L’Irlanda ha molti soldi da spendere, ma nessuna soluzione per la crisi abitativa
È una situazione insolita per un paese europeo, e ha prodotto conseguenze eccezionali: lo si è visto anche alle ultime elezioni
di Matteo Castellucci
In Irlanda c’è praticamente la piena occupazione. Nel 2024 i partiti al governo hanno perso le elezioni un po’ ovunque nel mondo, ma non qui, dove al voto di una settimana fa i centristi sono andati bene. Un’altra cosa inedita è che il governo irlandese ha soldi da spendere, tanti soldi, e spenderne di più è stata la soluzione a vari problemi, molto spesso gli stessi degli altri stati europei con bilanci meno rigogliosi, almeno dalla pandemia in poi. È un equilibrio precario, perché la prosperità si regge sulle tasse delle multinazionali, che ci sono ma non è detto ci saranno per sempre.
La fragilità di questo modello ormai è un genere giornalistico, oltreché oggetto di studio. Prima delle elezioni il New York Times aveva scritto, riferendosi all’Irlanda, che un paese ricco non è necessariamente felice. E il benessere, oltre a essere in parte dopato, ha escluso sempre più persone.
In Irlanda il numero di senzatetto è quintuplicato in pochi anni: oggi sono più di 14mila, di cui oltre 4mila minorenni. Sono le statistiche ufficiali, che includono chi per esempio si è registrato per accedere a un dormitorio, ma la cifra reale è probabilmente più grande. Più di diecimila persone senzatetto vivono a Dublino, la capitale, che da tempo ha una crisi abitativa e dove l’affitto medio – 2.476 euro al mese – è il più costoso al metro quadro d’Europa. A questi 14mila vanno aggiunti 3mila richiedenti asilo a cui il governo non ha trovato un alloggio. È passato poco più di un anno da quando il ministero dell’Integrazione comunicò che, avendoli esauriti, non avrebbe più dato posti letto ai richiedenti asilo maschi soli.
Martedì 3 dicembre c’era una lunga fila di persone fuori dall’Homeless café dell’ente di beneficenza Tiglin, in centro a Dublino. Il fondatore, Aubrey McCarthy, dice di avere visto la coda allungarsi col passare del tempo. Prima il centro dava un pasto caldo a 40, massimo 80 persone in una sera: adesso nei giorni di massima affluenza si arriva a 500 o 600. È cambiata anche l’utenza. Si è diversificata, e non è più fatta quasi interamente di persone con problemi di salute mentale o dipendenze.
«Quando diciamo “senzatetto” pensiamo a gente nel sacco a pelo o in una scatola di cartone, ma la cosa non si esaurisce lì. Ora ci sono persone che semplicemente non possono permettersi un affitto», spiega McCarthy. Ci sono persone come Lucy (nome di fantasia), un’infermiera che non può pagare 3mila euro al mese, e Jacob (altro nome di fantasia), che aveva una casa che gli è stata pignorata e che dice che dal freddo delle ultime settimane puoi difenderti solo fino a un certo punto, anche con addosso tre sacchi a pelo (la minima la notte è poco sopra lo zero).
Fuori dalle statistiche, nella pratica i due gruppi menzionati sopra – persone migranti e senza fissa dimora – si sovrappongono. Non tutti i senzatetto sono migranti, ma tanti migranti diventano senzatetto non appena arrivano in Irlanda. È stato così per Jay Bobinac, originario della Croazia, che oggi lavora per Tiglin e ha due lauree ma quando conobbe McCarthy viveva per strada con il fratello. Bobinac paragona ereditare una casa a vincere alla lotteria: chi come lui ha meno di trent’anni spesso «o vive ancora con la sua famiglia o paga un affitto esorbitante».
Il costo mediano di una casa a Dublino è di 346mila euro. I prezzi sono saliti enormemente anche nelle zone degradate della città, a nord.
