Per l’Italia è difficile opporsi all’accordo tra Europa e Mercosur
E infatti le obiezioni fatte dal governo servono per ottenere garanzie in più per gli agricoltori, o almeno per far vedere che “ci abbiamo provato”
Venerdì la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato la firma dell’accordo tra l’Unione Europea e il Mercosur, l’area di libero scambio che coinvolge Uruguay, Paraguay, Argentina, Brasile e Bolivia. Lo ha fatto con un atto per certi versi improvviso, nel senso che molti leader europei non se l’attendevano in così poco tempo: e questo, oltre indispettire i governi più dichiaratamente ostili all’intesa, come la Francia, ha anche fatto emergere la scarsa risolutezza del governo italiano, che mantiene una posizione un po’ ambigua, non dicendosi perentoriamente contrario ma chiedendo rassicurazioni e garanzie alla stessa Commissione Europea.
Più che un’adesione alle posizioni francesi, quella italiana sembra la scelta di chi pone delle obiezioni di facciata mentre si prepara, in realtà, a negoziare il proprio assenso. Per essere definitivo, infatti, l’accordo dovrà essere approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo, che è formato dai capi di Stato e di governo dei paesi membri. Ma non è scontato che questo succeda.
We have concluded the negotiations for the EU-Mercosur agreement.
It marks the beginning of a new story.
I now look forward to discussing it with EU countries.
This agreement will work for people and businesses.
More jobs. More choices. Shared prosperity. pic.twitter.com/4E9z1Ztamc
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 6, 2024
Il Mercosur è un accordo essenzialmente commerciale, che facilita cioè gli scambi di beni e servizi e incentiva gli investimenti reciproci tra i 5 paesi sudamericani e i 27 dell’Unione. Ma ha anche un valore politico: in un momento in cui le relazioni commerciali tra Europa e Stati Uniti rischiano di essere seriamente compromesse dalla politica protezionistica annunciata da Donald Trump, e in cui molti paesi del Sud America si stanno avvicinando alla Cina, per l’Unione Europea è fondamentale rafforzare i legami diplomatici coi paesi di quell’area.
All’accordo col Mercosur l’Europa lavora fin dal 2000, con negoziati complessi che sono stati rimessi più volte in discussione soprattutto per via della contrarietà della Francia, il cui presidente Emmanuel Macron ha ribadito anche nelle scorse settimane la sua ostilità all’intesa.
È anche per questo motivo che von der Leyen ha fatto un po’ una forzatura diplomatica, per accelerare l’approvazione dell’accordo. Giovedì è volata a Montevideo, la capitale dell’Uruguay, dove era in corso la riunione dei capi di Stato e di governo del Mercosur, con l’obiettivo dichiarato di definire l’accordo.
Il più irritato dalla mossa di von der Leyen è stato Macron, che era del resto impegnato a gestire la crisi di governo a Parigi. Ha chiamato von der Leyen perché riteneva che avesse approfittato della debolezza politica della Francia per promuovere definitivamente l’intesa. Ma anche il governo italiano è rimasto interdetto. Nella serata di giovedì i collaboratori di Giorgia Meloni hanno diffuso una nota informale per spiegare che al momento il governo ritiene che «non vi siano le condizioni per sottoscrivere l’attuale testo dell’accordo» e che «la firma possa avvenire solo a condizione di adeguate tutele e compensazioni in caso di squilibri per il settore agricolo».
È una posizione, anche questa, non definitiva, che per gli stessi collaboratori di Meloni non implica un no perentorio, e che riflette i diversi orientamenti di alcuni ministri e dei vari settori produttivi italiani. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, per esempio, è da tempo il più favorevole all’accordo, anche e soprattutto per i suoi risvolti di politica internazionale. Sul fronte opposto c’è Francesco Lollobrigida, il ministro dell’Agricoltura che asseconda le rimostranze di agricoltori e allevatori. Anche Matteo Salvini, ministro dei Trasporti, ha posizioni simili a Lollobrigida.
Questa divergenza è la stessa che c’è tra Confindustria da un lato, e Coldiretti e Confagricoltura dall’altro. Le principali associazioni degli agricoltori fanno pressioni sul governo perché si opponga all’approvazione dell’accordo col Mercosur, paventando conseguenze catastrofiche per il settore. Peraltro anni fa Coldiretti se la prese anche col CETA, l’analogo accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada, che in effetti non ha portato nessuno degli effetti drammatici allora temuti, e ha anzi garantito grossi vantaggi alla bilancia commerciale italiana. Al contrario, gli industriali insistono affinché l’accordo venga concluso. «Le imprese europee hanno bisogno di aprire nuovi mercati, come quello del Mercosur», ha detto giovedì il presidente di Confindustria Emanuele Orsini.
