I Verdi europei vogliono raccontarsi meglio
Al congresso di Dublino hanno discusso su come comunicare in maniera più efficace le proprie proposte, senza passare per idealisti e poco attenti ai problemi sociali
Un recente slogan usato dalla sezione bavarese dei Verdi tedeschi sdrammatizzava: «Se vuoi che ti incolpino di tutto, unisciti a noi». È stato un po’ l’umore del congresso dei partiti Verdi europei, terminato domenica a Dublino, in Irlanda. Quelli locali, peraltro, erano reduci da una tosta sconfitta alle elezioni di fine novembre: gli è rimasto un solo seggio in parlamento. In Irlanda, come in altri paesi europei, i Verdi avevano partecipato a un governo centrista, facendo approvare provvedimenti a cui tenevano, ma lo hanno pagato in termini di consenso.
Al congresso i Verdi europei hanno però ribadito che questa è la via da seguire, perché l’unica possibile. L’alternativa, hanno detto, è continuare a lasciare che si formino governi dove i partiti di centrodestra si alleano con l’estrema destra, e che vedono come velleitaria la transizione ecologica e vogliono provare a fermarla. I Verdi europei hanno riconosciuto che è una fase complicata e che non sarà facile, e hanno deciso di provare a enfatizzare il lato sociale delle loro proposte per il clima, comunicandole meglio.
Era il primo congresso dopo le elezioni europee di giugno, alle quali i Verdi avevano perso quasi un quinto dei seggi. Anche le ultime settimane sono state complicate.
A luglio i Verdi europei erano stati decisivi per la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea. Per quanto già quella fosse stata una scelta sofferta, il gruppo era rimasto unito. Von der Leyen, che fa parte del Partito Popolare (di centrodestra), aveva poi spinto affinché nella nuova Commissione venisse affidata una vicepresidenza a Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia, per avere l’appoggio del gruppo Conservatori e Riformisti Europei (ECR). I Verdi si erano opposti apertamente a questa scelta, ma non sono riusciti a imporsi. Nel voto del Parlamento Europeo di novembre, in cui andava approvata in blocco la Commissione, alla fine il gruppo si è diviso.
Per i Verdi la scelta di von der Leyen di cercare appoggi a destra, invece che a sinistra, è stata una delusione: nel giro di poco tempo si sono trovati dall’essere a un passo dall’entrare stabilmente nella maggioranza che sostiene la presidente (insieme ai Socialisti di centrosinistra e ai liberali di Renew Europe) al rimanerne di fatto esclusi.
L’eurodeputata italiana Benedetta Scuderi, dei Verdi, sostiene che «il doppiogiochismo del PPE» abbia già avuto delle conseguenze. Uno degli ultimi esempi è stata la mancata approvazione della risoluzione sul bilancio dell’anno prossimo per una spaccatura nella maggioranza: il PPE infatti subito prima aveva votato insieme ai gruppi di estrema destra, accodandosi a un loro emendamento che chiedeva di finanziare «barriere fisiche» ai confini dell’Unione.
«Noi continueremo a provare a lavorare con i commissari con un approccio costruttivo. Laddove è impossibile si farà opposizione», conclude Scuderi. L’eurodeputato austriaco Thomas Waitz è il co-presidente uscente dei Verdi europei (al congresso sono stati eletti i nuovi co-presidenti: la greca Vula Tsetsi e l’irlandese Ciarán Cuffe) e ha riscontrato una progressiva radicalizzazione del PPE, che recentemente ha generato contraddizioni. Per esempio i Popolari hanno votato insieme ai gruppi di destra ed estrema destra per il rinvio di una legge sulla deforestazione di cui avevano il relatore.
Al di là delle dinamiche nelle istituzioni europee, che non dipendono interamente da loro, i Verdi europei si sono chiesti cosa aggiustare nella loro offerta politica. Secondo il leader di Europa Verde, Angelo Bonelli, la crisi è dovuta anche all’attuale narrazione di questi partiti. «In parte ci si è trasformati in una sorta di tecnici dell’ambiente: la tecnicalità dell’ambiente, quando non è associata alla politica, ti trasforma in un burocrate dell’ambientalismo», dice Bonelli. «E questo è un problema».
