L’ambiguità del governo su chi vuole comprare Banco BPM
Con motivazioni pretestuose non vuole che lo acquisisca Unicredit, mentre vede con favore che una grande banca francese ne ottenga una quota rilevante: perché?
La decisione della grande banca francese Crédit Agricole di aumentare la sua quota in Banco BPM – la quinta banca italiana per capitalizzazione, cioè per valore complessivo delle sue azioni – non è interessante solo perché è l’ultimo sviluppo del cosiddetto “risiko bancario”, cioè quel continuo movimento di fusioni e acquisizioni in corso nel settore bancario italiano ed europeo. Lo è anche perché mostra un atteggiamento un po’ ambiguo del governo italiano verso questo tipo di operazioni: pur essendo in teoria il più nazionalista della storia recente, sembra che non abbia da ridire sul fatto che una banca francese aumenti in modo rilevante le sue quote in una grande banca italiana, anzi.
C’è però un motivo, che ha a che fare con l’ambizioso piano di privatizzazioni del governo ma che ignora i rischi sul sistema bancario italiano nel suo complesso.
Banco BPM era diventato solo due settimane fa oggetto di un tentativo di acquisizione da parte di Unicredit (la seconda banca italiana per capitalizzazione), che aveva avviato un’Offerta Pubblica di Scambio per comprare tutte le azioni in circolazione di Banco BPM e diventarne così proprietaria. Se ci riuscisse diventerebbe il primo gruppo bancario in Italia. Il governo aveva molto criticato la mossa di Unicredit, e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva parlato anche della possibilità di bloccarla tramite il golden power, cioè quello strumento con cui la presidenza del Consiglio può di fatto condizionare o addirittura vietare un’operazione di mercato nel caso in cui questa riguardi beni o strutture che si considerano strategici per gli interessi nazionali.
Il motivo apparente, citato in particolare dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, era che Unicredit sarebbe una banca straniera e portatrice di interessi stranieri: Unicredit è in effetti detenuta in buona parte da investitori non italiani, ma risponde a leggi italiane, è quotata e paga le tasse in Italia, la sede è a Milano e il suo presidente è addirittura un ex ministro italiano, Pier Carlo Padoan (è italiano anche l’amministratore delegato, Andrea Orcel). Unicredit è a tutti gli effetti una banca italiana.
La critica era dunque impropria, ma sarebbe stata invece valida per Crédit Agricole, banca a tutti gli effetti straniera che vuole aumentare la sua quota in Banco BPM dal 9,9 al 15,1 per cento, e che ha chiesto le autorizzazioni necessarie per arrivare addirittura al 19,9. Crédit Agricole è una delle più importanti banche francesi, con una presenza in Italia già molto elevata, e l’acquisto di una quota così rilevante in una banca italiana avrebbe dovuto generare una reazione analoga.
Ma invece il governo sapeva delle intenzioni di Crédit Agricole già prima che Unicredit annunciasse la sua offerta, e aveva dato un sostanziale via libera poi rinnovato in maniera sempre informale ma più diretta negli ultimi giorni. Per certi versi, l’offerta di Unicredit era considerata dagli stessi dirigenti di Banco BPM come un tentativo di scoraggiare l’espansione di una banca straniera molto importante come Crédit Agricole, e dunque teoricamente in sintonia con l’approccio nazionalista del governo.
Le critiche all’operazione di Unicredit erano quindi pretestuose, e originavano da tutt’altra questione, più concreta: era stata infatti ritenuta un’interferenza nella vendita di MPS, banca oggi risanata dopo anni di crisi, che è ancora in gran parte di proprietà dello Stato e che da anni i governi che si sono succeduti cercano di vendere, per ora senza successo. Banco BPM era considerata dal governo attuale un potenziale acquirente, e la sua acquisizione da parte di Unicredit, se riuscisse, bloccherebbe l’operazione.
In realtà non è così certo che Banco BPM voglia acquisire MPS. È vero che recentemente aveva comprato il 5 per cento delle sue azioni, ma l’amministratore delegato aveva smentito fin da subito un eventuale interesse nell’acquisire tutta la banca. Evidentemente però il governo ci puntava molto, soprattutto per incassare risorse e conseguire un ambizioso piano di privatizzazioni, con cui dovrebbe raccogliere 20 miliardi entro il 2026 tramite la vendita di aziende di proprietà totale o parziale dello Stato.
Intorno alla vendita di MPS, oltre che la necessità del governo di incassare, c’è anche da sempre la speranza della politica e del settore di creare un cosiddetto “terzo polo”, cioè un terzo gruppo italiano che possa essere in grado di competere con Intesa Sanpaolo e Unicredit, le due più grandi banche italiane.
Questo terzo polo, che i governi hanno sempre immaginato come il risultato dell’unione di MPS con la banca che la comprerebbe, avrebbe due funzioni. La prima è mantenere la concorrenza e impedire che il sistema bancario italiano diventi troppo concentrato intorno a Intesa e Unicredit, diventando così una sorta di duopolio. La seconda è far sì che il terzo polo non venga realizzato da qualche banca straniera: Crédit Agricole è da sempre la prima sospettata in questo schema, insieme a BNP Paribas, altra banca francese molto presente sul territorio italiano.
Alcuni esponenti del governo ritengono inoltre che se l’operazione tra Banco BPM e MPS non si concretizzasse, per MPS ci sarebbe l’ipotesi di fare il terzo polo bancario con BPER o Unipol, rispettivamente una banca e una società finanziaria che hanno base in Emilia-Romagna e che sono ritenute vicine al centrosinistra. Questo connoterebbe l’eventuale terzo polo come di sinistra, in una logica politica applicata al mondo bancario.
Crédit Agricole ha per il momento smentito qualsiasi interesse nel comprare l’intero Banco BPM, intorno al quale potrebbe di fatto crearsi un terzo polo, sebbene a guida straniera. Questo rischio è concreto e rimane sullo sfondo: la banca francese potrebbe cioè avviare in qualsiasi momento una contro-acquisizione rispetto al tentativo in corso di Unicredit. E, se l’operazione andasse a buon fine, si troverebbe ad acquisire non solo una fitta rete di filiali nel Nord Italia, di proprietà di Banco BPM, ma anche una rilevante quota di mercato nel settore del risparmio gestito, cioè degli investimenti per conto dei clienti privati: Banco BPM ha da poco avviato l’acquisizione di Anima Sgr, la più grande società italiana di gestione del risparmio, di cui peraltro Crédit Agricole possiede già più del 20 per cento.
La motivazione più plausibile dietro la decisione di aumentare la sua quota in Banco BPM è un’altra: Crédit Agricole avrebbe deciso di disturbare deliberatamente il tentativo di acquisizione di Unicredit, con l’obiettivo di ottenere un maggiore potere negoziale verso Unicredit stessa, sia sul “risiko bancario” che su altre questioni. Le due banche hanno per esempio alcuni affari in comune: quello più rilevante è la distribuzione nelle filiali di Unicredit di alcuni prodotti di investimento della società francese Amundi, di proprietà di Crédit Agricole. La collaborazione scade nel 2027 e potrebbe essere uno dei diversi punti di discussione di un incontro tra gli amministratori delegati delle due banche, Orcel e Philippe Brassac di Crédit Agricole: dovrebbero incontrarsi nelle prossime settimane.
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