Il collasso dell’esercito siriano si sta allargando a Damasco
I soldati del regime stanno abbandonando le proprie postazioni e la popolazione della capitale sta iniziando a ribellarsi
Il collasso dell’esercito siriano che protegge il presidente Bashar al Assad sta accelerando. I soldati stanno abbandonando le loro posizioni attorno alla città di Damasco, la capitale, e lasciando le strade aperte alle colonne di insorti che arrivano da sud. I gruppi ribelli di Daraa, città del sud della Siria, sono stati i primi ad arrivare alla capitale siriana, ma soltanto perché sono partiti da una regione più vicina.
Se Assad fosse ancora nella capitale, come ha detto l’ufficio del presidente in un comunicato diffuso sabato pomeriggio, allora le sue chance di fuggire si starebbero assottigliando: i ribelli si stanno avvicinando alla zona dell’aeroporto internazionale che sta poco a sud di Damasco.
I gruppi armati del nord guidati dalla fazione Hayat Tahrir al Sham (Hts), che hanno cominciato questa campagna militare la sera di mercoledì 27 novembre senza sapere che sarebbe stata così travolgente, sono ancora impegnati a combattere nelle strade di Homs, la terza città del paese, a 160 chilometri dalla capitale. Ma il dissolvimento dell’esercito di Assad che loro hanno causato si sta allargando ad altre regioni della Siria, e a reparti assadisti che non hanno ancora sentito nemmeno un colpo di fucile.
In alcuni piccoli centri abitati della periferia di Damasco e in alcuni quartieri della capitale la popolazione si è accorta che i soldati in panico hanno abbandonato le loro posizioni e ha cominciato rivolte locali: ha bruciato e abbattuto i simboli del regime, se l’è presa con il culto della personalità che nella Siria assadista era un obbligo, ha distrutto i poster di Bashar e si è avventata contro le onnipresenti statue in bronzo di suo padre, Hafez.
Sta succedendo a Darayya, ad al Khiswa e a Moadamyeh al-Sham, appena a sud del centro della capitale. E anche a Jaramana, a sei chilometri dal palazzo presidenziale che dal monte Qassioun guarda tutta Damasco. In dieci giorni la campagna militare partita da Idlib, nel nord della Siria, si è trasformata in un’insurrezione dentro la capitale.
Darayya è un quartiere che resistette per quattro anni agli assalti e ai bombardamenti dell’esercito di Assad e fu quasi distrutto prima di capitolare e tornare a una finta normalità. Nel 2012, dopo che gli insorti si ritirarono per evitare rappresaglie sui civili, l’esercito circondò lo stesso il quartiere, uccise sul posto centinaia di civili e con i bulldozer abbatté alcune case.
Da Mezzeh, un quartiere elegante che ospita l’università e molte ambasciate, è arrivato il video di un gruppo di soldati a un posto di guardia che si toglie la divisa per indossare abiti civili. Da Suwayda un altro video mostra un centinaio di soldati catturati che canta: «Uno uno uno, il popolo siriano è uno solo». Come a dire: mettiamo da parte le differenze tra ribelli e assadisti, siamo pur sempre tutti siriani.
I ministri degli Esteri di Russia e Iran, alleati del regime che hanno perso le speranze di poterlo salvare di nuovo come fecero negli anni scorsi, hanno fatto circolare comunicati simili per dire che è necessario avviare colloqui politici fra il governo siriano e «i gruppi legittimi dell’opposizione».