L’enorme sistema di prigionia e repressione degli Assad
Costruito in decenni di dittatura: veniva usato come arma contro gli oppositori e per terrorizzare la popolazione
Dall’inizio della guerra civile in Siria, nel 2011, all’agosto del 2024, il regime siriano di Bashar al Assad ha arrestato decine di migliaia di persone: di oltre 90 mila si erano perse le tracce fino a pochi giorni fa, quando i gruppi militari anti-assadisti hanno aperto le carceri delle città conquistate facendo uscire tutti i detenuti. «Giuro su Dio onnipotente, questo uomo e io avremmo dovuto essere impiccati oggi (…). Giuro su Dio onnipotente, 54 persone dovevano essere giustiziate oggi», ha detto domenica ad Al Jazeera un uomo appena liberato dalla prigione di Sednaya, vicino a Damasco. «Fino a oggi non avevo visto la luce del sole. Anziché essere ucciso domani, grazie a Dio, ho riavuto la mia vita», ha detto un altro che ancora non poteva credere a cosa gli stava succedendo.
Le scene delle persone liberate dalle prigioni di Assad e delle strutture fatiscenti, sotterranee e disumane in cui erano detenute sono al tempo stesso emozionanti e spaventose. Molta dell’attenzione si è concentrata su Sednaya, la gigantesca prigione diventata simbolo del regime, dove furono uccise decine di migliaia di oppositori e che per le torture e le sevizie che venivano commesse era soprannominata il «macello umano». Ma l’apparato di detenzione e repressione del regime era molto più ampio.
La costruzione dell’apparato di detenzione del regime siriano risale agli anni Sessanta, prima ancora che la famiglia Assad – tramite Hafez, il padre di Bashar – salisse al potere. Ma si rafforzò enormemente negli anni Settanta, quando il regime degli Assad cominciò ad adottare una politica di risposta durissima a ogni minimo segnale di insubordinazione o ribellione.
La prigione di Sednaya, per esempio, fu costruita nel 1976 come campo di tortura per i prigionieri politici, fino a diventare la struttura gigantesca che è oggi.
Le prigioni dei detenuti politici erano volutamente luoghi dove le persone vivevano in condizioni inumane, e le torture erano sistematiche. Per decenni, il regime degli Assad non si preoccupò di nascondere torture e sevizie, e anzi le usò per fare in modo che si diffondesse tra la popolazione la paura di essere arrestati e messi in prigione, come ha spiegato al Washington Post Lina Khatib, ricercatrice del centro studi britannico Chatham House.
Come ha mostrato un recente rapporto delle Nazioni Unite, il sistema di detenzione del regime era ampissimo e ramificato. La polizia politica aveva le sue prigioni, così come l’intelligence interna e l’esercito, e a queste si aggiungevano le prigioni civili. Gli oppositori potevano essere imprigionati perfino negli ospedali militari. Spesso i detenuti venivano trasferiti da una all’altra, subendo ogni volta percosse e torture, fino a che di loro non si perdevano le tracce.
Negli anni, l’apparato di sicurezza e di detenzione era diventato così capillare ed esteso, con moltissime prigioni aperte in tutto il paese, che si era persa parte del controllo centralizzato. Chi gestiva le carceri aveva potere di vita e di morte sui detenuti, che non godevano di nessuna garanzia. Un detenuto poteva morire di torture in una prigione senza che nessuno ricevesse notizia della sua morte. A volte il sistema carcerario era così ampio che i detenuti non erano più rintracciabili, anche quando erano vivi. La cultura della segretezza, mantenuta per evitare che i crimini peggiori fossero resi pubblici, faceva sì che i documenti e i dati dei prigionieri fossero periodicamente e sistematicamente distrutti.
Le conseguenze le stiamo vedendo in questi giorni: a Sednaya, per esempio, i soccorritori stanno ancora cercando di liberare tutti i prigionieri, quasi due giorni dopo l’abbandono della prigione da parte delle forze assadiste. Molte delle persone liberate non hanno documenti, non hanno telefoni cellulari, non hanno modo di contattare i propri parenti, che a loro volta non avevano idea di dove si trovassero i loro cari.
Molti prigionieri non hanno comunicato con le famiglie per anni. Alcuni di loro, dopo anni di abusi, hanno perfino perso la memoria.
L’apparato di repressione messo in piedi dalla famiglia di Assad è noto da tempo, ma la sua estensione non è del tutto chiara. Nuove informazioni arriveranno nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, quando le autorità siriane capiranno qualcosa di più sul numero e sulla grandezza delle prigioni e degli altri centri di detenzione.