diretta l’inaugurazione di Biden nel 2021 su Prime Video. Farà lo stesso per quella di Trump.
Al di là dell’entità delle nuove donazioni, però, a essere interessanti sono anche i movimenti dei singoli imprenditori. Marc Benioff, amministratore delegato dell’azienda di cloud computing Salesforce nonché proprietario del magazine TIME, ha fatto i complimenti a Trump per essere stato scelto come persona dell’anno dalla rivista, e ha detto che la sua presidenza «sarà un momento molto promettente per la nostra nazione». La notte del 5 novembre sia l’amministratore delegato di Apple Tim Cook che quello di Google Sundar Pichai hanno fatto rapidamente le congratulazioni per la vittoria a Trump, e Pichai dovrebbe visitare a breve il resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove il presidente eletto notoriamente ama ricevere ospiti per discutere di affari e politica.
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Anche Bezos dovrebbe andare a Mar-a-Lago la settimana prossima, e già prima dell’elezione aveva cominciato a mostrarsi un po’ più conciliante con Trump, che in passato aveva ripetutamente accusato Amazon di mettere in difficoltà i piccoli negozi locali e aveva criticato il giornalismo prodotto dal Washington Post, che appartiene a Bezos.
Dopo il primo tentato assassinio contro Trump, il 13 luglio, Bezos aveva peraltro fatto pubblicamente i complimenti al candidato Repubblicano per «la sua incredibile grazia e il suo coraggio». A ottobre, infine, aveva vietato alla redazione del Washington Post di pubblicare un endorsement – cioè il sostegno a un candidato – in vista delle elezioni, nonostante il giornale non ne saltasse uno dal 1988 e avesse sempre sostenuto candidati Democratici. La scelta era stata criticatissima e aveva portato vari giornalisti a dimettersi nonché migliaia di persone a disdire il proprio abbonamento al giornale.
Il CEO che sembra più aver cambiato idea su Trump, però, è senza dubbio Mark Zuckerberg. Negli ultimi otto anni, Facebook è stata una delle aziende più criticate da Trump in assoluto, anche perché l’ex presidente era stato bandito dalla piattaforma per mesi per via del suo ruolo nell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
Trump ha più volte detto di essere convinto che Zuckerberg abbia «complottato contro di lui» durante la campagna elettorale del 2020, e qualche mese fa ha detto che andrebbe messo in galera per questo. Già durante l’estate, però, Zuckerberg ha cominciato a organizzare telefonate private con Trump e ha pubblicato un post in cui gli augurava pronta guarigione dopo l’attentato del 13 luglio. In una lettera al Congresso in agosto, poi, ha detto di rimpiangere alcune passate decisioni sulla moderazione dei contenuti e di essersi sentito «pressato» dall’amministrazione Biden a rimuovere più contenuti relativi al Covid-19 di quanto ritenesse necessario. Da quando Trump è stato eletto, ha già cenato sia con lui che con Marco Rubio, il futuro segretario di Stato della nuova amministrazione.
Non è però chiaro quanto questi avvicinamenti riusciranno a limitare l’impatto della nuova amministrazione sulle grandi aziende tecnologiche. Trump ha già nominato dei personaggi che in passato sono stati estremamente duri verso le cosiddette “big tech” nei principali ruoli di responsabilità sul tema: Andrew Ferguson al posto di Lina Khan alla Federal Trade Commission, Brendan Carr alla Federal Communications Commission e Gail Slater nella commissione antitrust del Dipartimento della Giustizia.
Ferguson in particolare negli ultimi anni si è mostrato molto allineato a Trump sul tema della moderazione dei contenuti, criticando fortemente le piattaforme social per le loro «politiche orwelliane basate su categorie nebulose come “disinformazione”, “misinformazione” e “discorsi d’odio”». Si è anche detto convinto che i social network si siano coordinati tra loro per bandire Trump dalle piattaforme nel 2021 e per rimuovere contenuti controversi durante la pandemia.
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