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Alla fine la posizione del governo sta nel mezzo. L’Italia si dice dunque contraria all’accordo, ma dice che «l’approfondimento delle relazioni con i paesi del Mercosur» deve essere considerata «una priorità». E del resto Meloni sta provando a costruire una buona relazione diplomatica proprio con Javier Milei, il presidente ultraliberista argentino.
Più nel merito dell’accordo, il governo italiano chiede che alle aziende sudamericane del settore agroalimentare vengano fatte rispettare le stesse norme sui controlli veterinari e fitosanitari e che, più in generale, i prodotti che entrano nel mercato interno rispettino pienamente i nostri standard di protezione dei consumatori e controlli di qualità. Il timore riguarda soprattutto l’utilizzo di farmaci e ormoni della crescita somministrati agli animali, in particolare ai bovini, e l’utilizzo estensivo di antibatterici per le piantagioni di agrumi, riso, mais e canna da zucchero: tutti aspetti su cui allevatori e agricoltori del Mercosur potrebbero giovarsi di parametri meno stringenti e di controlli meno accurati, e dunque fare una sorta di concorrenza sleale all’Europa.
Ma più che altro, le associazioni degli agricoltori italiani temono una saturazione del mercato, che significherebbe perdere i vantaggi sul mercato interno garantiti finora dalla presenza di gravosi dazi per i prodotti sudamericani. Quindi, più che la concorrenza sleale, si teme in generale la concorrenza. Per questo il governo italiano chiede anche l’introduzione di un sistema di compensazioni, che consenta di risarcire gli agricoltori e i coltivatori europei in caso di gravi perdite o di sofferenze economiche.
Non è chiaro che margini ci siano per rivedere i contenuti del trattato che regola l’accordo col Mercosur. Ora che von der Leyen lo ha definito, come dicevamo, l’accordo dovrà essere votato dal Consiglio Europeo e poi dal Parlamento Europeo. Toccherà quindi ai singoli parlamenti nazionali ratificarlo, ma questa ulteriore approvazione non è vincolante (il CETA è entrato in vigore dal 2017 anche se il parlamento italiano deve ancora ratificarlo).
Le ambiguità del governo di Meloni sono rilevanti anche in questo senso. Perché un’eventuale definitiva contrarietà dell’Italia porterebbe automaticamente ad affossare l’accordo.
Gli accordi commerciali di questo tipo, su cui la Commissione ha la piena titolarità durante il negoziato, vengono sottoposti a un voto a maggioranza qualificata in Consiglio Europeo: è una procedura, cioè, dove i voti dei vari Stati non hanno tutti lo stesso valore, perché questo varia a seconda della popolosità del paese. Per ottenere una maggioranza qualificata c’è bisogno che votino a favore almeno il 55 per cento dei paesi (15 su 27) in rappresentanza di almeno il 65 per cento della popolazione. La Francia al momento potrebbe contare sul sostegno di Polonia, Irlanda e altri piccoli paesi dell’Est: non riuscirebbe, dunque, a guidare quella che si chiama nel gergo una minoranza di blocco, in grado cioè di impedire l’approvazione. Ma se l’Italia si unisse a questo gruppo, insieme alla Francia avrebbe serie possibilità di mettere un veto.
Proprio essendo consapevole di questo ruolo di “ago della bilancia”, il governo è intenzionato a chiedere rassicurazioni. È molto difficile che possano esserci modifiche, sia pur puntuali, al testo del trattato: riaprire i negoziati rischierebbe di innescare poi una serie di trattative che metterebbero a repentaglio l’intero accordo. Ed è molto complicato che Italia e Francia ottengano quello che nel gergo giuridico europeo si chiama opt-out, cioè la facoltà di poter venire meno al rispetto di alcuni accordi che hanno valore generale. Queste esenzioni vennero sdoganate a partire dalla fine degli anni Settanta in favore del Regno Unito, e sono state poi concesse ad altri paesi con parsimonia dalle istituzioni europee.
Diplomatici francesi presenti a Bruxelles hanno parlato di questa possibilità, e ne hanno discusso anche con quelli italiani: al momento è un’ipotesi remota. Più probabile è che la Commissione produca delle raccomandazioni, anche sotto forma di addendum al trattato (delle aggiunte dopo la firma), per offrire formalmente rassicurazioni ai paesi più scettici, e tra questi l’Italia.
Von der Leyen, durante la conferenza stampa dopo la firma, si è rivolta direttamente agli agricoltori europei: «Vi ascoltiamo, abbiamo accolto le vostre preoccupazioni, e ci stiamo lavorando», ha detto. Se davvero venisse adottato questo stratagemma delle rassicurazioni, sarebbero garanzie dal dubbio valore giuridico e legale, ma che potrebbero avere un loro significato sul piano politico. Il governo italiano, cioè, potrebbe rivendicare di aver ottenuto qualcosa in cambio del proprio voto favorevole all’accordo col Mercosur. E questo sarebbe un compromesso che consentirebbe a Meloni di non scontentare del tutto le associazioni di categoria degli agricoltori, come Coldiretti e Confagricoltura.