La crisi abitativa c’era già, poi alcuni fattori l’hanno aggravata, senza che i governi irlandesi riuscissero a trovare soluzioni. Oggi nel paese si stima che ci sia una domanda inevasa di 250-300mila case. A differenza di altre capitali europee come Barcellona, nel determinare la crisi abitativa a Dublino hanno avuto un ruolo marginale gli affitti per brevi periodi su piattaforme come Booking o Airbnb: nella maggior parte dei casi gli affitti brevi sono illegali e dal 2019 esiste una normativa che li scoraggia (serve il permesso del comune).
La guerra in Ucraina e poi quella in Medio Oriente, secondo McCarthy, sono state «la tempesta perfetta». L’Irlanda è neutrale dal punto di vista militare, ma l’arrivo soprattutto di profughi ucraini – più di 100mila dal 2022, su 5,2 milioni di abitanti – ha contribuito a saturare un sistema d’accoglienza che era costruito per poche migliaia di persone all’anno e che da quel momento si è appoggiato soprattutto su strutture private, come gli alberghi.
L’economia in espansione ha attratto anche più migranti economici, cioè chi ha lasciato il proprio paese sperando di migliorare le condizioni di vita. Tra gennaio e agosto, l’Irlanda è stata il paese dell’Unione Europea con il più alto numero di richieste d’asilo in rapporto agli abitanti. Nei primi sei mesi dell’anno erano aumentate del 93,9 per cento sul 2023, attualmente sono 16mila. Circa un quinto della popolazione non è nato in Irlanda.
Negli ultimi due anni attorno all’International Protection Office (IPO), l’ufficio che gestisce le richieste d’asilo, sono sorti accampamenti di fortuna, che sono stati periodicamente smantellati. È una zona centrale di Dublino. Attorno all’IPO e lungo il canale lì vicino, ci sono ancora le transenne posizionate dopo l’ultimo sgombero. Servono a impedire che tornino le tende e la logica è la stessa delle sbarre di ferro sulle cosiddette “panchine anti-clochard”, ma su una scala diversa e più visibile.
Queste transenne sono state tolte e rimesse, e sono costate parecchio più del previsto. A fine agosto il Consiglio comunale ha detto che sarebbero rimaste altri due mesi, e due mesi dopo eccole ancora lì. Somigliano a cancellate, per altezza e disposizione: «Non dico che [lasciare lì le tende] fosse meglio, le condizioni erano malsane, ma è stato un approccio alla lontano dagli occhi, lontano dal cuore», dice Nick Henderson, il direttore dell’Irish Refugee Council (la principale ong che assiste le persone migranti).
Per l’Irlanda, tutto questo è nuovo. Per larga parte del Novecento, e della sua storia, è stata una nazione di emigranti. Si diceva che esportava prodotti agricoli e braccia. Un’altra cosa senza precedenti, per uno dei paesi più tolleranti d’Europa, è la presenza stabile di un’estrema destra che almeno dai riots di un anno fa a Dublino sta provando a strumentalizzare politicamente questi problemi, raccontandoli come legati anche se non lo sono, e incolpando le persone migranti della crisi abitativa. Lo slogan è Ireland is full, “l’Irlanda è piena”.
Secondo l’exit poll di Ipsos, al voto di venerdì 29 novembre il tema più sentito dagli elettori era proprio la questione abitativa e dei senzatetto (28 per cento). L’immigrazione non era tra le priorità, la indicavano solo il 6 per cento degli intervistati. A una prima lettura, sembrerebbe che la tattica dell’estrema destra non abbia funzionato. Peraltro le sue principali sigle si erano unificate sotto il nome di National Alliance (“Alleanza nazionale”), presentando più di 60 candidati, tra i quali i sei consiglieri locali ottenuti a giugno alle amministrative. Nessuno di loro è stato eletto.
L’estrema destra non ha sfondato anche per via del posizionamento dei partiti istituzionali, spiega Jack Horgan-Jones, cronista politico dell’Irish Times (il più importante quotidiano del paese). La scorsa primavera tutte le forze politiche avevano assunto una linea più rigida sulle politiche migratorie, parlando per esempio di accelerare le espulsioni. Secondo Horgan-Jones è presto per considerare finita l’estrema destra irlandese. Il giornalista fa l’esempio di Nigel Farage, il leader del partito sovranista Reform UK, che lo scorso luglio aveva ottenuto per la prima volta un seggio al parlamento britannico nonostante una carriera più che trentennale.
