Quest’anno si sono già uccise 86 persone in carcere, non erano mai state così tante
Almeno secondo il conteggio di Ristretti Orizzonti: molte erano entrate da poco, la quasi totalità sono uomini
Il 4 dicembre un uomo di 21 anni, Amir Dhouiou, si è ucciso nel carcere Marassi di Genova, dove era detenuto. Secondo Ristretti Orizzonti, storica rivista del carcere di Padova, dall’inizio del 2024 a oggi le persone detenute in Italia che si sono suicidate sono 86: è il numero più alto da quando Ristretti Orizzonti raccoglie i dati a livello nazionale. Allo stesso tempo il numero è diverso da quello diffuso dal Garante dei detenuti, per via dei criteri adottati (ci torniamo).
Secondo il conteggio di Ristretti Orizzonti nel 2023 i suicidi furono 69, nel 2022 84. Dieci anni fa si suicidarono 43 persone, la metà rispetto a oggi. Sono dati complessi da interpretare, perché ogni storia è singola e ha quindi le sue specificità. Questi numeri si inseriscono però in un contesto in cui le condizioni di detenzione sono sempre più degradanti, come denunciano da tempo le associazioni che si occupano di diritti delle persone detenute. Il sovraffollamento, la mancanza di personale e servizi, gli spazi chiusi e la difficoltà di gestire le persone con fragilità hanno provocato negli scorsi mesi diverse proteste nelle carceri italiane. E incidono anche sui suicidi degli agenti della polizia penitenziaria, sette dall’inizio dell’anno.
Sofia Antonelli, ricercatrice dell’associazione Antigone che fra le altre cose si è occupata del dossier sui suicidi in carcere, dice che non è solo il numero così alto di suicidi del 2024 a preoccupare, ma «tutto il sistema che è in enorme difficoltà». Pur specificando che ogni vicenda è singola e non si può generalizzare, Antonelli osserva che il sistema carcerario italiano spesso non riesce ad affrontare in modo adeguato le fragilità delle persone detenute: chi entra in carcere con problemi di salute mentale o situazioni di marginalità sociale alle spalle rischia di non essere gestito come ne avrebbe bisogno. Mancano le risorse e il personale è insufficiente. In carcere oggi «le persone sono sempre più rinchiuse e sempre più sole», dice.
Amir Dhouiou era nato in Tunisia ed era detenuto nel reparto di Servizio assistenza intensificata del Marassi perché nelle scorse settimane aveva già commesso atti di autolesionismo. Era quindi considerato una persona fragile e a rischio. La procura di Genova ha aperto un’inchiesta per capire se Dhouiou fosse sorvegliato nel modo corretto.
Il suicidio di Dhouiou non è conteggiato nell’ultimo rapporto sui suicidi in carcere del Garante nazionale dei detenuti, che è aggiornato al 2 dicembre. Rispetto al conteggio di Ristretti Orizzonti fino al 2 dicembre, il Garante conta comunque sei suicidi in meno, dunque si ferma a 79. Le ragioni sono legate sia ad alcuni accertamenti ancora in corso (nell’analisi del Garante nazionale sono indicati 19 decessi in carcere “per cause ancora da accertare”) sia al modo con cui le associazioni calcolano i suicidi in carcere.
Nel rapporto di Ristretti Orizzonti si trovano per esempio il nome di Sylla Ousmane, 22 anni, che si impiccò il 4 febbraio nel Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) Ponte Galeria di Roma, e quello di Mailon D’Auria, 21 anni, che morì il 27 giugno nel carcere di Frosinone dopo avere inalato del gas da una bomboletta. Nessuno dei due è nella relazione del Garante. O ancora, a differenza del Garante, Ristretti Orizzonti inserisce nel suo rapporto Cristian Francu, 51 anni, morto il 27 novembre dopo essersi gettato dalla finestra dell’ospedale di Perugia. Era stato portato lì dal carcere di Terni perché le sue condizioni di salute erano state dichiarate incompatibili con la detenzione in carcere.
Ristretti Orizzonti spiega che le differenze nei conteggi con il Garante potrebbero essere dovute a criteri diversi nel considerare alcuni suicidi come avvenuti in carcere. Per esempio, Ristretti Orizzonti reputa sistematicamente tali anche le morti in ospedale dopo atti di autolesionismo compiuti in carcere, o persone che si sono uccise mentre erano in permesso “premio”, dunque quando non erano fisicamente in carcere ma erano comunque detenute. «Noi parliamo di morti di carcere, dunque per tutto ciò che la detenzione implica o provoca, anche se le persone detenute non erano in carcere al momento della morte», fa sapere l’associazione.
Il Garante nazionale dei diritti dei detenuti Riccardo Turrini Vita spiega che i numeri dei suoi rapporti arrivano dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e sono quindi quelli “ufficiali”. Turrini Vita dice comunque di aver disposto una verifica. Il 3 dicembre il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Carlo Nordio per chiedere conto delle discrepanze sui numeri.
Nella relazione del Garante nazionale ci sono diversi elementi significativi per capire di cosa parliamo quando parliamo di suicidi in carcere in Italia. Le persone che si sono uccise dall’inizio dell’anno erano quasi tutti uomini (77 su 79) e avevano un’età media di 40 anni (una sola persona aveva più di settant’anni, 34 persone avevano tra i 26 e i 39 anni). 33 erano state giudicate in via definitiva e condannate, altre 30 erano invece in attesa del primo giudizio, mentre 9 avevano una posizione detta “mista con definitivo”, cioè avevano almeno una condanna e altri procedimenti penali in corso.
Oltre la metà si è suicidata nei primi sei mesi di detenzione: 8 entro le prime due settimane, sei dopo 5 giorni dall’ingresso.
Nella relazione si parla delle condizioni di fragilità in cui si trovava buona parte delle persone che si sono uccise. Sulle 79 contate dal Garante nazionale, 43 persone erano già state coinvolte in “eventi critici”, cioè avvenimenti che mettono in pericolo la sicurezza delle persone detenute e del personale penitenziario o delle strutture dell’istituto. Tra queste 19 avevano già provato a suicidarsi. Inoltre 14 persone erano già state sottoposte alla misura di “grande sorveglianza”, cioè una sorveglianza rafforzata: cinque lo erano ancora quando si sono suicidate.
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Un altro dato importante riguarda gli spazi in cui vivevano le persone detenute che si sono suicidate. 67 di loro si trovavano nelle sezioni a “custodia chiusa”, dove le celle restano aperte solo per le otto ore previste dal regolamento generale nazionale e la partecipazione ad attività lavorative è prevista solo all’interno della stessa sezione. La “custodia aperta” invece prevede l’apertura delle celle fino a 14 ore al giorno e la possibilità di partecipare ad attività sportive, lavorative e di formazione anche al di fuori della propria sezione. Secondo Antigone le custodie chiuse sono aumentate negli ultimi anni.
Secondo l’ultimo aggiornamento del ministero della Giustizia, al 30 novembre nelle carceri italiane c’erano 62.427 persone detenute, a fronte di 51.165 posti disponibili. I posti realmente disponibili sono sempre meno della capienza, e che a giugno erano 47.067. Quello sulle persone detenute è un dato in crescita rispetto al 2023: complessivamente al 31 dicembre dello scorso anno erano detenute 60.166 persone, a fronte di una capienza massima degli istituti penitenziari di 51.179 posti.
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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.