In Iran il presidente riformista e gli ultraconservatori si stanno scontrando sul velo
E su una legge che vorrebbe introdurre regole ancora più rigide per come lo indossano le donne
Il presidente iraniano Massoud Pezeshkian, di orientamento riformista, sta criticando in modo esplicito una legge che rende ancora più duri i controlli e le sanzioni per le donne che non indossano correttamente il velo, che in Iran è obbligatorio. La legge è sostenuta dal parlamento e dal Consiglio dei guardiani, entrambi controllati dagli ultraconservatori, e ci si aspetta che entri comunque in vigore. Lo scontro in corso mostra quanto sia limitato il potere di Pezeshkian, e allo stesso tempo quanto sia forte l’intenzione della parte più radicale della Repubblica islamica di mantenere il controllo sulla società iraniana.
In Iran non esistono veri e propri partiti politici, ma movimenti o gruppi di riferimento, e in generale il sistema è piuttosto fluido. Ci sono i conservatori e gli ultraconservatori, che sono i più potenti perché hanno come riferimento la Guida Suprema Ali Khamenei, che è la massima autorità politica e religiosa del paese; ci sono i moderati, assimilabili al “centro”, a cui per esempio apparteneva l’ex presidente Hassan Rouhani, quello che fece lo storico accordo sul nucleare iraniano con Barack Obama (accordo che poi fu affossato da Donald Trump). E infine ci sono i riformisti, che fino all’elezione di Pezeshkian a presidente sembravano essere quasi spariti dalla competizione politica iraniana, dopo anni di dura repressione da parte del regime ultraconservatore.
I riformisti hanno posizioni più progressiste rispetto agli altri, ma almeno pubblicamente non mettono in discussione le strutture e le regole non democratiche della Repubblica islamica e l’autorità della Guida Suprema.
Durante la campagna elettorale precedente al voto di luglio, Pezeshkian era stato l’unico dei sei candidati a sostenere un rilassamento delle norme sul velo. Non disse mai di voler eliminare l’obbligo, ma criticò le modalità violente con cui spesso quell’obbligo viene fatto rispettare dalla polizia religiosa.
La legge che Pezeshkian sta criticando in queste settimane prevede l’introduzione di multe per l’equivalente di cifre tra i 200 e i 2mila dollari per le donne che mostrano in pubblico i capelli, gli avambracci, le gambe o il petto (in diverse grandi città iraniane, e soprattutto a Teheran, non è così insolito vedere donne che indossano il velo lasciando scoperti parte dei capelli). Violazioni ripetute possono essere punite con il carcere, mentre il mancato pagamento delle multe può portare al ritiro del passaporto o della patente. La legge prevede di usare sistemi di intelligenza artificiale e videocamere di sorveglianza per individuare i trasgressori. Gli autisti di taxi, i proprietari di hotel e negozi sono tenuti a riferire eventuali violazioni da parte delle clienti.
La legge è già stata approvata dal parlamento e dal Consiglio dei guardiani, un organo molto potente controllato da Khamenei (è lo stesso organo che supervisiona i processi elettorali in Iran, e quindi decide quali candidature escludere). A questo punto il presidente è formalmente obbligato a firmare la legge, e se non lo fa la sua validità può essere ufficializzata anche dallo speaker del parlamento. In quel caso la legge entrerebbe comunque in vigore, anche se probabilmente si creerebbe un po’ di confusione.
I sostenitori di Pezeshkian gli stanno chiedendo di opporsi e non firmarla, almeno come mossa simbolica e per tener fede a quanto detto durante la campagna elettorale. Pezeshkian stesso ha criticato la legge dicendo che sarebbe molto difficile farla rispettare: «Una legge ingiusta non sarà applicata, e anche se lo fosse creerebbe malcontento», ha detto in un’intervista.
Ha anche accusato gli ultraconservatori di voler mettere in difficoltà il suo governo, allungando apposta i tempi: la legge era stata approvata inizialmente dal parlamento nel settembre del 2023, quando il presidente era l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, ma era stata poi rinviata varie volte ed è stata approvata definitivamente solo lo scorso 2 dicembre, dopo l’insediamento di Pezeshkian.
La legge sarà formalmente presentata a Pezeshkian il prossimo 13 dicembre e lui avrà cinque giorni per firmarla, ma non ha ancora detto se lo farà. Lo scorso 5 dicembre una sua collaboratrice ha detto che il presidente avrebbe parlato con il capo della magistratura iraniana e con lo speaker del parlamento per trovare una soluzione.
Oltre a un possibile accordo, Pezeshkian avrebbe qualche opzione per evitare l’entrata in vigore del provvedimento: potrebbe chiedere di abrogarlo alla Guida Suprema o al Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, oppure indire un referendum con il consenso di almeno due terzi del parlamento. Sono eventualità apparentemente remote, dato che gli altri organi sono controllati dagli ultraconservatori e anche Khamenei, la Guida Suprema, appartiene a quell’orientamento.
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Pezeshkian è il secondo presidente riformista dell’Iran dalla rivoluzione khomeinista del 1979, quando venne istaurato il regime teocratico, cioè guidato dai religiosi. Quando fu eletto c’erano varie aspettative sul suo operato, ma nessuno si aspettava davvero cambiamenti radicali dato che i poteri del presidente sono sempre subordinati al volere del parlamento e della Guida Suprema. La sua autonomia è quindi limitata dall’influenza delle altre istituzioni, come dimostrato anche dalla legge sul velo.
La questione del velo è particolarmente discussa anche perché nel 2022 in Iran ci furono enormi proteste dopo la morte di Mahsa Amini, una donna morta in custodia dopo che era stata arrestata dalla polizia religiosa perché non indossava il velo correttamente. Le manifestazioni ridussero per un po’ le attività di sorveglianza della polizia religiosa, ma i pattugliamenti ripresero nel luglio del 2023.