Una convinzione diffusa, emersa al congresso di Dublino, è che per tornare rilevanti vada accentuata la componente sociale dei provvedimenti: le misure contro il cambiamento climatico devono quindi essere presentate come soluzioni a problemi sociali esistenti, e non provvedimenti che li creino, i problemi sociali. Un esempio: mostrare come la transizione energetica non necessariamente debba portare a un aumento del costo della vita, ma possa far abbassare le bollette.
In un congresso a cui vari partiti sono arrivati in un momento difficile, il Partito Popolare Socialista (SF) danese è stata un’eccezione: alle scorse europee ha vinto nel voto popolare per la prima volta nella sua storia. «Abbiamo legato l’agenda green a una transizione giusta. Non si tratta di fare la transizione e poi aggiungere un sussidio o qualcosa del genere: è dire che dobbiamo trasformare la società e chiederci come farlo in modo collettivo», spiega l’eurodeputato Rasmus Nordqvist. Il suo partito ci è riuscito, dice, con un «approccio pragmatico» e sottraendo la narrazione sul cambiamento climatico alla destra.
Da questo punto di vista, secondo Waitz, le proteste degli agricoltori sono emblematiche. Waitz è a sua volta un agricoltore, nella Stiria, e racconta che la stragrande maggioranza della comunicazione che riceve sui temi del settore risente della retorica dell’estrema destra, che ne ha intercettato il malcontento. «Questa rabbia è stata usata e abusata», dice Waitz, «portando gli agricoltori sulle strade per difendere gli interessi della grande industria agricola e dei pesticidi, e non i loro».
Malgrado i populisti abbiano a volte adottato toni paternalistici in difesa di alcune categorie in crisi, come quella degli agricoltori, i partiti di destra ed estrema destra hanno votato contro di loro nella scorsa legislatura del Parlamento Europeo, come ha documentato una ricerca di Gabriela Greilinger e Cas Mudde.
Quando hanno governato, i Verdi hanno spesso perso voti alla tornata elettorale successiva, nonostante avessero realizzato numerosi impegni del loro programma, come per esempio in Austria e in Irlanda.
C’è un problema di comunicazione, secondo Luca Guidi, il co-portavoce degli Young European Greens (l’ala giovanile del partito). «Non dico che dovremmo essere più populisti, perché il populismo è una cosa che odio. Però dovremmo raggiungere le fasce della popolazione che purtroppo non ci ascoltano». Secondo Guidi, selezionare candidati tra gli attivisti aiuta a mobilitare gli elettori, anche se resta la questione «di farci mettere in posizioni eleggibili, perché le “quote giovani” non bastano».
Infine il congresso ha dato molto spazio agli amministratori locali. Un’altra tattica per migliorare la situazione dei Verdi, si è detto, potrebbe essere ripartire dai risultati raggiunti nelle città europee dove il partito governa, in alcuni casi da anni, per sfatare lo stereotipo di partito poco concreto e troppo idealista appiccicatogli dagli avversari.
Per esempio il sindaco di Zagabria (Croazia), Tomislav Tomašević, ha detto che in tre anni e mezzo di mandato la sua amministrazione ha quadruplicato i pannelli solari, ma non ha dismesso i bus diesel più avanzati per non compromettere il servizio mentre li sostituisce con mezzi elettrici.
Per la senatrice francese Mélanie Vogel, che insieme a Waitz era la co-presidente uscente, la reazione «organizzata di Conservatori e Liberali» contro i Verdi è il segno che hanno ottenuto risultati. «Il contraccolpo contro i Verdi e il femminismo non è un segnale di fallimento, ma una reazione avversa al progresso», ha detto nel suo ultimo discorso da co-presidente.
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