Il risultato elettorale della scorsa settimana – e quindi la vittoria di Fianna Fáil e Fine Gael, che erano già al governo – potrebbe sembrare in contraddizione con la crisi abitativa, di cui proprio l’ultimo governo non è riuscito a trovare soluzioni. In realtà c’è una spiegazione: i soldi.
Come detto, l’economia dell’Irlanda è rigogliosa e il governo ha i soldi da spendere, seppur non si è dimostrato in grado di risolvere la crisi abitativa. L’ultimo governo era intervenuto massicciamente creando programmi assistenziali e dando fondi direttamente alle famiglie: per esempio in Irlanda i libri di testo delle scuole primarie e secondarie sono gratuiti, e c’è un assegno familiare da 140 euro al mese per figlio (con l’ultima legge di bilancio il governo ha raddoppiato le due prossime tranche).
Per questo nello stesso exit poll il 65 per cento degli intervistati diceva che nell’anno precedente le sue condizioni economiche erano migliorate (13 per cento) o rimaste le stesse (52 per cento).
C’è poi una dissonanza tra la politica nazionale e quella locale, spiega Lisa Keenan, professoressa di Scienze politiche al Trinity College di Dublino. Tutti i partiti promettono di costruire decine di migliaia di case da vendere a prezzo calmierato, ma i loro consiglieri hanno bloccato diversi progetti edilizi per non scontentare i loro elettori. I proprietari, infatti, hanno beneficiato dell’aumento di valore degli immobili, e tendenzialmente votano Fianna Fáil e Fine Gael.
C’è infine un problema di pianificazione urbanistica: i piani di molti comuni sono obsoleti e risalgono ai primi anni di ripresa economica dopo la crisi finanziaria del 2010 e il programma di aiuti internazionali da 85 miliardi di euro (il cosiddetto bailout dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale).
Da allora «il sistema politico non ha più dovuto fare scelte difficili», dice il professor Barra Roantree, che dirige il corso di laurea magistrale in Economia politica del Trinity College. Il bilancio statale irlandese dipende dalle imposte pagate dalle multinazionali che hanno spostato la sede qui per via del regime fiscale vantaggioso. Tra loro: Apple, Google, Microsoft e Pfizer. Queste grandi aziende, da sole, valgono il 43 per cento delle imposte sulle società del paese (in tutto circa 40 miliardi di euro).
Grazie a questo, nel tempo il governo irlandese ha potuto contare su un consistente surplus di bilancio. Il ministero delle Finanze ha stimato che nel 2024 sarà tra i 23 e i 24 miliardi di euro (includendo i 13 miliardi di arretrati di tasse della Apple). Sono parecchi per un paese con un PIL di circa 500 miliardi di euro l’anno. L’Irlanda ha già aperto due fondi da usare in caso di bisogno, finanziati in parte con i soldi messi via negli ultimi anni. I “soldi della Apple” sono un ritornello del dibattito pubblico, per esempio ci si è chiesti quante rastrelliere per bici da 336mila euro potessero pagare, a partire da quella fuori dal parlamento che era diventata un caso.
Durerà? Il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha già detto che intende abbassare dal 21 al 15 per cento l’aliquota dell’imposta sui profitti delle società, per pareggiare quella irlandese, e vari osservatori si sono chiesti se queste mosse siano l’antefatto di un tentativo di “riportare a casa” le multinazionali. «Ma è una cosa su cui non abbiamo nessun controllo. – spiega Roantree – È totalmente nelle mani dei policy maker americani e ora che hanno eletto Trump è una cosa completamente imprevedibile. E quindi perché farci affidamento?».
Senza le imposte delle multinazionali, l’Irlanda faticherebbe a mantenere programmi di assistenza così vasti, a finanziare sperimentazioni come il reddito di base per gli artisti, o le promesse (di tutti i partiti) di costruire centinaia di migliaia di nuove case. Poco meno di ventimila persone, quanti sono senzatetto e richiedenti asilo senza alloggio, non sono poi così tante da gestire per un paese che ha tutte queste risorse, finché ce le ha.
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