I problemi che rimangono a Valencia a un mese dalle alluvioni
Sono parecchi: il grosso dei detriti è stato tolto ma restano il fango e l'acqua stagnante, e in alcune zone manca ancora la corrente
È passato poco più di un mese da quando una grossa alluvione ha interessato la Spagna orientale, causando più di 220 morti soprattutto nella zona di Valencia. Nelle ultime settimane molte persone si sono mobilitate per ripulire le strade dai detriti e dal fango, ma nei comuni più colpiti la situazione è ancora precaria e per certi versi preoccupante.
A Valencia le strade sono state ripulite dal grosso del pantano e dei detriti. Resta però una cappa di polvere rossa generata dal fango secco che è rimasto in giro, qui come altrove. Il grosso del lavoro avviato da volontari e dal governo locale si sta concentrando sulle fognature, che vanno ripulite prima che il fango si indurisca troppo e causi danni strutturali alle tubature o impedisca il deflusso dell’acqua nel caso dovesse piovere forte di nuovo.
Molti parcheggi sotterranei o garage privati che si trovano al livello della strada o più sotto sono ancora pieni di acqua fangosa e stagnante. In alcuni casi questa si mescola con le acque nere risalite dalle fognature, causando esalazioni maleodoranti e malsane. L’umidità che entra nei muri rischia anche di creare danni permanenti agli edifici, e ritarda sempre di più il momento in cui anche gli appartamenti ai piani più bassi potranno tornare abitabili (prima di tinteggiare, bisogna aspettare che si asciughino del tutto i muri e sia eliminata eventuale muffa).
L’acqua stagnante solleva anche un tema di salute pubblica, perché facilita la proliferazione dei batteri, per esempio l’escherichia coli o la salmonella. Lo stesso vale per la polvere esalata dal fango secco, che può causare infezioni respiratorie per la presenza di funghi e batteri.
Tra i volontari e gli operatori che in queste settimane stanno facendo il grosso del lavoro di pulizia, e che quindi sono esposti in misura maggiore, sono stati riportati casi (per ora isolati) di legionellosi o leptospirosi, due malattie infettive che possono causare sintomi anche gravi.
Molte persone con mobilità ridotta (come anziani o persone con disabilità) che abitano ai piani più alti in edifici senza ascensore sono praticamente bloccate in casa. Gruppi di volontari si sono organizzati per portare loro cibo, medicinali e quello di cui hanno bisogno.
Poi ci sono le persone che una casa non ce l’hanno più. Secondo le cifre ufficiali delle autorità valenciane, circa 2mila appartamenti nei comuni più colpiti sono ancora inabitabili. Le persone che ne avevano la possibilità si sono spostate a vivere provvisoriamente da familiari o amici, oppure in strutture a pagamento con il sostegno economico del comune o della regione. Per sostenere i privati che hanno subìto danni alle proprie abitazioni, la Comunità autonoma valenciana (simile alle nostre regioni) ha garantito aiuti diretti da 6mila euro per casa. Sono state presentate più di 28mila domande, di cui finora circa il 13 per cento è stato evaso (per un totale di 22 milioni di euro).
Nel comune di Alaquàs, a ovest di Valencia, un gruppo di diverse decine di persone migranti provenienti dal Marocco non aveva alternative: in seguito all’alluvione ha trovato posto in una fabbrica abbandonata in periferia. Il comune aveva proposto un alloggio in ostello in un paese lì vicino, ma quelli di loro che non avevano i documenti in regola hanno preferito dormire lì piuttosto che rischiare problemi con le autorità per l’immigrazione.
Nei giorni subito successivi alle alluvioni erano circolate molto le immagini di decine, a volte centinaia di macchine accatastate ai bordi delle strade a causa del passaggio di acqua e detriti. Si calcola che nei comuni più colpiti siano circa 120mila le automobili che dovranno essere rottamate. Sia la regione che i comuni nelle ultime settimane hanno approvato diverse norme per velocizzarne lo smaltimento. Per esempio è stato ridotto a due mesi (prima erano sei) il tempo che le autorità devono aspettare prima di dichiarare un veicolo abbandonato e mandarlo alla rottamazione.
Secondo gli esperti, tuttavia, ci vorranno almeno sei mesi affinché il settore delle autodemolizioni riesca ad assorbire un numero così alto di auto.
A parte le macchine, l’alluvione ha generato anche 250mila tonnellate di detriti, che dopo esser stati rimossi dalle strade andavano portati da qualche parte. Uno dei luoghi provvisori scelti per l’accumulo provvisorio è la vecchia cava di Picassent, a sud di Valencia. Si trova però su una falda acquifera da cui in anni recenti è parzialmente emersa dell’acqua e che ora rischia di essere contaminata.
In molti comuni ci sono ancora zone in cui non è tornata la corrente o in cui i negozi non hanno mai riaperto. La rete ferroviaria ha subito dei grossi danni e in generale spostarsi con il trasporto pubblico è difficile.
C’è poi il tema delle scuole: a Catarroja, a sud di Valencia, l’istituto superiore Berenguer Dalmau, dove studiavano 1500 studenti tra i 12 e i 18 anni, è chiuso e non si sa quando riaprirà. El Paìs ha scritto che i professori si sono organizzati in modo autonomo per fare lezione online. Lo stesso vale per la scuola Larrodé, che invece include asilo, scuola dell’infanzia e medie: fin quando non saranno pronti i prefabbricati per ospitare le aule, l’unico modo è fare lezione da remoto. È una situazione simile a quella che si può trovare in molti altri comuni: in totale circa 16mila bambini e adolescenti non sono ancora rientrati in classe.
Nelle scorse settimane si sono tenute diverse manifestazioni, l’ultima delle quali proprio nei giorni in cui occorreva il primo mese dalla “dana”, il modo in cui ci si riferisce all’alluvione (è un acronimo scientifico che descrive il fenomeno che aveva causato le piogge e gli allagamenti dello scorso 29 ottobre). A Valencia sabato 30 novembre decine di migliaia di persone hanno manifestato, contestando soprattutto il ritardo con cui hanno agito le autorità regionali nei giorni dell’alluvione, e quelli nella gestione delle conseguenze. Hanno chiesto le dimissioni di Carlos Mazón, il presidente della regione considerato tra i principali responsabili.