Non è stata trovata una “prima edizione” della Divina Commedia
È stato molto ripreso un post del sindaco di La Spezia, ma i manoscritti in questione erano già noti (e non hanno un gran valore filologico)
Domenica il sindaco di La Spezia Pierluigi Peracchini ha scritto su Facebook che all’archivio di Stato della sua città, in Liguria, ci sono «pagine autentiche» della «prima edizione» di canti del Purgatorio e del Paradiso, definendole un «tesoro unico al mondo». Il suo post è stato molto ripreso da quotidiani e agenzie di stampa, generando però equivoci ed errori. Dalla loro titolazione – in cui si parla per esempio di «pagine originali» – sembra quasi che siano stati trovati manoscritti autografi di Dante, ma in realtà non è stata trovata nessuna «prima edizione» della Divina Commedia: i manoscritti citati sono noti da tempo e parlare in generale di autenticità in relazione alla Commedia è complicato.
Le carte cui fa riferimento Peracchini sono dei manoscritti del Trecento, cioè pergamene su cui è stato scritto un testo a mano. Parlare di “edizione” è quindi sbagliato, perché il termine indica una pubblicazione a stampa, e le “pagine” sono quelle che compongono un volume stampato. È più corretto parlare di “codice”, cioè un libro manoscritto (in questo caso parliamo di un frammento di codice). Nel suo post inoltre Peracchini non fa esplicito riferimento alla scoperta: si limita ad attestare la presenza di queste carte nell’archivio di Stato, diversamente dalla versione riportata poi su alcuni giornali, che parlano invece di scoperta.
Peracchini cita due documenti legati a Dante Alighieri: oltre ai frammenti di un codice della Commedia (ci torniamo a breve), nomina l’originale della cosiddetta pace di Dante, cioè l’accordo di Castelnuovo che nel 1306 pose fine alla guerra tra i Malaspina, una potente famiglia nobile della Lunigiana (una regione storica suddivisa tra Liguria, Toscana e in piccola parte l’Emilia-Romagna), e i vescovi di Luni, un comune in provincia di La Spezia. Questo accordo è noto come pace di Dante perché Alighieri al tempo svolgeva attività diplomatica per conto dei Malaspina.
Paolo Chiesa, docente di filologia all’università di Milano e noto studioso di Dante, spiega che nello specifico il documento è la delega con cui i Malaspina incaricavano Alighieri di condurre la trattativa con i vescovi di Luni. «È un documento importante, perché è uno dei pochi certi che ci dice dove si trovasse Dante durante l’esilio. Era però già molto conosciuto e studiato», dice.
Anche il frammento di codice con il testo della Commedia era già noto da tempo. Chiesa dice che fa probabilmente parte dei “Cento”, un gruppo di manoscritti prodotti a Firenze nella seconda metà del Trecento. «Questi testi non hanno peraltro un particolare valore filologico, nel senso che non hanno fornito agli studiosi elementi importanti per ricostruire il testo originale della Commedia». Chiesa aggiunge che ogni anno viene trovato qualche nuovo frammento con porzioni di testo della Commedia (ce ne sono centinaia), che vengono studiate per capire se e come possono aiutare a ricostruire la versione originale del testo di Dante Alighieri.
La Commedia che si legge a scuola è un testo ottenuto grazie alla ricostruzione dei filologi danteschi, gli studiosi dei testi esperti della produzione letteraria di Dante Alighieri. Non esistono infatti testi autografi della Commedia, cioè firmati da Dante stesso: il cosiddetto testo originale, cioè il più simile possibile a quello scritto da Dante, è stato ricostruito confrontando una serie di manoscritti ritenuti attendibili dai filologi in base a criteri linguistici e culturali. È un lavoro estremamente lungo e complesso, considerando anche il fatto che la Commedia è stata scritta in più fasi e in un arco di tempo lungo, tra circa il 1306 e il 1321.
Finora la ricostruzione dell’originale più rilevante è quella di Giorgio Petrocchi, critico letterario e filologo, che nel 1966 pubblicò La Commedia secondo l’antica vulgata, cioè il testo della Commedia com’era letto a Firenze tra il 1340 e il 1350 circa. Finora la vulgata di Petrocchi è stata il riferimento imprescindibile, ma Chiesa spiega che negli ultimi anni sono state pubblicate altre edizioni critiche che potrebbero superare l’impostazione del testo di Petrocchi e avvicinarsi a una ricostruzione dell’originale ancora più precisa.