I tre paesi che stanno ancora bombardando la Siria
Israele, Turchia e Stati Uniti: ciascuno con obiettivi molto diversi
Da quando le forze anti assadiste hanno preso il controllo della Siria e provocato la fine del regime di Bashar al Assad, per la prima volta da quasi un decennio non ci sono più bombardieri russi nei cieli siriani: la Russia, alleata di Assad, ha ritirato il grosso delle sue forze. Ma tre paesi stanno continuando anche in questi giorni a bombardare alcune parti della Siria. Sono Israele, Turchia e Stati Uniti, che hanno obiettivi molto diversi tra loro.
Israele si è mosso rapidamente alla caduta del regime: domenica, mentre i ribelli prendevano la capitale Damasco, l’esercito israeliano ha occupato parte della “zona cuscinetto” che divide il proprio confine da quello della Siria nelle alture del Golan, un territorio conteso da decenni ma che secondo la comunità internazionale appartiene alla Siria. Il governo israeliano sostiene che l’occupazione sia «temporanea», e martedì il ministro della Difesa Israel Katz ha detto che l’esercito creerà una zona demilitarizzata nel sud della Siria per difendere le proprie postazioni, in cui non dovrebbe esserci una presenza israeliana permanente.
Tra domenica e lunedì ha poi fatto più di 250 bombardamenti su tutto il territorio siriano, colpendo soprattutto basi militari, depositi di armi, magazzini, radar e altre attrezzature che appartenevano al vecchio esercito di Assad. L’esercito israeliano ha dichiarato anche di aver colpito depositi di armi chimiche. Martedì il ministro della Difesa ha detto anche che i bombardamenti israeliani hanno distrutto la flotta militare siriana.
L’obiettivo di Israele è di impedire che le forze anti assadiste come il gruppo armato Hayat Tahrir al Sham possano impossessarsi delle armi avanzate e delle infrastrutture militari che l’esercito aveva in dotazione, per evitare il rischio che possano usarle contro Israele. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong britannica che da anni segue ciò che succede in Siria, ha detto che Israele sta «distruggendo le più importanti strutture militari» del paese.
Israele in questo momento ha una posizione ambigua nei confronti di quello che sta succedendo in Siria: da un lato vede nella caduta di Bashar al Assad un vantaggio, perché Assad aveva consentito all’Iran e a Hezbollah di minacciare Israele dal territorio siriano. Dall’altro non è ancora chiaro che atteggiamento avranno i gruppi armati che hanno preso Damasco, né il nuovo eventuale governo che guiderà il paese.
La Turchia ha ottimi rapporti con Hayat Tahrir al Sham e con altri gruppi anti assadisti che ha sostenuto in questi anni. Ora sta approfittando della situazione per colpire i curdi, che durante la guerra civile siriana avevano creato uno stato di fatto, autonomo, sul territorio del “Rojava” (Kurdistan siriano, nel nord-est del paese). Mentre l’esercito di Assad crollava, i curdi sono avanzati verso sud-ovest, conquistando molti centri abitati, tra cui Deir Ezzor e al Mayadeen: ora controllano circa il 30 per cento del territorio della Siria.
Ma per la Turchia i curdi siriani sono praticamente indistinguibili dai curdi turchi del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), contro cui il governo è in guerra da decenni. Per questo alla caduta di Assad la Turchia ha cominciato a bombardare postazioni delle Forze democratiche siriane (SDF nell’acronimo inglese), la principale forza militare del Rojava gestita dai curdi siriani. La Turchia ha anche incoraggiato delle milizie che sostiene, chiamate Esercito nazionale siriano (SDA), ad attaccare le SDF. Tra domenica e lunedì ci sono stati scontri intensi a Manbij, una città controllata dai curdi vicino al confine con la Turchia.
– Leggi anche: Chi sono i curdi siriani
A complicare la questione c’è il fatto che le SDF (cioè il gruppo preso di mira dalla Turchia) sono sostenute dagli Stati Uniti, che negli anni scorsi armarono e addestrarono i curdi siriani per usarli come forze sul campo nella battaglia contro lo Stato Islamico. Ancora oggi le SDF gestiscono con l’aiuto degli Stati Uniti campi di prigionia in cui sono rinchiusi migliaia di combattenti dello Stato Islamico.
Negli scorsi giorni gli Stati Uniti hanno compiuto centinaia di bombardamenti contro posizioni dello Stato Islamico: il più aggressivo gruppo terroristico del mondo ha perso tutti i suoi territori nel 2019, ma ha ancora attivi formazioni e cellule, soprattutto nelle zone desertiche della Siria orientale.
Il segretario di Stato Antony Blinken ha detto lunedì: «La storia mostra quanto rapidamente momenti di speranza possano trasformarsi in conflitto e violenza. Lo Stato Islamico tenterà di usare questo momento per ricostituirsi, per creare delle zone sicure. Ma come mostrano i nostri bombardamenti di precisione nel fine settimana, faremo in modo che questo non avvenga». Gli Stati Uniti controllano ancora una base militare in Siria, quella di al Tanf, e hanno nel paese circa 900 militari, impegnati in operazioni di antiterrorismo contro quel che resta dello Stato Islamico.