I lavoratori del “distretto dell’imbottito” di Forlì costretti a dormire in fabbrica
Era stato promesso loro un alloggio ma sono lì da mesi, senza riscaldamento: ora sono in sciopero
Undici lavoratori della Sofalegname, un’azienda di Forlì che produce intelaiature in legno per divani, lunedì 9 dicembre hanno iniziato uno sciopero a oltranza denunciando di lavorare in condizioni di semi-schiavitù. Dicono di essere costretti a lavorare per 12 ore al giorno, per 7 giorni alla settimana, con contratti da un mese a tre mesi e per meno di 5 euro all’ora. Sostengono che il proprietario, un imprenditore di origine cinese, gli aveva garantito un alloggio e per questo otto mesi fa si sono trasferiti tutti da Prato, dove vivevano. Invece sono costretti a cucinare, mangiare e dormire in un deposito all’interno del magazzino in cui sono impiegati, senza riscaldamento, con un bagno in pessime condizioni.
La Sofalegname è una delle 310 aziende, quasi tutte di piccole o piccolissime dimensioni, del cosiddetto “distretto dell’imbottito” di Forlì, in Romagna, dove si costruiscono, si imbottiscono e si assemblano mobili, e in cui sono impiegate 4mila persone. L’azienda lavora in subappalto per Gruppo 8, che ha lo stabilimento sempre nella zona industriale di Forlì ed è controllata dalla multinazionale della moda HTL, che invece ha sede a Singapore. Secondo il sindacato Sudd Cobas, che sostiene la protesta, si tratta di una divisione solo di facciata, perché «anche i lavoratori impiegati nello stabilimento di Gruppo 8 sono contrattualizzati con Sofalegname, che lavora solo per loro, i lavoratori in appalto ricevono ordini dal personale di Gruppo 8 e a consegnargli le buste paga è personale amministrativo di Gruppo 8». Questa versione è stata confermata dai lavoratori di Sofalegname sentiti dal Post, mentre Gruppo 8 nega di avere legami con Sofalegname e dice che è solo un’azienda in appalto.
I lavoratori della Sofalegname, nove pakistani e due cinesi, dicono di essere stati costretti per otto mesi a dormire nel magazzino, tra le cataste di legname utilizzate per fabbricare i divani, con servizi igienici insufficienti e al freddo.
Dicono di essere stati ingannati: vivevano tutti a Prato e i “caporali” li hanno convinti a spostarsi a Forlì promettendogli un alloggio e condizioni di vita migliori. «Il capo, quello che prende le persone per lavorare, mi ha detto di venire a Forlì e che mi avrebbe dato una casa, poi quando sono arrivato mi hanno messo qua dentro, mi dicevano di attendere ma intanto i mesi passavano e non cambiava nulla, ora è arrivato l’inverno, non ci sono acqua calda e termosifoni ed è troppo freddo per viverci», dice Osama Sikander, un operaio pakistano.
La mattina del 9 dicembre nel dormitorio c’erano 5 gradi. Per questo i lavoratori hanno deciso che non avrebbero più accettato di alloggiare in quelle condizioni. Sono andati nello stabilimento del Gruppo 8 e hanno occupato gli uffici. «Così almeno abbiamo delle stanze tutte per noi ed è riscaldato», dice Sikander. Alla protesta si sono uniti anche alcuni tra i 30 lavoratori del Gruppo 8, anche loro in gran parte pakistani. Uno di loro, Mohammed Bilal, dice di essere stato reclutato da un caporale appena arrivato a Prato, un anno fa, e che gli è andata meglio, perché è stato assunto da Gruppo 8 e non è costretto a dormire in fabbrica.
I lavoratori chiedono ai committenti Gruppo 8 e HTL di intervenire per far rispettare il contratto, per ottenere un alloggio dignitoso e condizioni di lavoro umane. «I divani che producono vengono venduti anche a cifre molto alte, non c’è alcuna ragione per mantenere questi lavoratori in condizioni di schiavitù», dice Sarah Caudiero del sindacato Sudd Cobas. Nel pomeriggio di lunedì c’è stato un incontro tra i sindacati e Gruppo 8, che però ha ripetuto di essere solo la committente e di non sapere nulla di quello che avveniva dentro Sofalegname. «I lavoratori stanno interrompendo l’attività di Gruppo 8 e iniziano a creare enormi disagi, stiamo cercando una soluzione però la vicenda è molto complicata», ha detto l’avvocato Massimiliano Pompignoli, che rappresenta l’azienda.
Secondo un rapporto di Intesa Sanpaolo presentato a giugno, l’Italia è la principale produttrice di mobili in Europa, con un fatturato di 26 miliardi di euro nel 2023. A Forlì, dopo la pandemia da coronavirus il distretto dell’imbottito è cresciuto molto, nel 2023 le esportazioni sono aumentate del 63,3 per cento rispetto al 2019.
Una delle principali caratteristiche del distretto è la ramificazione delle filiere a livello locale. Vuol dire che tutti i componenti dei mobili sono prodotti con contratti di subfornitura entro un raggio di 90 chilometri. Il rapporto di Intesa San Paolo dice che il successo del distretto è dovuto alla forte propensione all’export, ma secondo la segretaria provinciale della CGIL Maria Giorgini la crescita è basata non sulla quantità ma sullo sfruttamento: l’utilizzo dei subappalti nasconderebbe «il ricorso al lavoro sottopagato, al lavoro nero e al lavoro irregolare».