La vita vecchia e nuova dell’Ape Piaggio

Simbolo dell'operosità italiana del secondo dopoguerra, qua e là se ne vedono ancora: adesso però si venderanno solo in India e in alcuni paesi africani

Un uomo guida un Ape Piaggio a Corigliano d'Otranto, in Puglia, 26 giugno 2007
(Sabine Braun/ laif/ Contrasto)
Un uomo guida un Ape Piaggio a Corigliano d'Otranto, in Puglia, 26 giugno 2007 (Sabine Braun/ laif/ Contrasto)
Caricamento player

Pochi mezzi raccontano il periodo del boom economico dell’Italia del secondo dopoguerra come l’Ape Piaggio, il piccolo motocarro a tre ruote prodotto fin dal 1948 nello stabilimento di Pontedera, in provincia di Pisa. La compattezza e la versatilità lo resero il veicolo impiegato da migliaia di contadini, artigiani o commercianti che ci trasportavano di tutto, dai materiali di costruzione alla legna, dai sacchi di farina agli animali. Adesso l’Ape non verrà più prodotta in Italia, ma solo in India, per essere venduta sul mercato nazionale e in pochi altri paesi africani: continua comunque a essere un simbolo della cultura popolare italiana che esercita un certo fascino sia tra i più giovani, sia tra i turisti.

Anche le persone più appassionate sono indecise se riferircisi al maschile o al femminile: c’è chi opta per la prima perché è un motocarro o perché è abituato a chiamarlo Apecar, che in realtà è solo il nome di un modello del 1971, e chi sceglie la seconda perché è un mezzo con cui si lavora, operoso come un’ape. Nemmeno i dizionari italiani ne danno una versione univoca, ma a ogni modo sembrano far prevalere l’uso del femminile, forse anche per la stretta parentela con la Vespa.

L’Ape infatti fu progettata da Corradino D’Ascanio, l’ingegnere aeronautico che aveva ideato il celeberrimo scooter per la Piaggio, che prima di produrre motociclette si occupava appunto di aerei. Il primo schizzo dell’Ape risale al 1946, lo stesso anno in cui fu depositato il brevetto della Vespa: D’Ascanio lo aveva pensato come un motocarro adatto al trasporto leggero e che potesse muoversi facilmente anche su strade strette e impervie, com’era la gran parte di quelle in giro per l’Italia al tempo. All’inizio l’Ape era di fatto una Vespa modificata, con una ruota davanti e due dietro, che reggevano un cassone.

I primi modelli furono messi in vendita l’anno successivo, e la produzione su larga scala cominciò nel 1948. L’Ape era un po’ a metà tra una moto e un’auto, e aveva un prezzo accessibile anche per chi non aveva grandi risorse. Presto comparvero tra le altre la versione Giardinetta, chiusa come un furgoncino, e quella destinata al trasporto di persone, poi chiamata Calessino.

In un recente articolo sul Corriere della Sera il giornalista Giorgio Terruzzi ha definito l’Ape «un’icona», «un veicolo per tutti», «uno spartano, formidabile compagno di viaggio, di lavoro, di divertimento», «capace di tutto». Se ne vedono per esempio nell’episodio di Mario Monicelli di Boccaccio ’70 o nel suo film I soliti ignoti, ma anche in Ovosodo, I cento passi o nella commedia Grandi magazzini, in cui Renato Pozzetto interpreta un fattorino alle prese con un alano.

«È la campagna il suo ambiente naturale», scrive sempre Teruzzi, eppure di tanto in tanto capita ancora di trovarne sia in paesini con strade impraticabili per mezzi più grandi, sia nelle città, dove possono destreggiarsi meglio nel traffico. Nel tempo c’è chi le ha usate per fare viaggi in giro per il mondo oppure le ha trasformate in edicole, food truckpiccoli cinema all’aperto. C’è chi ci ha dedicato libri e documentari, ed è proprio con un’Ape che Valentino Rossi cominciò a girare per le strade di Tavullia, il suo paese nelle Marche, prima di diventare un campione di MotoGP.

In questi decenni di Ape ce ne sono state numerose versioni: oltre all’Apecar, che aveva cabina e scocca più grandi dei modelli precedenti, nel 2000 è per esempio uscita l’Ape Cross Country 50, con un restyling più sportivo rispetto all’Ape 50 del 1969. Nei luoghi turistici l’Ape Calessino continua a essere uno di quegli elementi che romanticizzano un po’ l’idea dell’Italia rurale degli anni Sessanta: nel 2008 il motocarro è stato riadattato anche per far viaggiare papa Benedetto XVI, e ne è stata realizzata una versione speciale con le insegne del Quirinale in occasione dei sessant’anni dalla Costituzione della Repubblica Italiana.

Nello stabilimento di Pontedera in quasi settant’anni ne sono state prodotte più di 2 milioni, ma con mezzi privati sempre più efficienti ed economici le vendite in Europa sono calate molto. Secondo fonti vicine al gruppo Piaggio citate dalla Rai, la decisione di spostare la produzione solo in India comunque è legata perlopiù alle norme dell’Unione Europea sulle emissioni inquinanti dei veicoli. L’Ape infatti è un Euro 4 e per riconvertirla a Euro 5 bisognerebbe cambiare la motorizzazione, ha detto il segretario di Fiom Pisa, Angelo Capone, «ma a quel punto non sarebbe più un’Ape». In India invece l’Ape viene prodotta già dal 1999 attraverso la società controllata Piaggio Vehicles Private Limited, e lì le norme sulle emissioni dei veicoli non sono così stringenti.

Flavia Capilli, segretaria regionale di Fim Cisl, ha spiegato che inizialmente c’era stata un po’ di preoccupazione rispetto alla notizia: il termine della produzione dell’Ape a Pontedera tuttavia non dovrebbe avere ricadute sull’occupazione nello stabilimento, dove Piaggio prevede di sviluppare altri modelli di mezzi simili, in particolare un quadriciclo elettrico chiamato Porter.

– Leggi anche: La Vespa nella cultura popolare