Google fa sul serio col suo computer quantistico
La società ha annunciato un importante progresso nella capacità di calcolo del suo sistema sperimentale, ma ci vorranno anni prima di vederlo applicato
A inizio settimana Google ha annunciato il microprocessore Willow: un nuovo importante progresso nello sviluppo del proprio computer quantistico, che ha permesso di svolgere in circa cinque minuti un calcolo matematico per cui i computer tradizionali più potenti al mondo avrebbero impiegato milioni di miliardi di anni, un tempo che supera l’età dell’Universo come ha spiegato la stessa azienda.
Google non è nuova ad annunci altisonanti di questo tipo, accolti talvolta con un certo scetticismo da parte degli esperti o delle aziende concorrenti. È vero che l’azienda ha un potentissimo computer, forse il più potente di tutti, ma saranno necessari anni prima che possa utilizzarlo per accelerare la ricerca nei campi della medicina o dell’intelligenza artificiale, ammesso che ci riesca.
Cinque anni fa Google aveva per esempio annunciato di avere raggiunto la “supremazia quantistica”, cioè la capacità di risolvere in tempi umani ragionevoli un problema che i normali computer non possono risolvere. All’epoca, il risultato era stato messo in dubbio da IBM, la storica società informatica che da decenni lavora allo sviluppo di un proprio computer quantistico.
Per comprendere il senso del nuovo progresso raggiunto da Google occorre fare un breve ripasso di informatica. Un computer tradizionale – come quello con cui lavorate o lo smartphone su cui state leggendo questo articolo – funziona effettuando calcoli basati sui “bit”. Queste unità di informazione possono assumere due valori: 1 o 0, un po’ come un interruttore che può essere aperto o chiuso; tantissime unità messe insieme permettono di svolgere compiti complicati come far funzionare un software e codificare/decodificare un video.
I computer quantistici funzionano in modo diverso, sfruttando alcuni principi della meccanica quantistica. Al posto dei bit utilizzano i “qubit” (da “quantum bit”), che possono esistere in una combinazione di stati di base: detta più semplicemente, un qubit può rappresentare simultaneamente più stati a differenza di 1 o 0 dei bit classici. Se un bit è una monetina che in ogni singolo momento può essere solo testa o croce, un qubit è una monetina che gira velocemente su se stessa e mostra una combinazione di testa e croce.
Questa combinazione è ciò che viene definito “sovrapposizione”, ed è lo stato che permette di utilizzare un qubit per effettuare calcoli molto più complessi rispetto ai bit classici. Se si mettono insieme più qubit le capacità di calcolo aumentano in modo esponenziale, riducendo la quantità di qubit necessari rispetto ai bit, che non seguono invece questo andamento. I qubit, inoltre, interagiscono tra loro grazie agli effetti della fisica quantistica come per esempio l’entanglement, uno stretto rapporto per cui lo stato di un elemento di memoria è intrinsecamente legato a quello di un altro, aprendo ulteriori possibilità di calcolo.
Non è necessario cogliere tutte le sfumature della fisica quantistica per farsi un’idea delle potenzialità del sistema. Immaginiamo che Marta voglia trovare il suo amico Mario in una città e che possa farlo soltanto utilizzando un sistema di ricerca computerizzato. Nel caso di un computer classico, la ricerca procede una via alla volta e a ogni “Mario non c’è” (0) prosegue fino a quando si arriva alla via in cui Mario c’è (1). Con un computer quantistico, la ricerca può essere effettuata in tutte le vie contemporaneamente, sfruttando la sovrapposizione e l’entanglement per trovare Mario pressoché istantaneamente.
I vantaggi rispetto a un sistema classico sono incomparabili, ma gestire i qubit si è rivelato estremamente complicato e questo spiega perché la ricerca nel settore prosegue da decenni con qualche progresso come quelli che annuncia Google e molti insuccessi. La tecnica più utilizzata per provare a tenere sotto controllo i qubit consiste nel raffreddare a temperature prossime allo zero assoluto (la temperatura più bassa teoricamente ottenibile, intorno a -270 °C) alcuni metalli, ottenendo una certa stabilità della materia.
È per questo motivo che un sistema quantistico assomiglia più a un grande congelatore a forma di cilindro che a un classico computer. Al suo interno si ottengono le condizioni di temperatura necessarie per lavorare con i qubit e provare a tenerli insieme, in modo da effettuare le operazioni di calcolo. Altri approcci consistono nello stimolare particelle intrappolate in potenti campi magnetici o nel lavorare con i fotoni, ciò che costituisce la luce.
Oltre a essere estremamente fragili, i qubit sono anche soggetti a errori dovuti a interferenze che possono turbare le loro caratteristiche. Anche i computer classici fanno errori, ma con i bit tradizionali è più semplice realizzare sistemi di controllo rispetto ai computer quantistici. Google dice di avere ottenuto importanti progressi anche in questo ambito, dimostrando con il suo microprocessore Willow la possibilità di ottenere una riduzione esponenziale degli errori commessi, rendendo possibile correggerli su larga scala.
Nonostante gli ultimi importanti sviluppi, siamo ancora distanti anni dalle prime applicazioni pratiche dei computer quantistici. Google, IBM e le altre aziende che competono nel settore hanno l’obiettivo di ottenere sistemi stabili che possano essere impiegati per accelerare alcuni processi, come quelli per la ricerca di nuove molecole in ambito farmaceutico o lo sviluppo di nuove tecnologie legate alle intelligenze artificiali.